Ho sceso dandoti il braccio di Eugenio Montale | Video
Ho sceso dandoti il braccio: guarda il video con Emanuele Bosi. Analisi e spiegazione della celebre poesia
HO SCESO DANDOTI IL BRACCIO
Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale è una delle più belle poesie di Eugenio Montale. Qui troviamo rappresentato perfettamente il suo stile, semplice e sempre concentrato sulle piccole cose concrete della vita. Come sempre, prima di iniziare l’analisi di un’opera, è bene contestualizzarla. Iniziamo allora col dire che questa poesia è contenuta in una raccolta che prende il nome di Satura, ultima raccolta poetica di Montale, terminata nel 1971.
Il poeta scrive questo componimento dopo la morte della moglie, Drusilla Tanzi, compagna di tutta una vita. Per questo, leggendo la poesia emergono sia un grande amore che un grande dolore.
Prima di osservare le figure retoriche, diamo uno sguardo al metro. Il verso è libero, come avviene per la maggior parte dei poeti del novecento, tuttavia troviamo anche degli endecasillabi sciolti. Le rime sono poche, ma la musicalità viene resa con le assonanze e la scelta di un linguaggio semplice e colloquiale.
FIGURE RETORICHE
Vediamo ora quali sono le principali figure retoriche. Prendi carta e penna:
- Iperbole: ho sceso almeno un milione di scale. Con questa espressione Montale vuole far capire a chi ascolta la poesia che il cammino accanto alla donna amata è stato lunghissimo
- Ossimoro: breve…lungo. Montale contrappone qui due termini di significato opposto. Vuole far capire che la vita accanto alla moglie, anche se effettivamente durata tanti anni, adesso sembra brevissima.
- Metafora: il nostro viaggio. Il viaggio è una metafora piuttosto comune per indicare la vita dell’uomo sulla terra.
- Anafora: ho sceso…ho sceso. Questa figura retorica consiste nel ripetere all’inizio di due versi diversi la stessa parola o le stesse parole. Emerge un pensiero ripetitivo, che torna sempre in testa, e quindi un dolore costante.
COMMENTO
Se hai letto la poesia, ti sarai accorto di come ogni verso sia una manifestazione del grande dolore di Montale per la perdita della moglie. Quando ricorda sua moglie, il poeta ripensa alla vita trascorsa insieme e racconta che lei per lui è stata una guida, l’unica capace di accompagnarlo attraverso le difficoltà della vita.
Ecco, è molto bello notare il gioco delle parti che si invertono: sua moglie aveva una malattia agli occhi, e quindi non vedeva quasi per niente. La guida reale era quindi Montale, che per aiutarla a camminare la teneva sottobraccio. Ma se lui per lei era stato una guida fisica, lei per lui è stata invece una guida spirituale: senza di lei il poeta sente solo un grande vuoto.
Il linguaggio che usa Montale è semplicissimo e quotidiano. Non è un linguaggio aulico e arcaico, capace di richiamare lo stile classico della lirica italiana. Il poeta però, con la sua sensibilità, riesce a rendere tutto di altissimo livello. Anche parlare di una scalinata, qui, si dimostra una grande prova poetica.
Questo succede grazie al cosiddetto correlativo oggettivo: ma cos’è? Praticamente, con il correlativo oggettivo vengono accostati oggetti, immagini o attività comuni che messi uno accanto all’altro diventano oggetti poetici.
Se parliamo di scala e di vuoto non troviamo granché di poetico, ma avvicinare le parole vuoto, scala, gradino, rende un sentimento profondissimo e un grande tormento. Ecco dove possiamo vedere la grandezza e la profonda sensibilità del poeta.
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