Giorgio Caproni: vita, poetica, poesie scelte
1Introduzione
Un maestro elementare può essere un grande poeta del Novecento? Sì, è possibile. Pensiamo che Pessoa, grande poeta portoghese, aveva lavorato all’ufficio postale. Leopardi aveva lavorato come curatore in una casa editrice e prima ancora Giuseppe Parini aveva dato a tutti l’esempio che si poteva essere poeti pur essendo snobbati dall’alta società. Insomma lavori anti-poetici se vogliamo, ma in verità la poesia è ovunque a dispetto di quanto crediamo.
Detto questo, che forse suona retorico, ma che è importante ricordare, si può dire che sia un vero peccato sacrificare alcuni autori della nostra letteratura a scapito dei programmi scolastici. Perché sì, Caproni appartiene a quegli autori ingiustamente non proposti con continuità e assiduità nei programmi scolastici.
«Concessione Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa».
2Biografia
2.1Infanzia
Giorgio Caproni nasce a Livorno nel 1912 e visse a La Spezia durante la Prima guerra mondiale. Iniziati gli studi elementari presso le suore dell’Istituto del Sacro Cuore, li prosegue nella scuola comunale del Gigante, «un quartieraccio» di Livorno («Era così bello parlare»…, 2004, p. 81) e li completa a Genova, nella scuola Pier Maria Canevari, dove si trasferisce a dieci anni con tutta la famiglia.
Genova sarà città del cuore per Caproni per via della sua verticalità e della sua apparente irrazionalità; una città lirica, anzi addirittura «omerica», di sicuro una città dove di notte si ha l’impressione che il cielo si sia rovesciato sulla terra e sul mare.
“La mia città dagli amori in salita,
Genova mia di mare tutta scale”
(da Sirena, vv. 1-2).
L’infanzia di questo poeta fu condizionata dalle difficili condizioni economiche in cui la famiglia precipitò dopo il richiamo in guerra del padre e i tumulti sociali e politici che prepararono l’avvento del Fascismo.
Si iscrive alla scuola tecnica Antoniotto Usodimare, dedicandosi allo studio del violino. Alla tenera età di 13 anni si diploma in composizione all’istituto musicale Giuseppe Verdi. Sarà questa una passione duratura e determinante per la sua poetica.
2.2Musicista, fattorino, maestro elementare
A 18 anni comincia a darsi da fare per portare un salario a casa e accetta l’incarico di fattorino presso lo studio legale dell'avvocato Colli in via XX settembre.
A malincuore si trova costretto a rinunciare agli studi musicali, sebbene la musica non lo abbandonerà mai. Proprio in quel tempo si dedica alla lettura dei poeti cercando e gustando il nesso fondante tra parola e musica.
A seguito del diploma magistrale (1935), diventa maestro di scuola elementare: comincia così la sua carriera sulla cattedra, importantissima per lui e sempre difesa con orgoglio partendo da Rovegno, un paesino montano dell’Alta Val Trebbia.
Nel 1938 si trasferisce a Roma: sono i tempi in cui conosce una ragazza di Loco, Rosa Rettagliata, dal poeta definita come "nuova speranza” e chiamata anche “Rina” che sposò nell’agosto 1938. A Roma insegna presso la scuola Giovanni Pascoli a Trastevere.
Ma ecco che scoppia la Seconda guerra mondiale: Caproni, richiamato alle armi nel 1939, viene mandato di nuovo a Genova. Nel giugno 1940 viene inviato poi tra i monti dell’estrema frontiera occidentale a combattere la fulminea campagna di Francia.
A Roma torna spesso e volentieri perché questa città esercita e ha sempre esercitato un grande fascino su tutti gli artisti, specialmente quelli che provenienti dalla provincia. Con le sue rovine, la sua grandezza, la sua decadenza a fronte del glorioso passato, Roma è una fonte di ispirazione continua. Ma anche di contatti preziosi con cui avvicinarsi al mondo dell’editoria: una piazza ideale per farsi conoscere.
Fondamentale è infatti l’incontro con Libero Bigiaretti, narratore e giornalista che lo introduce all’ambiente letterario e artistico legato all’editore romano Luigi De Luca, che gli pubblicò Finzioni (Roma 1941).
Tramite Piero Bargellini entrò in contatto con Enrico Vallecchi, il prestigioso editore degli ermetici fiorentini che gli pubblica la raccolta Cronistoria, dove comparivano composizioni scritte nel 1942 durante i suoi vagabondaggi.
L’8 settembre del ’43 segna un momento cruciale anche nella sua vita (come in quella di tanti Italiani) e Caproni si arruola con la forze partigiane della Val Trebbia. Finita la Seconda guerra mondiale, torna all’insegnamento che sceglie come professione di vita.
2.3Roma di nuovo: gli anni della maturità
Torna a Roma (ottobre 1945), la città delle grandi promesse, ma passa nella città momenti di grande angoscia e solitudine fino al 1949. In questi anni abita da solo, vagando da un quartiere all’altro da Via Merulana a Via Mameli a Monteverde, in case malmesse, spesso senza riscaldamento.
