Riassunto su Giovanni Verga: la vita e le opere
Di Redazione Studenti.Riassunto della vita e delle opere di Verga: Il ciclo dei vinti, I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo.
Calendario scolastico 2022-23
Che succede in Iran? La spiegazione facile|Ponti 2023| I promessi sposi| Podcast| Mappe concettuali| Date maturità 2023| Tema sul ritorno alla normalità dopo il coronavirus| Temi svolti|Riassunti dei libri
GIOVANNI VERGA: RIASSUNTO SU VITA E OPERE

Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, da una famiglia di agiati proprietari terrieri, con ascendenze nobiliari. Compie studi irregolari: iscrittosi alla Facoltà di legge a Catania, non terminò gli studi, preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. Questa formazione irregolare segna la sua fisionomia di scrittore, che si discosta dalla tradizione di autori letteratissimi e di profonda cultura umanistica che caratterizza la nostra letteratura, anche quella moderna. I testi su cui forma il suo gusto sono gli scrittori francesi moderni di vasta popolarità. Nel 1865 Verga lascia la provincia e si reca a Firenze, allora capitale del Regno. Vi ritorna successivamente deciso a soggiornarvi a lungo, consapevole del fatto che per diventare scrittore autentico doveva liberarsi dai limiti della sua cultura provinciale e venire a contatto con la vera società letteraria italiana. Nel 1872 si trasferisce a Milano, allora centro culturale più vivo della penisola e più aperto alle sollecitazioni europee. Qui entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura: nei romanzi Eva, Eros e Tigre reale l’analisi della passione amorosa si mescola infatti con la polemica antiborghese e la protesta per l’emarginazione dell’artista nella società moderna. A Milano soggiorna per lunghi periodi, alternati con ritorni in Sicilia. Nel 1878 la pubblicazione di Rosso Malpelo segna il passaggio di Verga a una nuova maniera narrativa, ispirata ad una rigorosa impersonalità nella rappresentazione del “vero”. Con la svolta verista Verga non vuole abbandonare lo studio degli ambienti dell’alta nobiltà per quelli popolari, ma si propone di tornare a studiarli proprio con quegli strumenti più incisivi di cui si è impadronito. Le “basse sfere” non sono che il punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società, poiché in esse tali meccanismi sono meno complicati e possono essere individuati più facilmente.
Il pessimismo gli consente di cogliere con straordinaria acutezza e precisione il negativo della realtà, la disumanità della “lotta per la vita”, il trionfo dell’utile e della forza, l’oppressione sui più indifesi. E tuttavia è la prosa scabra, impassibilmente oggettiva, aliena da ogni patetismo, sa anche cogliere le più delicate sfumature dei sentimenti, i processi psicologici più intimi, rivelando una sobria (rifiuto per la drammaticità) pietà per la sofferenza e le miserie umane.
Dopo il 1903 lo scrittore si chiude i un silenzio pressoché totale. Allo scoppio della Grande Guerra prende posizioni politiche conservatrici e interventistiche e nel dopoguerra si schiera sulle posizioni dei nazionalisti, pur però in sostanziale distacco da ogni interesse politico e militare.
IL CICLO DEI VINTI
Nel 1878 Verga inizia a progettare un ciclo di romanzi che delinei un quadro generale della società italiana moderna in tutte le sue componenti, di ceti popolari (I Malavoglia) alla borghesia terriera (Mastro-don Gesualdo) all’aristocrazia nelle sue fisionomie (La duchessa de Leyra, solo abbozzato, e due romanzi mai realizzati). Intento dell’autore, dichiarato nella prefazione dei Malavoglia, è illustrare la legge di sopraffazione che vige nella società, incentrando la narrazione sui “vinti” che “piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti”.
I MALAVOGLIA
Il romanzo I Malavoglia del 1881 narra la storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza, in Sicilia. Nel mondo arretrato e statico del paese irrompe la storia: all’indomani dell’unificazione italiana il giovane ‘Ntoni Malavoglia parte per il servizio militare e la famiglia, privata delle sue braccia, decide di intraprendere un piccolo commercio. Una tempesta provoca il naufragio della barca col primo carico destinato alla vendita e i Malavoglia, indebitati e colpiti da disgrazie, vanno incontro alla miseria e alla disgregazione. Il personaggio in cui si incarnano le forze disgregatrici della modernità è il giovane ‘Ntoni. Emblematico è il suo conflitto col nonno, che, in opposizione a lui, rappresenta invece lo spirito tradizionalista per eccellenza, l’attaccamento ad una visione arcaica e ai suoi valori. Sotto l’azione di tutte queste forze innovatrici, la famiglia si disgrega. Il romanzo si apre e si chiude con la partenza di ‘Ntoni dal villaggio, ma la struttura ciclica rimane esteriore e imperfetta perché non implica la ricomposizione dell’equilibrio iniziale: il “nido” familiare è, infatti, ricostruito solo in parte.
MASTRO-DON GESULADO
Il Mastro-don Gesualdo (1889) narra l’ascesa sociale di un muratore che, con energia e ambizione straordinarie, riesce ad accumulare un’enorme fortuna. Quando il racconto ha inizio, la sua scesa sociale dovrebbe essere coronata dal matrimonio con Bianca Trao, discendente da una famiglia nobile, ma in rovina. Nonostante il matrimonio viene disprezzato dai nobili per le sue origini. Il disprezzo è testimoniato dalla formula con cui viene abitualmente menzionato: “don” era l’appellativo destinato ai signori, ma ad esso viene accoppiato “mastro”, a indicare la provenienza umile dell’arricchito. Odiato anche dai propri familiari, muore solo e “vinto” sul piano umano, assistendo impotente allo sperpero delle proprie ricchezze. Il romanzo presenta caratteri abbastanza diversi dai Malavoglia: il narratore si mimetizza con l’ambiente borghese e aristocratico raffigurato, rispecchiando la fisionomia sociale dell’autore reale tenendo fede al suo principio “dell’eclisse” dell’autore; la vicenda si concentra su un unico protagonista, su cui è focalizzata gran parte della narrazione; la logica dell’interesse egoistico e della sopraffazione diviene il modello unico di comportamento, condiviso dal protagonista e dagli altri personaggi, la roba è il fine primario dell’esistenza, e ciò porta il protagonista ad essere disumano, come quando sfrutta senza alcuna pietà i suoi lavoratori, o quando rinuncia a Diodata, che lo ama, per sposar Bianca, a negare i valori è il personaggio stesso che potrebbe esserne il portavoce. Verga riconosce quanto vi è di eroico nello sforzo di Gesualdo: il personaggio ha qualcosa di “faustiano”, nel suo tendere costantemente ad obbiettivi più vasti, nella sua determinazione a “dannarsi l’anima” pur di raggiungere i fini del suo ambizioso disegno.