Giorno del ricordo 2024: il treno della vergogna e gli esuli istriani
Giorno del ricordo 2024: contesto storico, riassunto degli eventi e storie degli esuli istriani: il treno della vergogna del 1947
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Giorno del ricordo
Il Giorno del ricordo si celebra il 10 febbraio ed è una giornata dedicata alla commemorazione dei fatti di cui furono protagonisti gli italiani nell'ex-Jugoslavia del post armistizio e del dopoguerra. Il Giorno del ricordo è stato istituito nel 2005 per commemorare tutte le vittime delle foibe. Nel ricordo di quel periodo, le ricostruzioni storiche possono aiutare più di ogni altra cosa a fare chiarezza sugli eventi e a preservarne la memoria, anche per difenderlo dagli accesi dibattiti politici di cui, solitamente, le foibe sono protagoniste.
I fatti più cruenti del periodo sono naturalmente quelli relativi alle foibe, le profonde cavità carsiche tipiche della Venezia Giulia, utilizzate negli anni prima dai fascisti italiani e poi dai partigiani titini, per l'eliminazione e l'occultazione degli avversari politici. Ma un altro fenomeno, più lungo ma non meno doloroso, ha scavato nella storia di molte famiglie italiane: l'esodo giuliano-dalmata, ovvero la fuga di centinaia di migliaia di italiani scampati agli eccidi delle foibe, che furono costretti a imbarcarsi con le loro masserizie su navi dirette verso l'Italia per sfuggire alla crescente ostilità del regime comunista.
L'esodo giuliano-dalmata
Quello che definiamo esodo giuliano-dalmata ha avuto, secondo gli storici, due fasi distinte:
- Una prima fase dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943
- Una seconda fase successiva alla fine della Seconda guerra mondiale, dal 1945 in poi
Spiega lo storico Raoul Pupo che in entrambi i casi i periodi storici possono essere considerati come dei dopoguerra, nei quali l'esercito Jugoslavo di Tito cerca di porre il controllo sulle zone occupate. Le stesse zone che sotto il fascismo avevano visto feroci repressioni ai danni delle popolazioni slave (era stato vietato l'uso di lingue diverse da quella italiana negli uffici pubblici, le scuole slovene e croate erano state chiuse, molti cognomi erano stati italianizzati, e via dicendo), ora devono tornare sotto il controllo slavo con ogni mezzo.
Una volta stabilito il nuovo assetto della penisola istriana, la reazione titina è feroce: nel '43 iniziano gli infoibamenti, che colpiscono non solo fascisti e nazisti, ma chiunque possa rappresentare in qualche forma la comunità italiana su suolo Jugoslavo. Il tribunale popolare di Tito - istituito all'interno del castello di Pisino - non risparmia impiegati, ufficiali, militari, ma neppure antifascisti contrari a questo nuovo regime di violenza. Per questa ragione, buona parte degli italiani scampati a questo massacro parte alla volta dell'Italia già dal '43, quando ancora le sorti della penisola non sono stabilite con precisione.
La strage di Vergarolla
Il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla, dove si svolgono le gare natatorie per la Coppa Scarioni, scoppia un'enorme quantità di esplosivo uccidendo circa cento persone (il numero delle vittime non verrà mai stabilito con esattezza). Quella che passerà alla storia come la strage di Vergarolla convince la comunità italiana dell'aperta ostilità del nuovo regime nei suoi confronti, e dà il via a nuove partenze.
Quando dopo il trattato di Parigi del 1947 diventa ormai chiaro che gran parte dell'Istria resterà a Tito, gli italiani delle città slovene e croate si trovano di fronte a una scelta: restare e diventare cittadini Jugoslavi, perdendo qualsiasi contatto - anche linguistico e culturale - con la loro identità italiana, o partire.
Presto le città si svuotano: Pola, Fiume, Umago (ma anche Spalato, Zara, Ragusa) diventano presto fantasma. I negozi chiudono, le famiglie partono portando con sé le loro cose: vestiti, ricordi, mobili, a volte anche bare, per non lasciare i loro morti in una terra non più considerata come propria.
Il treno della vergogna
L'episodio passato alla storia come Treno della vergogna si colloca all'interno di questo scenario: nel 1947 alcuni esuli provenienti da Pola approdano ad Ancona, dove vengono accolti con ostilità. La convinzione diffusa è infatti che la maggior parte degli esuli sia composta da fascisti in fuga dal regime di Tito, gente ostile al comunismo e al nuovo liberatore. Forse non è chiaro con esattezza cosa stia realmente avvenendo dall'altra parte dell'Adriatico, ma un importante ruolo lo gioca la diffidenza verso i nuovi arrivati: hanno altri tratti somatici, parlano un dialetto diverso, non parlano di sé. L'ostilità nei confronti dello straniero cresce, come racconta in un documentario della Rai il professor Raoul Pupo dell'Università di Trieste.
In realtà, moltissimi fra gli esuli non solo non hanno mai appoggiato il fascismo, ma sono apertamente antifascisti, cattolici o ex partigiani che disapprovano (e temono) i metodi titini di imposizione del potere. Non solo. Nel frattempo Stalin ha condannato apertamente Tito disconoscendo i suoi metodi, così anche i comunisti aderenti all'ideologia staliniana sono ugualmente costretti a partire, e si trovano anch'essi profughi in Italia.
Da Ancona gli esuli partono su un convoglio alla volta di Bologna: si tratta di un treno merci che una volta arrivato in città permetterà loro di rifornirsi di viveri della Croce Rossa e della Pontificia Opera Assistenza per i profughi. Ma una volta arrivati in stazione, i ferrovieri si ribellano, considerando quel treno il treno dei fascisti, come verrà appellato. Parte lo sciopero e il più importante snodo ferroviario del paese si blocca: le persone vengono lasciate senza cibo, impossibilitate a scendere dal treno. Alcuni esuli ricorderanno nei loro memoriali episodi in cui il latte destinato ai bambini viene rovesciato sui binari e il cibo gettato nell'immondizia, pur di non essere dato a chi viene considerato fascista.
Reazioni di diffidenza e aperta ostilità nei confronti deli esuli in tutta Italia fu più frequente di quel che si immagina. Per questa ragione molti di loro, anche a distanza di anni, racconteranno di aver vissuto per tutta la vita con il timore di raccontare la propria storia per paura di subire discriminazioni. Una forma di memoria ed identità personali cancellate dalla vergogna.
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