Henrik Ibsen: vita, pensiero e l'opera più importante: Casa di bambola
Indice
1Biografia di Ibsen: esordi, influenze e contesto storico
Il norvegese Henrik Ibsen fu uno dei più grandi autori del teatro europeo, che interrogò al meglio un tema centrale anche nel romanticismo: la consapevolezza che l’essere umano ha dei limiti insormontabili, nonostante aspiri al sublime.
Nacque il 24 marzo 1828 a Skien, in Norvegia. Il padre era un ricco commerciante che fallì, gettando la famiglia sul lastrico, quando Henrik aveva otto anni; così a quindici anni lavorava come apprendista in una farmacia, senza trascurare gli studi, che portava avanti di notte. Aveva già iniziato a comporre versi.
Scrisse il suo primo dramma nel ‘48, a vent’anni: Catilina, che andò in scena due anni dopo al teatro di Cristiania.
L’opera fu probabilmente influenzata:
- dai moti della cosiddetta “primavera dei popoli”, che ferveva in Europa nel ‘48;
- dall’attività culturale effervescente in Norvegia, dove al distacco dalla Danimarca era seguita una spinta patriottica, e nel ‘37 era nato il teatro in lingua norvegese, con il primo dramma storico nazionale di Andreas Munch: Giovinezza di re Sverre.
In quel clima Ibsen riuscì a esordire e ad avviare la sua carriera, seppur così giovane: nel ’51 fu invitato a contribuire al repertorio del teatro di Bergen, poi fu nominato direttore artistico del Norske Theater di Cristiania/Oslo, carica che ricoprì fino al ‘62. Intanto, nel ‘57, aveva sposato Susanna Thoresen, figlia di una scrittrice.
Altre influenze letterarie di Ibsen furono:
- la tragedia greca classica;
- la lettura del filosofo Kierkegaard.
2Temi e stile di Ibsen
In quegli anni affinava i suoi temi e il suo stile: se, in pieno spirito romantico, si ispirava alle leggende popolari nordiche e alla storia della Norvegia – come nel dramma I guerrieri a Helgeland, dove si ritrovano motivi della saga dei Nibelunghi – di quel materiale drammaturgico tralasciava la connotazione più mitica e religiosa per reinterpretarlo in chiave strettamente umana, indirizzandosi verso un sempre maggiore approfondimento psicologico dei personaggi.
I conflitti interiori dell’animo umano apparivano già nelle sue poesie (per esempio in Sulle alture) ma anche nelle opere del primo periodo. In La commedia dell’amore, del ‘62, sondò l’ipocrisia che sta dietro all’ideale di amore nel matrimonio, mentre ne I pretendenti alla corona, del ’63, indagò la missione del buon principe e la funzione del poeta nella vita dell’uomo.
3Ibsen e l’Italia. Brand e Peer Gynt: il successo
Nel ‘64 ottenne una borsa di studio per l’Italia, che lo sciolse per un po’ dagli obblighi legati alla stagione teatrale norvegese e si stabilì a Roma, dove visse fino al ‘68.
Lì si dedicò alla stesura di un poema tramite il quale rielaborò la delusione provata dopo che, nel ‘64, la Danimarca era stata lasciata sola dagli altri paesi scandinavi quando la Prussia l’aveva attaccata.
L’ideale di fratellanza tra i popoli scandinavi era per lui tramontato e ne era nato il poema Brand, che affrontava il problema della coerenza degli ideali. Un giorno, a San Pietro, gli venne un’illuminazione: anche quello sarebbe diventato un’opera teatrale.
3.1Brand: trama e significato
La storia del pastore Brand è un dramma in cinque atti su un uomo che vuole imporre una nuova, rigida, legge morale, secondo la quale per esseri puri bisogna rinunciare a tutto, come lui, che non ha paura di rischiare la morte e di abbandonare i suoi cari pur di assolvere i suoi doveri.
Ritrovatosi solo, investe i suoi averi nella costruzione di una chiesa, che però finisce anch’essa per sembrargli un’opera di bassezza morale: Dio va pregato sulle vette delle montagne innevate, dove Brand cerca di guidare la folla, finché non viene abbandonato da tutti.
Raggiunto il ghiacciaio, mentre sta per essere travolto da una valanga, chiede a Dio: «Basta tutta la volontà dell’uomo per conquistare un filo di salvezza?»; una voce gli risponde: «Dio è carità».
Se l’opera sconvolse il teatro borghese dell’epoca, la critica ha interpretato la montagna come un simbolo ambiguo, che rappresenta al tempo stesso l’ideale e la tentazione.
3.2Peer Gynt: trama e significato
Dopo Brand, in viaggio tra Ischia e Sorrento, Ibsen si lanciò in un’opera che pareva la perfetta antitesi della precedente: Peer Gynt, titolo e nome del protagonista che, del tutto privo di morale, mente, ruba, seduce ragazze e rapisce spose altrui, per poi essere a sua volta rapito dai troll o trovarsi al cospetto del Gran Tortuoso (il diavolo) e infine del Fonditore di bottoni, che lo vuole gettare nel crogiolo e fonderlo di nuovo perché «è un bottone malriuscito».
Alla fine si salva, forse anche grazie alle preghiere dell’innamorata fedele Solveig, che lui benedice perché «ha fatto della sua vita un canto d’amore».
