La figura del gladiatore nell’antica Roma: storia, origine e vita degli schiavi combattenti

All'inizio solo lo schiavo o prigionero diventava gladiatore. Con la diffusione dei giochi, la figura è diventata opportunità di fama e denaro

La figura del gladiatore nell’antica Roma: storia, origine e vita degli schiavi combattenti
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La figura del gladiatore nell’antica Roma: storia, origine e vita degli schiavi combattenti

La figura del gladiatore è rimasta tra le più iconiche, insieme forse alla divisa del centurione, dell’antica Roma. È forse la prima cosa che viene in mente a tutti gli studenti del mondo quando si pensa a quell’epoca storica. Ma chi erano i gladiatori, questi guerrieri che, come accadeva con Massimo Decimo Meridio nel celeberrimo film, esaltavano il popolo nelle arene?

Innanzitutto occorre dire che il personaggio interpretato da Russell Crowe nel film Il Gladiatore non è mai realmente esistito, ma la sua storia ha preso a piene mani da una serie di persone realmente esistite. Da questa piccola nozione, andiamo a ricostruire la grande storia dei guerrieri che ancora d’oggi affascinano registi, scrittori e grandi produzioni.

Chi erano i gladiatori romani?

I gladiatori erano guerrieri che combattevano con un’arma molto particolare, ovvero il gladius, una spada romana dall’aspetto caratteristico. Nella maggior parte dei casi, questi guerrieri erano prigionieri di guerra, schiavi o condannati a morte. Non per forza, però. In alcuni casi, erano uomini liberi (i cosiddetti liberti) che si erano indebitati fino al collo, oppure affascinati dalle molte opportunità di gloria e guadagno che derivavano dal sopravvivere ai giochi.

La scelta di diventare un gladiatore aveva delle importanti conseguenze. Innanzitutto, chi entrava a far parte della cerchia dei gladiatori (che si può immaginare cambiasse spesso per identità degli appartenenti e numero) diventava automaticamente un reietto, un “infamis” agli occhi della legge. Questo fino al momento in cui non dimostrava il suo valore nell’arena. Quando un giocatore, o meglio, un gladiatore, si distingueva sul campo di battaglia dell’arena, subito passava da infamis a grande celebrità, osannata dalla società bene e soprattutto ambito da tutte le donne. Molti gladiatori ricevevano compensi eccellenti, anche superiori a quelli dei generali dell’esercito.

Insomma: dapprima solo schiavi e sfortunati. Con il tempo, i gladiatori sono diventati un mestiere viabile dagli abili con la spada. Per accedere all’arena era necessario “vendersi” a un allenatore, il quale sottoponeva questi uomini a pesanti regimi di allenamento. Di buono c’era che diventando gladiatore non avresti forse sofferto più la fame, per un motivo o per l’altro.

Quando un liberto si vendeva a un lanista, uno di questi allenatori, cessava automaticamente di essere un uomo libero. Il gladiatore era dotato di una specie di auctoratus solo nel momento in cui entrava nell’arena: dobbiamo immaginarla come una specie di libertà “attenuata”.

Perché lottare?

Oggi potrebbe sembrare inumano ciò che accadeva all’interno delle arene. In un certo senso non si può negare che lo fosse. All’epoca, però, gli Antichi Romani vedevano nella lotta uno scopo profondamente educativo. In altre parole, l’ars gladiatoria divenne un autentico sport, nel quale era possibile dimostrare valore, audacia e trovare una forma di riscatto sociale. È per questo che i giochi dei gladiatori sono diventati degli autentici spettacoli.

Tornando alla questione inumana, ebbene, è importante sapere che prima del gladiatore la situazione era anche peggiore. Per usanza, infatti, i nemici dell’Impero venivano sacrificati sulla tomba dei propri guerrieri caduti, così da celebrare gli Dei. Dunque, considerata questa pratica troppo atroce, i sacrifici vennero sostituiti con il tempo dai gladiatori.

Il giuramento solenne del gladiatore

Diventare gladiatore professionista richiedeva un duro addestramento, tanta, tanta fortuna e soprattutto il giuramento solenne conosciuto come sacramentum gladiatorium. Lo possiamo trovare nelle pagine del Satyricon, opera coeva, e più o meno è traducibile così: “Sopporterò di essere bruciato, di essere morso, di essere legato, di essere ucciso per questo giuramento”. Come si può evincere da queste parole, col tempo il gladiatore aveva cessato di essere un povero prigioniero disgraziato, ed era divenuta una scelta di vita.

