Filologia: definizione, storia e caratteristiche
Indice
- Cos'è la filologia? Significato e origini
- La filologia di Lorenzo Valla
- Filologia di tradizione: quando manca l'originale
- Filologia dantesca: un caso particolare della filologia di tradizione
- Filologia d'autore: quando l'originale c'è ma interessa la genesi di un testo
- Filologia germanica, cos’è e cosa studia
- Concetti chiave
1Cos'è la filologia? Significato e origini
Il termine filologia deriva dal greco e significa ‘amore per la parola’ o anche ‘amore per il discorso’ (philos + logos). «Filologia» è parola che si accosta ad aggettivi come ‘germanica’, ‘classica’, ‘romanza’, ‘italiana’, etc. ciascuna descrivendo un preciso campo di indagine che riguarda la lingua e la letteratura di una determinata tradizione linguistico-letteraria.
La filologia riguarda in buona parte la “critica del testo” (detta anche “ecdotica”): cioè le tecniche con cui si ricostruisce un testo e lo si edita in una “edizione critica”. Servono alcune specifiche metodologie e competenze e, infatti, la filologia è tra le discipline più tecniche degli studi letterari.
Si divide in due grandi branche: la “filologia di tradizione” che mira a creare un’edizione critica di un testo, e la “filologia d’autore”, che invece mira a creare un’edizione genetica. Occorre trattare separatamente queste due branche, per non fare confusione, ma prima ancora è meglio fare un po’ di storia della filologia per capire i termini della questione. Quello che è certo è che ci occupiamo da vicino dei libri e dei testi.
I primi filologi furono gli studiosi alessandrini che curarono le edizioni dell’Iliade e dell’Odissea per evitare che circolassero versioni sbagliate dei due poemi. Normalizzarono la tradizione in modo che fosse unica e controllata: servendosi di una tecnica chiamata modus scribendi (lo stile dell’autore) erano in grado di capire quando un’espressione era omerica e quando non lo era.
Anche i Romani amavano dedicarsi alla filologia: Varrone applicò i criteri dei filologi alessandrini alle commedie di Plauto per stabilire quali fossero autentiche e quali no: stabilì un canone di ventuno commedie sicuramente originali, scartando tutte le altre che erano spurie o false.
C’è poi tutto il medioevo: nei monasteri si copiavano sui “codici” i testi degli antichi papiri che andavano deteriorandosi. Il medioevo fu una specie di enorme grata attraverso cui passò la cultura antica: molte opere andarono perdute in quei secoli. I monaci amanuensi copiavano e a volte cambiavano il testo, lo correggevano, non sempre in meglio. Fu durante l’umanesimo che l’amore per il mondo classico fece sviluppare la filologia.
2La filologia di Lorenzo Valla
Un grande passo in avanti è stato fatto da Lorenzo Valla, l’umanista che dimostrò la falsità della famosa Donazione di Costantino: fu il primo ad addurre motivazioni filologiche basate su evidenze testuali. Era il principio di una svolta.
Anche Erasmo da Rotterdam applicò il metodo filologico nientemeno che alle Sacre Scritture, ritenute intoccabili, essendo parola di Dio, scoprendo diversi errori nati dalle traduzioni dall’aramaico al greco e dal greco al latino.
Nella seconda metà del 1800 la scuola tedesca divenne l’avanguardia della filologia. Infatti il metodo filologico fu perfezionato da Karl Harold Lachmann che intendeva renderlo più scientifico. Su cosa si basava? Sugli errori. Gli errori, infatti, possono rivelare i gradi di parentela tra i “codici”, nome che si dà ai manoscritti medievali. Gli errori possono essere monogenetici o poligenetici. L’originale è ritenuto privo di errori, perciò, se conosco i gradi di parentela tra le copie sopravvissute – cioè “chi ha copiato da chi” – posso risalire indietro e avvicinarmi all’originale, che sarebbe il testo scritto sotto diretta sorveglianza dell’autore o addirittura di suo pugno (originale che di solito è andato perduto). Così possiamo capire chi ha sbagliato per primo, e correggere.
