Filosofi naturalisti, ionici e pitagorici
Indice
1I filosofi naturalisti
La filosofia inizia quando alcuni pensatori greci, nel VI secolo a. C., rivolsero la loro attenzione alla “natura” e al principio da cui tutte le cose hanno origine. Questa affermazione, però, merita di essere adeguatamente compresa e spiegata. Con “natura”, gli antichi non intendevano il significato che noi moderni attribuiamo al termine ma qualcosa di molto diverso. La phýsis, che noi traduciamo per comodità con “natura”, era la totalità di tutto ciò che esiste e, soprattutto, era la realtà prima e fondamentale, eterna e unica.
Secondo il grande filosofo Aristotele, dunque, i primi filosofi erano dei “fisici” o “fisiologi”, cioè degli studiosi della phýsis o “naturalisti”.
Le domande fondamentali dei primi filosofi potrebbero essere così riassunte:
- In che modo si è originata la realtà?
- Davanti alla molteplicità delle cose del mondo e al loro continuo mutamento, esiste qualcosa che rimane uguale e stabile?
- Esiste qualcosa di unico e originario che sta alla base di tutte le cose del mondo?
I primi filosofi si mossero così alla ricerca della cosiddetta arché, cioè il principio di tutto ciò che esiste. La grande differenza rispetto al passato, che costituì anche la base stessa su cui poté fondarsi la disciplina filosofica, fu l’assenza di una risposta che faceva riferimento al mito e all’immaginazione. Si cercava di spiegare la natura con un principio interno alla natura e servendosi di un ragionamento logico e non di una spiegazione di tipo religioso-fantastico.
Ma entriamo adesso nello specifico e conosciamo le prime, in ordine di tempo, scuole filosofiche che studiarono la phýsis e ricercarono l’arché.
2Gli ionici
2.1La scuola ionica di Mileto
Sulle coste meridionali dell’Asia Minore (l’attuale Turchia), si sviluppò, nel VI secolo, una civiltà vivace che, soprattutto grazie ad una dinamica classe di mercanti e al consolidamento di forme democratiche di governo, si fece artefice di una nuova cultura e di un nuovo modo di leggere e studiare razionalmente i fenomeni naturali. È proprio nella regione della Ionia, infatti, che incontriamo i primi filosofi: personaggi che assommavano, al tempo stesso, le qualità di pensatori, scienziati, politici.
La scuola ionica di Mileto fu sicuramente l’espressione più riuscita di questa nuova tendenza e, tra i suoi più noti membri (Talete, Anassimandro, Anassimene), possiamo rintracciare una comune indagine e un analogo punto di partenza. Quest’ultimo è senz’altro costituito dalla ricerca dell’arché, variamente inteso.
Nonostante le differenze, il principio, per gli ionici, era:
- Una materia originaria dotata di una forza propria che, per muoversi, non aveva bisogno di nessun contributo esterno (ilozoismo);
- Identificato con il divino (panteismo: tutto è dio);
- Unico (monismo).
2.2Talete
Talete è il fondatore della scuola ionica e le notizie sulla sua vita appaiono assai incerte. Visse tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo e rispecchiò in pieno la nuova figura del filosofo poliedrico: fu, infatti, al tempo stesso, pensatore, matematico, astronomo, politico e fisico.
Nonostante la tradizione lo riconosca come l’iniziatore della filosofia occidentale, di lui non conserviamo nessuno scritto.
Ciò che sappiamo lo dobbiamo al filosofo Aristotele che di lui scrive:
«Talete dice che il principio è l’acqua, perciò anche sosteneva che la Terra sta sopra l’acqua”. Dunque, l’archè di Talete è l’acqua in quanto:
- Sostiene materialmente la Terra
- Tutto si origina dall’acqua e tutto torna nell’acqua.
- Tutto ciò che esiste presuppone l’acqua.
Secondo Aristotele, Talete avrebbe tratto questa convinzione dalla constatazione che “il nutrimento di ogni cosa è umido” e che, dunque, ogni cosa che esiste presuppone l’acqua. Persino il caldo, prosegue Aristotele, ha bisogno dell’umido per generarsi.