Nel 1951 passò alla scuola Francesco Crispi per rimanervi sino al pensionamento. Però si deve dare da fare per avere un salario più alto e allora fa il correttore di bozze come secondo lavoro.
Riprende i rapporti con Bigiaretti, incontra di nuovo lo scrittore Giorgio Bassani, conosce di persona il poeta Carlo Betocchi che è a sua volta amico di Pasolini e di Bertolucci. Betocchi è forse l’amico più prezioso di Caproni, infatti lo coinvolge in svariate iniziative e condivide con lui i preziosi contatti con gli altri scrittori. Insomma: si accorge che Caproni ha bisogno di entrare nel vivo della scena poetica italiana e fa di tutto per aiutarlo.
Anche Giacomo Debenedetti lo aiuta in diversi momenti, introducendolo alla casa editrice Garzanti dove Caproni pubblica “Il seme del piangere”, una delle sue raccolte più famose.
Sono anni febbrili e continua a scrivere poesie e racconti, a collaborare a riviste letterarie, a fare il pubblicista, e a tradurre autori francesi tra cui Marcel Proust, René Char, Blaise Cendrars, André Frénaud, Louis-Ferdinand Céline e, insieme a Rodolfo Wilcock, traduce tutto il teatro di Jean Genet.
Questo incessante lavoro di traduttore ebbe anche il felice esito di migliorare il suo dettato poetico. Fa spesso ritorno a Genova per stare con la moglie.
2.4Verso la fine: la ricerca della fede e il colloquio con i morti
Caproni rivelò all’amico poeta Betocchi il desiderio di «una fede più solida, non poetica né intermittente» (Una poesia indimenticabile..., 2007, p. 205). La morte – che in fondo è un pensiero sempre costante nella vita di ognuno, e particolarmente dei poeti – lascia affiorare in Caproni i sintomi di una crisi religiosa più profonda confessata nei poemetti Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (Milano 1965).
Nel 1968 prese in affitto un appartamento a via Pio Foà 49 dove visse fino agli ultimi suoi giorni. Negli ultimi anni Caproni era riconosciuto come uno dei più grandi poeti del Novecento. Era invitato ovunque, premiato, acclamato. Eppure la malinconia e la solitudine erano sempre con lui.
Morì a Roma il 22 gennaio 1990 nella sua casa di via Pio Foà e fu sepolto nel cimitero di Loco, dove riposa accanto alla moglie Rina, morta nel 1993.
3La poetica di Caproni
3.1Musica e poesia, la voce del mare
Musica e poesia. Cioè? In una parola potremmo rispondere: voci. Il concetto di “voce” è infatti alla base della musica quanto della poesia ed è su questa che Caproni sembra basare da subito la sua ricerca che comincia nel 1936 (Come un’allegoria).
Caproni prende le distanze dell’Ermetismo che proprio in quegli anni stava avendo un ruolo di primo piano nella poesia italiana, ma si discosta anche da giganti solitari come Ungaretti o Montale. Alcuni critici propendono semmai per una vicinanza a Saba o a Gatto, ma la verità è che Caproni trova presto la via di una sua originale poetica.
La ricerca di Caproni chiama a sé un elemento archetipico che è voce e spazio insieme: il mare. La presenza del mare è spesso associata alle figure femminili, come recuperando la figura mitologiche delle Nereidi. Il mare è legato anche alle due città del poeta: Livorno e Genova, «il passato e il presente che egli tenta di equilibrare» (Ramat).
Sei donna di marine,
donna che apre riviere.
L’aria delle mattine
bianche, è la sua aria
di sale – e sono vele
al vento, sono bandiere
spiegate a bordo l’ampie
vesti tue così chiare.
(Donna che apre riviere)
3.2Lo spazio-tempo della guerra
La guerra può non essere sempre il tema delle raccolte Cronistoria, i Sonetti dell’Anniversario, le prime due parti di Stanze della funicolare. Tuttavia è di certo la scena in cui queste poesie si muovono, come un fondale necessario. Caproni mantiene sempre un lirismo soggettivo, senza scendere nei toni della diatriba politica. È interessante il recupero dell’endecasillabo e, quasi come conseguenza, del sonetto, sempre però in chiave moderna.
La strada come spera a un’apertura
improvvisa nell’agro! Un corollario
d’armoniosi bicicli sull’erbura
suburbana diparte – al solitario
petto rimuove l’ansante frescura
delle giovani bocche. Anniversario
di pena! E ancora è bianca la pianura
perduta, dove il sole lapidario
di marzo specchia ossari giovanili
sopra i selci in sollievo – dove suona
melodica in un’aria d’api ai fili
di rame la giornata. Ah tu perdona
se ho cuore – se non so troncare i fili
d’orgasmo, e anche una brezza m’appassiona!
(Sonetti dell’Anniversario, XV)
Nelle poesie di Caproni si percepisce la «consacrazione della virtù spirituale insita nella pura fisicità di cose e persone» (Ramat). Il senso del sacro è propedeutico alla ricerca di una fede più solida e convinta. A questo si unisce la ricerca di una dimensione anti-eroica, non più quindi una letteratura di spazi esterni sentiti come selvaggi e avventurosi (sul mito di Ulisse), ma una dimensione intima del mondo contraddistinta dallo spirito familiare che si rifà invece alla figura di Enea.