3Filologia di tradizione: quando manca l'originale
Lachmann, dicevamo, ha perfezionato un metodo basato sul confronto delle copie. Ricordiamoci che non esistono gli originali delle opere della letteratura greca, né della letteratura latina e almeno fino a Dante compreso. Quando l’originale è perduto, ogni copia superstite prende il nome di testimone. Dunque dei testi molto antichi possediamo solo i testimoni prodottisi nel tempo grazie ai copisti: l’insieme dei testimoni costituisce la tradizione. Se vogliamo stabilire con una buona approssimazione come doveva essere il De bello gallico di Cesare, l’Aiace di Sofocle o la Divina Commedia di Dante dovremo utilizzare alcune tecniche precise.
Ti ricordo che tutti i testimoni sono diversi tra loro: ognuno contiene errori. Il filologo è come l’investigatore: deve capire chi sta dicendo una ‘bugia’. Lachmann stabilisce alcune fasi di lavoro: Recensio, Eliminatio codicum descriptorum, collatio, redazione di uno stemma codicum, emendatio, editio.
Ti offro un esempio più concreto che spero possa aiutarti. Hai presente il gioco del telefono senza fili? Quello in cui ci si sussurra all’orecchio una parola che, naturalmente, viene corrotta e cambiata di volta in volta? La filologia di tradizione vuole fare questo percorso a ritroso e Lachmann spiega in che modo possiamo risalire all’originale. Mettiamolo subito in chiaro: giungere all’originale è praticamente impossibile. Ci si deve accontentare di giungere all’archetipo, che sarebbe la versione più vicina all’originale.
Adesso fai attenzione: immagina un testo che si è diffuso di copia in copia: pensa a un testo qualunque, che so, agli appunti di italiano di un tuo compagno. Sei stato assente a scuola e devi farti prestare il quaderno e copiarli. Immagina cosa può succedere:
- a un certo punto troverai una parola illeggibile, che correggerai cercando di intuire cosa volesse scrivere il tuo compagno;
- troverai un’espressione che riesci a leggere, ma magari ti sembra insensata: allora la cambi;
- oppure sbaglierai a copiare perché hai fretta o sei stanco o perché non ci vedi bene o perché la penna non funziona a dovere: farai cioè uno o più lapsus calami. Sono gli stessi errori magari occorsi al tuo compagno mentre scriveva, ma per te ce n’è in più qualcun altro dovuto al gesto vero e proprio di copiare.
Ecco: se correggi gli errori palesi, va bene, perché gli errori più evidenti e meccanici si correggono facilmente; se ci sono porzioni di testo che mancano puoi completare tramite confronto con altri testi (proprio come faresti se ti mancassero degli appunti di una materia); in ogni caso ti muovi all’interno dell’emendatio ope codicum, correzione per opera dei codici, cioè grazie al confronto con un codice più corretto o più completo.
Se però correggi senza farti problemi e senza usare un metodo, ma semplicemente usando il tuo personale gusto, allora stai diventando un “conciere”.
Tuttavia ci sono gli errori chiamati “varianti adiafore”, croce e delizia dei filologi: sono degli errori che non creano problemi di senso al testo e sono mimetizzati nel testo. Le varianti di un testo sono loci critici. Il filologo deve usare tutta la sua bravura per risolvere l’enigma. Bisogna cioè lavorare per emendatio ope ingenii, correzione per opera dell’ingegno, dunque lavorare di ragionamento e intuito e capire quale può essere la versione giusta di partenza. Il filologo è un investigatore: deve avere fiuto per l’errore.
Immaginiamo che un altro compagno ti chieda il quaderno. Anche lui troverà i medesimi problemi che hai riscontrato tu e quindi il testo varierà ancora. Se invece copierà direttamente dal compagno da cui tu stesso hai copiato potrà sbagliare altre cose che tu invece hai scritto correttamente e copiare in modo corretto passi che tu hai sbagliato. Ripeti idealmente questo esperimento e potrai accorgerti che verranno fuori versioni di questi benedetti appunti di italiano molto diverse tra loro, pur essendo indubitabilmente gli stessi appunti dello stesso argomento e provenienti da un’unica fonte originaria.
Questo è il mondo della filologia. Capisci che bella matassa da sbrogliare? Quando ci sono più copie si crea la “tradizione” di un’opera.