“tutto è pieno di dei”: In questo senso è spiegabile l’importante proposizione di Talete: «tutto è pieno di dei», intendendo come l’acqua (il principio originario che coincide con il divino) sia alla base e vivifichi tutto ciò che esiste.
2.3Anassimandro
Anassimandro fu con molta probabilità un discepolo di Talete e, anche lui, si distinse per le sue abilità di politico e astronomo. Fu autore del primo testo filosofico della storia, che è al tempo stesso il primo scritto in prosa dei Greci.
L’àpeiron: L’arché di Anassimandro non era un particolare elemento naturale ma era riconosciuto nel cosiddetto àpeiron che significa ciò che è privo di limiti, sia interni (ovvero ciò che non ha differenze al suo interno) sia esterni (ovvero ciò che è spazialmente infinito). Sarà utile chiarire cosa intendiamo con questa proposizione.
Per Anassimandro l’àpeiron era una realtà unica, infinita, immortale, ingenerata. Tutte caratteristiche evidentemente divine. Dobbiamo immaginarla come un’enorme sostanza che governa e abbraccia tutto ciò che esiste, senza però che i suoi elementi (le cose del mondo) siano ancora distinti gli uni dagli altri.
Ma come prendono vita le cose del mondo?
Anassimandro, al contrario di Talete, cerca di spiegare razionalmente come, da un principio originario unico, nascano le diverse e molteplici realtà del mondo.
Secondo Anassimandro, l’apeiron era dotato di un movimento eterno che portava i contrari, in primis il caldo e il freddo, a separarsi dalla sostanza originaria. Da questa separazione sarebbero nati infiniti mondi, tutti destinati a morire e a ricongiungersi, come in un ciclo cosmico infinito, nuovamente nell’àpeiron.
Ma il genio di Anassimandro è evidente anche nella sua visione del cosmo, secondo cui:
- L’universo è infinito e il nostro mondo non ne è che una piccola parte, destinata a perire
- Gli uomini sono stati originati da altri animali, e probabilmente dai pesci.
2.4Anassimene
Anassimene fu, probabilmente, allievo di Anassimandro e, seguendo i suoi predecessori, incentrò la sua speculazione sulla ricerca dell’archè. Il principio da lui individuato era l’aria, intesa come sostanza primordiale infinita, dotata di un movimento perenne e da cui tutto si genera.
Secondo Anassimene, infatti, tutto derivava dall’aria, come risultato del duplice processo della condensazione (si raffredda e diventa acqua e poi terra) e rarefazione (si riscalda e diventa fuoco). Dall’aria, dunque, tutto ha origine e nell’aria tutto si risolverà. Ogni cosa nasce e muore seguendo un ciclo cosmico infinito.
3I pitagorici
3.1La scuola pitagorica
Pitagora nacque a Samo nel VI secolo e la sua vita è avvolta nel mistero. Seguendo la tradizione, il filosofo partì alla volta dell’Italia e, a Crotone, fondò la sua scuola che, in forza del suo successo, trovò analoghi in altre città dell’Italia meridionale e della Sicilia.
Pare che Pitagora non abbia mai messo per iscritto nessuna delle sue teorie e che il suo insegnamento sia stato prevalentemente orale. Sulle dottrine a lui direttamente riferite sappiamo ben poco e già il filosofo Aristotele piuttosto che parlare del pensiero di Pitagora, preferiva parlare dei “pitagorici”, ovvero Pitagora e i suoi discepoli.
La confusione circa la paternità delle dottrine, che ci spinge a considerare in blocco le elaborazioni originarie e quelle successive (in un periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del IV secolo a. C.), ci dà a buon diritto la possibilità di riferirci alla Scuola pitagorica nel suo complesso.
