Giambattista Vico è nato a Napoli il 23 giugno 1668 e
morto a Napoli il 23 gennaio 1744. Ha condotto disordinati studi letterari, filosofici e giuridici. Mentre era precettore a Portici ha pubblicato
componimenti d’occasione e orazioni latine, finché nel 1699 è entrato nell’
Accademia Palatina ottenendo anche, per concorso, la
cattedra di retorica all’Università di Napoli con l’obbligo di comporre le orazioni inaugurali dell’anno accademico. Nel 1710 ha pubblicato
De antiquissima italorum sapientia che precorre lo storicismo di Kant, e dal 1725
La scienza nuova. Ha raccontato le sue difficoltà esistenziali nell’
Autobiografia del 1728.
Opere principali:
Affetti di un disperato (1693);
Orazioni inaugurali (1699-1706);
Criterio degli studi del nostro tempo (1708);
De antiquissima italorum sapientia (1710);
Vita di Antonio Carafa (1716);
Principi di una scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni (1725, 1730, 1744);
Vindiciae (1729);
De mente heroica (1732-33). Opponendosi al
razionalismo aprioristico e matematico cartesiano, Vico rivendica una “nuova scienza” basata sul
valore del criterio storico e sociale. Poiché la conoscenza della natura è preclusa all’uomo,
il sapere è valido solo nell’ambito storico, in quanto la storia, dove il vero e il fatto coincidono, è opera nostra. Essa ci mostra una sempre rinnovata
successione di tre fasi nei popoli: una primitiva e teoretica, una eroica e poetica, una civile e veramente umana. Questi
corsi e ricorsi storici avvengono nel tempo e per opera umana, ma secondo un piano eterno, provvidenziale, divino. Notevole in Vico è il principio, poi universalmente seguito, d’
interpretare la vita dei popoli antichi dai documenti che ne restano (in primo luogo la lingua), cercando così di fondare la
filosofia sociale sull’analisi delle radici comuni dei vari vocaboli usati dalle genti.