4Filologia dantesca: un caso particolare della filologia di tradizione
Adesso approfitto per spiegarti la croce e delizia della filologia italiana: la filologia dantesca. Immagina che questo imbroglio di errori occorso ai tuoi appunti si verifichi per un’opera come la Divina Commedia, decisamente più estesa e di cui, appunto, non possediamo l’originale, ma solo copie. Immagina la diffusione che ha avuto. Anche solo pensare a una recensio completa è quasi impossibile.
Quest’opera monumentale ha avuto una tradizione complessissima e fare un’edizione critica della Commedia è impresa ardua per tre ragioni principali:
- Dante non l’ha diffusa una volta finita, ma per gruppi di canti: quindi la tradizione è proceduta in modo irregolare, perché alcuni codici contengono solo 20 canti dell’Inferno, altri 10 canti del Purgatorio, altri solo il Paradiso e così via.
- Dato che non c’erano versioni complete, per avere un codice che contenesse tutti e 100 i canti si è dovuto fare una “colletta” tra più codici, alterando ulteriormente la tradizione: cioè da un codice ho preso l’Inferno, da un altro il Purgatorio, da un altro 10 canti del Paradiso, da un altro i rimanenti 23 del Paradiso. Gli errori sono cresciuti in modo esponenziale a causa della “contaminazione”.
- A un certo punto è arrivato Giovanni Boccaccio, il primo grande dantista della nostra letteratura, ma filologicamente un po’ pasticcione: cioè è stato un conciere, ha creato un’edizione della Commedia molto manipolata, che ha avuto una diffusione larghissima, spaccando a metà la tradizione.
Un bel guaio. La Commedia, pur con tutti gli sviluppi della Filologia italiana, presenta una quantità particolarmente ampia di loci critici: 396. Ancora oggi è difficile scegliere un metodo valido per avvicinarci all’originale voluto dal nostro sommo poeta.
5Filologia d'autore: quando l'originale c'è ma interessa la genesi di un testo
Prendiamo Giacomo Leopardi, poeta che tutti conosciamo. Sapete che le redazioni di A Silvia sono numerose? Giacomo era in dubbio se scrivere “Silvia, sovvienti ancora” – “Silvia, rammenti ancora” – “Silvia, rimembri ancora”. Scelse l’ultima, come sappiamo, ma abbiamo testimonianza di queste diverse fasi.
La filologia d’autore si occupa di ricostruire i vari passaggi, prendendo tutti gli abbozzi, le prime e le seconde stesure di una poesia o di un romanzo, le varie bozze… insomma tutta la fase intermedia della lavorazione in cui possiamo vedere cosa ha portato un autore a fare le sue scelte lessicali, stilistiche, poetiche. È qualcosa, se vogliamo, di intimo: si sbircia nel processo creativo dell’autore. Sembrerebbe una fatica inutile studiare queste varianti dal momento che il testo c’è, ufficiale, approvato. Riconosco di averlo pensato molte volte.
Ma, pensandoci bene, non è così: le varianti d’autore (cioè due versioni di uno stesso passo, create dall’autore stesso) possono avere una rilevanza storico-letteraria notevolissima.
L’obiettivo della filologia d’autore è l’edizione genetica con apparato sincronico o diacronico: vale a dire:
- sincronico: tutte le diverse lezioni di una frase si possono vedere contemporaneamente;
- diacronico: le lezioni sono messe in ordine cronologico.
6Filologia germanica, cos’è e cosa studia
La filologia germanica è lo studio delle fonti scritte e orali delle lingue germaniche. Studia come si sono sviluppate queste lingue nel corso dei secoli secondo una prospettiva storica e comparativa.
Sviluppatasi a partire dal XVI secolo, acquisisce rigore scientifico solo nel XIX, grazie agli studi di grammatica comparata e storia del testo portati avanti da studiosi come Jacob Grimm, autore della prima legge fonetica, quella della rotazione consonantica, e autore assieme al fratello Wilhelm della famosa raccolta di fiabe.
Nei primi secoli gli studiosi si dedicarono alla ricostruzione di norme ortografiche, fonetiche e agli studi grammaticali, attualmente gli studi accademici si concentrano sul lavoro di ricerca incentrato su opere in inglese e tedesco medievale e sulla linguistica comparativa.