Anche quest’opera è ambivalente e mette in scena il conflitto interiore: descrive la dissolutezza morale, ma forse anche una vita desiderata ma inaccessibile in base ai princìpi dell’autore.
4Il “metodo retrospettivo”
In Norvegia la fama di Ibsen si era ormai affermata. Si trasferì a Dresda, poi fu inviato a Suez per rappresentare la Norvegia in occasione dell’apertura del canale, quindi si stabilì a Monaco.
Dopo l’opera La lega dei giovani, del ‘69, ironica nei confronti degli ambienti intellettuali norvegesi, con la quale inaugurò uno stile che ricalcava la lingua parlata, scrisse il dramma storico in dieci atti Cesare e Galileo, del ‘70.
Con la commedia satirica Le colonne della società, del ‘77, iniziò quello che la critica definisce il «ciclo dei drammi sociali», nei quali l’autore non cerca più princìpi o leggi universali ma la verità umana di ogni individuo, tramite la tecnica teatrale del “metodo retrospettivo”: memorie, ricordi fungono da forze propulsive dell’azione drammatica, che svolgendosi cambia la prospettiva sugli avvenimenti precedenti.
5Ibsen e il femminismo: Casa di bambola
Nel 1878 Ibsen torna in Italia, ecco uno stralcio dei suoi scritti di allora:
“[…] esistono due forme di coscienze, una nell’uomo e un’altra – diversa – nella donna. […] nella vita pratica la donna è giudicata secondo la legge maschile, come se non fosse una donna, ma un uomo. […] Una donna non può essere sé stessa nell’attuale società, che è esclusivamente una società maschile, con leggi scritte per gli uomini, e magistrati che giudicano la condotta femminile da un punto di vista maschile.”
Sono appunti per la stesura della sua nuova opera: Et dukkehjem, in italiano Casa di bambola, del ‘79, con la quale approfondisce un tema già messo a fuoco ne La commedia dell’amore: l’ipocrisia della morale borghese nel matrimonio.
5.1Casa di bambola: trama e reazioni
Nora è la moglie dell’avvocato Helmer, che la tratta come una bambola. Quando il marito si ammala, la cura che può salvarlo è troppo cara, ma lei non esita a falsificare la firma del padre per ottenere un prestito, convinta di compiere così il suo dovere.
Contratto quel debito, lavora sodo, ma non è ancora riuscita a saldarlo quando Helmer viene nominato direttore di una banca, dove lavora anche l’uomo che le ha concesso il prestito: Krogstad, che la minaccia di rivelare il segreto della firma se non convince il marito a promuoverlo.
La donna non riesce a persuadere il marito, il quale licenzia Krogstad e riceve la lettera di ricatto, scoprendo il segreto e prendendosela con la moglie.
Ma Nora, in cuor suo, si aspettava che il marito non l’avrebbe compresa e ha già maturato la decisione di abbandonare casa e figli, per poter vivere seguendo solo la sua coscienza: ha capito che nella vita di prima era come una marionetta.
La pièce svela impietosamente che il perbenismo borghese è una trappola.
L’opera riscosse un enorme successo: se le 8000 copie del libro andarono esaurite in due settimane, la scelta di Nora venne vista o come rivoluzionaria e femminista, o come scandalosa, da madre snaturata.
Antonio Gramsci la interpretò come una possibilità di elevazione morale per la donna rispetto al ruolo sociale imposto.
Benedetto Croce ricordò che tra le buone famiglie scandinave circolava un vero e proprio veto: “Si prega di non discutere di Casa di bambola”. In Germania Ibsen fu costretto a cambiare il finale su pressione dell’attrice che interpretava Nora.
5.2Casa di bambola: la rappresentazione teatrale in Italia
Nel 1891, in Italia, è Eleonora Duse, una delle più grandi attrici di tutti i tempi, a portare per la prima volta in scena Casa di bambola. All'epoca Eleonora Duse non era ancora pienamente affermata, e il suo modo di recitare innovativo, diverso dai canoni e dalle convenzioni del tempo non era ancora completamente apprezzato.
Il senso di distacco e di non appartenenza alla società teatrale del tempo la grande attrice lo ha sempre dimostrato nella scelta dei suoi personaggi e nel modo di recitare. Anche la scelta di interpretare Nora va in questa direzione, poiché si tratta di un personaggio che decide nel finale di non integrarsi più al ruolo di moglie e madre borghese.
Consigliano ad Eleonora Duse di non rappresentare Ibsen a teatro, non molto apprezzato in quegli anni in Italia, o le consigliano almeno di cambiare il finale e di far tornare a casa Nora, ma Eleonora Duse non cambia il testo, e porta così in scena un testo che aveva generato scalpore e diffidenza.
6Ultimi drammi e fine della carriera
Con la sua opera successiva, Spettri, del ‘82, la cui messa in scena fu incoraggiata da Émile Zola, sembrò quasi reagire alle critiche scatenate da Casa di bambola. La protagonista è di nuovo una donna che lascia la casa del marito, ma il tema affrontato è quello dell’ereditarietà.
Nel ‘85 andò in scena L’anitra selvatica. Ibsen tornò in Norvegia nel ‘91, dove compose le sue ultime opere. Vittima di diversi malori nel 1900, visse gli ultimi anni di vita in silenzio e morì il 23 maggio del 1906.