A scuola con i gladiatori

Se all’inizio questi gladiatori erano spesso guerrieri non particolarmente acuti, o nella peggiore delle ipotesi dilettanti allo sbaraglio, con il tempo il desiderio di uno spettacolo migliore ha acuito l’esigenza di un addestramento per gladiatori. Ecco dunque spuntare le scuole gladiatorie, società gestite da lanisti che acquistavano i gladiatori, i quali diventavano oggetti di loro proprietà. Rubare un gladiatorie era considerato furto.

Le scuole gladiatorie garantivano l’addestramento per i combattimenti con molte tecniche varie, così da mantenere i giochi (i ludi) vari e sempre interessanti. Un aspetto fondamentale del combattimento in arena era appunto lo spettacolo: combattere con armi differenti garantiva diversità e suscitava l’interesse del pubblico. Oltre a tutto ciò, le scuole gladiatorie fornivano pasti sostanziosi e adeguati e un posto dove dormire ai guerrieri.

Fonti dell’epoca hanno ricostruito la dieta del gladiatore, quasi al 100% vegetariana. La carne era considerata portatrice di gotta, una malattia che colpisce tra le altre cose le articolazioni e che dunque non si voleva potesse colpire un gladiatore. Tanti legumi, cereali, cipolle, latticini, frutta e fichi. Prima di un combattimento, il gladiatore mangiava focacce d’orzo con olio e dolciumi a base di miele come cibo energetico.

Esistevano diversi tipi di gladiatori, in base alla loro preparazione e al loro equipaggiamento:

  • Il reziario combatteva con il gladio e una rete, un tridente e un pugnale.
  • Il secutor inseguiva l’avversario con una spada e disponeva di un scudo
  • Il mirmillone era dotato di pesante artiglieria, uomini imponenti e difficili da abbattere
  • Il trace era un guerriero agile armato da scudo e spada ricurva
  • Il dimachaerus era un combattente privo di protezioni dotato di due gladi o due pugnali

 

Al termine di ogni combattimento, le ferite potevano essere curate dagli allenatori, i quali consideravano ogni gladiatore come un prezioso asset da tutelare. Concludiamo questo rapido excursus sui gladiatori parlando della leggenda metropolitana del pollice verso, gesto che condannava a morte il perdente sull’arena.

I giochi gladiatori

I giochi gladiatori si svolgevano tutte le volte in modo diverso, con l’obiettivo di dare spettacolo e creare ogni volta uno show, se così possiamo definirlo, più sorprendente di quello prima.

Si cominciava la mattina con i combattimenti simulati o con l’esibizione di animali esotici ammaestrati, come leoni, pantere, coccodrilli o rinoceronti. Spesso in questa esibizione gli animali venivano aizzati gli uni contro gli altri, e poi uccisi.

All’ora di pranzo venivano invece giustiziati i criminali, per unire l’utile al dilettevole. In alcuni rari casi si mettevano in scena le naumachie, ovvero le battaglie navali, per il quale il Colosseo veniva riempito d’acqua. Un’operazione decisamente dispendiosa.

La vera vita del gladiatore

Bisogna dire che la maggior parte dei gladiatori non combattevano più di due o tre volte l’anno. I migliori diventavano autentiche celebrità, ammirati dalle donne e ambiti ospiti ai tavoli dei banchetti più in vista dell’Impero. La popolarità conferita da una vittoria nell’arena consegnava al gladiatore (un cittadino decaduto) gloria e soprattutto libertà. Ai vincitori veniva consegnata questa spada di legno grazie alla quale tornavano nel loro status di liberti.

A quel punto potevano decidere: continuare a combattere nelle arene per grandi quantità di denaro, o diventare a loro volte istruttori nelle scuole gladiatorie.

Panem et circensem

Panem et circensem. Potresti aver sentito questa citazione a scuola, o potresti averla scorta tra le pagine di “Hunger Games”, che prende piena ispirazione da questo concetto. Letteralmente tradotto in “pane e spettacolo”, questa strategia politica prevedeva di sedare le lotte e le ribellioni con le distrazioni dei giochi gladiatori.

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