Il passaggio di Enea è infatti il titolo complessivo delle poesie di questo primo periodo. Enea è dunque una figura chiave per Caproni intanto perché è legato all’impressione suscitata da un piccolo monumento di Francesco Baratta (1726) che si trova Genova in Piazza Bandiera che rappresenta Enea con il vecchio Anchise sulle spalle e il piccolo Ascanio per mano. Coincidenza vuole che sia stata una delle piazze più bombardate d’Italia.
Per capire invece la sensazione poetica del passaggio di Enea basta leggere questi versi tratti da «Didascalia» (vv. 1-16).
Fu in una casa rossa:
la Casa Cantoniera.
Mi ci trovai una sera
di tenebra, e pareva scossa
la mente da un transitare
continuo, come il mare.
Sentivo foglie secche,
nel buio, scricchiolare.
Attraversando le stecche
delle persiane, del mare
avevano la luminescenza
scheletri di luci rare.
Erano lampi erranti
d’ammotorati viandanti.
Frusciavano in me l’idea
che fosse il passaggio di Enea.
Uno spunto di Maurizio Bettini chiarisce meglio il significato di questi versi:
«(…) Caproni ode fruscii di macchine, ne vede i fari riflessi sul soffitto, e pensa che lì davanti a lui, presso quel mare che in realtà non c’è, Enea stia consumando il suo «passaggio». Il seguito della lettura chiarisce – se fosse necessario – a quale passaggio di Enea Caproni propriamente si riferisce. Si tratta di quello descritto da Virgilio alla fine del secondo libro dell’Eneide, quando Enea, con Anchise sulle spalle e Ascanio per mano – nella notte ha ormai perduto la moglie Creusa – cerca scampo per sé e per i suoi fuggendo verso la costa che giace sotto il monte Ida: per imbarcarsi da lì sulle navi che lo porteranno lontano da Troia distrutta. Un gruppo di esuli dal cuore straziato, spinti dalla speranza (invero disperata) di chi fugge dalla rovina senza sapere se, per caso, non debba attendersene una peggiore» (Maurizio Bettini).
3.3Il seme del piangere (1959)
La sua raccolta più importante è “Il seme del piangere” in cui Caproni canta la sua «madre bambina», Annina, avvicinando il grande tema della morte.
Il titolo è una ripresa dantesca dal XXXI canto del Purgatorio. La citazione è molto significativa e vale la pena spiegarla: Beatrice sta spiegando a Dante il passaggio nell’altra vita, il valore effimero dei beni terreni (compreso il corpo), e come avrebbe dovuto seguirlo in alto per non perdere l’amore.
È dunque una raccolta che affronta la realtà della morte ma anche la volontà di trascendenza e di immortalità di chi resta sulla terra. Il fatto poi che questi versi siano del Purgatorio sembra alludere al fatto che ciascuno di noi è in attesa di quel viaggio finale – il passaggio dall’altra parte. Tutti sono quindi in attesa e tutti si affidano al ricordo e alla nostalgia di chi se n’è andato.
La stanza dove lavorava
tutta di porto odorava.
che bianche e vive folate
v’entravano, di vele alzate!
Prendeva di rimorchiatore,
Battendole in petto, il cuore.
Prendeva d’aperto e di vita,
Il lino, tra le sue dita.
Ragazzi in pantaloni corti,
E magri, lungo i Fossi,
aizzandosi per nome
giocavano, a pallone.
(Annina li guardava
Di sottecchi, e come
– di voglia – accelerava
l’ago, che luccicava!)
3.4Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965) e Il Muro della terra (1975)
Caproni viaggia in treno di notte e la notte per tutti i poeti è il massimo momento di riflessione e ispirazione. A partire dagli anni ’60, tra i vari riconoscimenti e il riconoscimento internazionale, come abbiamo visto, Caproni cerca poi di trovare un varco verso la trascendenza e la spiritualità, se non proprio verso una religiosità vera e propria. L’allegoria del viaggio è uno dei temi eterni della letteratura.
Da un punto di vista tematico in queste due raccolte c’è naturalmente la logica conseguenza di quanto già approfondito in precedenza: «il tema della perdita e della vana ricerca della propria identità, cui s’intreccia quello della morte di Dio» (Mengaldo).
Emerge allora il «poeta-protagonista (…) un uomo sempre in transito e in fuga, sempre tangenziale alla vita che pure ama appassionatamente» (Mengaldo). Un piccolo stralcio dal poemetto “Congedo del viaggiatore cerimonioso” che suona come la confessione del poeta al suo pubblico, come se noi (pubblico) fossimo pendolari che vanno insieme sul grande convoglio della vita. E a un certo punto, dopo essersi dette tante cose nella sorprendente intimità di cui solo gli sconosciuti sono talvolta capaci, ci si saluta. Buon viaggio.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte;
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.