Questa indeterminatezza è facilmente comprensibile se analizziamo le caratteristiche della figura di Pitagora e della scuola da lui fondata:
- Il maestro assunse delle caratteristiche quasi divine, era venerato e mai contraddetto;
- La Scuola era una setta, una confraternita religiosa: gli adepti non potevano diffondere fuori dalla scuola le dottrine, dovevano osservare delle rigide regole comportamentali e praticare un determinato stile di vita.
Analizziamo ora le dottrine fondamentali di questa scuola.
3.2Il numero come principio
Anche i pitagorici si mossero alla ricerca dell’arché che stavolta, però, non assunse più le sembianze di un elemento naturale (l’acqua, l’aria ecc) ma qualcosa di molto diverso: il principio della realtà era il numero.
È necessario chiarire cosa intendessero i pitagorici e in che modo raggiunsero tale convinzione.
- Il numero non era un’astrazione ma qualcosa di molto concreto, solido. Il numero corrispondeva a un punto nello spazio e le figure geometriche erano formate da un insieme di punti, cioè numeri, disposti in un certo modo.
- Fu sorprendente per i pitagorici notare come il mondo fosse dominato da una certa regolarità matematica (cioè da rapporti tra numeri) e ciò li portò a trovare curiose e originali corrispondenze tra i numeri e i fenomeni naturali.
Tutte le cose derivano dunque dai numeri e dalla loro opposizione fondamentale (pari e dispari), a cui si affiancavano altre coppie di opposti (destra-sinistra, bene-male ecc).
3.3La concezione del mondo
Secondo i Pitagorici il mondo appariva come ordine, in greco kòsmos, da cui deriva la parola cosmo. Difatti, tutto nell’universo era conciliato da un principio di armonia universale, analogo a quello rappresentato dai rapporti numerici della musica.
Gli stessi corpi celesti (Sole, Luna e pianeti), muovendosi, avrebbero prodotto una sorte di “celeste musica”, una “armonia delle sfere”, “che le nostre orecchie non percepiscono, o non sanno più distinguere, perché abituate da sempre a sentirla”.
Ma le concezioni astronomiche dei pitagorici erano a tal punto evolute, da farli apparire come dei veri e propri precursori della scienza moderna. Sostenevano infatti:
- che la Terra e tutti i corpi celesti fossero sferici;
- che la Terra ruotasse intorno al proprio asse;
- che la Terra non fosse il centro il mondo ma che ruotasse, insieme a tutti gli altri corpi celesti, intorno ad un “fuoco centrale” che plasmava e ordinava la materia circostante.
3.4La concezione dell'uomo
I pitagorici credevano nella metempsicosi, ovvero nella migrazione dell’anima, dopo la morte, in corpi di altri uomini o animali. La credenza nella reincarnazione era estremamente connessa al concetto di colpa, di ingiustizia originaria, di cui tutti gli esseri nascendo si sarebbero macchiati. Il corpo assumeva dunque le sembianze di una “prigione” in cui veniva rinchiusa l’anima (la parte nobile dell’uomo), costretta a scontare la sua pena.
Per i pitagorici l’unico modo per liberare l’anima dal corpo e ritornare a vivere tra gli dèi era quello di purificarsi. Lo strumento di purificazione per eccellenza era la scienza che assumeva le caratteristiche di una vita finalizzata alla ricerca del bene e della verità tramite la conoscenza.
Solo dedicandosi alla scienza e attuando rigidi precetti morali l’uomo avrebbe potuto vivere come un vero e proprio “seguace di dio”.
Non sembra dunque strano comprendere a questo punto come i pitagorici furono i primi ad indicare nel cervello il centro della vita spirituale dell’uomo (in un periodo in cui si credeva che tale organo fosse il cuore).
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Domande & Risposte
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Chi sono i naturalisti ionici?
Sono i filosofi della scuola di Mileto.
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Chi sono gli esponenti della scuola di Mileto?
Talete, Anassimandro e Anassimene.
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Cosa sostengono i filosofi pitagorici?
Secondo i pitagorici tra l'anima e il corpo c'è un dissidio insanabile: il corpo è mortale e impuro, mentre l'anima è immortale. Il rimedio al male della vita corporea è la ricerca e la conoscenza.