I canti di Giacomo Leopardi | Video

I canti di Giacomo Leopardi: spiegazione, analisi e struttura dell'opera dell'autore di Recanati. Video a cura di Emanuele Bosi

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redazione

I CANTI DI GIACOMO LEOPARDI

C'è un'opera di Leopardi che racchiude praticamente tutto il corpus poetico del nostro autore: I Canti. I Canti contengono le poesie che Leopardi scrive dal 1818 al 1836. Si contano quattro edizioni di quest’opera: 1831, 1835, 1836, 1848. L’opera è costituita da gruppi di testi.

La sua forma definitiva, pubblicata postuma, conta 41 componimenti totali. Il titolo Canti è insolito per la tradizione lirica italiana. Canti non significa “canzoni”, ma “componimenti lirici”, a prescindere dalle loro caratteristiche metriche e stilistiche.  

I CANTI DI LEOPARDI: STRUTTURA

I Canti raccolgono nelle varie sezioni diversi gruppi di testi. Dividiamoli anche noi, allora, per comodità.

  • I Canti di Leopardi si aprono con un blocco di 9 canzoni, composte in un periodo che va dal 1818 al 1823. Qui Leopardi sviluppa un discorso sull’infelicità umana, di cui abbiamo parlato meglio in altri nostri video, che ti consigliamo di recuperare se vuoi approfondire. Importante: la scrittura di queste Canzoni è retorica, usa metafore ardite, e la comprensione non è per nulla semplice.
  • La sezione successiva contiene i cinque idilli composti nel 1819-1821, ovvero L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria. Sono tutti in endecasillabi sciolti. L’idillio tradizionalmente richiamava la natura e la vita campestre. Leopardi rivoluziona questa forma poetica, e sposta l’attenzione dalla natura all’interiorità. Il lessico è più familiare, meno ricercato di quello delle Canzoni.
  • La terza sezione è quella dei canti pisano-recanatesi del 1828-1830, ovvero Il risorgimento, A Silvia, Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio e Il passero solitario. Qui Leopardi prende consapevolezza dell’infelicità umana, e la sua poesia diventa insieme lirica e filosofica. La forma metrica cambia, e diventa quella della canzone libera, dove cioè le strofe non hanno un numero di versi predefinito e non esistono vincoli di rima. Fino a non molti anni fa questi canti venivano chiamati “grandi idilli” in opposizione-continuità con i “piccoli idilli”, di cui abbiamo parlato prima.
  • Segue poi la sezione dei canti fiorentini del 1830-1831, ovvero Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e Morte e A se stesso. Durante il suo secondo soggiorno fiorentino Leopardi sperimenta una cocente delusione d’amore. È proprio questa che darà vita a questi componimenti, che sono sì di celebrazione dell’amore, ma anche di grande pessimismo. Dal punto di vista stilistico, in questa sezione la sintassi è a tratti ampia e nervosa, e a tratti secca e quasi pietrificata.
  • Chiudono l’opera i Canti napoletani, tra cui compare anche La ginestra. Lo stile è più impersonale, quasi meditativo: si parla a lungo del rapporto fra morte e vita nell’esistenza umana.

Tieni a mente che in questi componimenti l’”io” poetico non è mai completamente…un “io”, appunto.

Si può anzi leggere come un “noi”, perché ciò che Leopardi racconta nei suoi testi riguarda l’umanità in molti suoi aspetti. Il lettore può identificarsi nel poeta, e riflettere insieme a lui sui temi che gli vengono proposti.

In ultimo, una nota sulla fortuna che i Canti hanno avuto nel tempo. Ecco, Leopardi non ha goduto di grande apprezzamento nell’Ottocento, perché la sua concezione pessimistica e materialistica dell’esistenza sembrava fatta apposta per scontentare qualsiasi corrente di pensiero dell’epoca. Dovremo aspettare che poeti come D’Annunzio e Pascoli recepiscano la sua grande lezione, trasmettendola anche ad altri autori come Guido Gozzano, Umberto Saba ed Eugenio Montale. Insomma, Leopardi era davvero avanti per stile e mentalità a molti autori della sua epoca!

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