Fedro: biografia, opere, favole
Indice
1Fedro
Fedro è uno dei pochi autori della fase imperiale di nascita non libera. Nacque durante il principato di Augusto, nel 20 a.C. (ca.) in Macedonia o in Tracia, e fu affrancato dallo stesso imperatore – nei manoscritti è indicato infatti come libertus Augusti – per dedicarsi forse all’insegnamento grazie alle sue capacità letterarie.
Scrisse sotto Tiberio, Caligola e Claudio. Le favole di Fedro offrono un’analisi amara del potere e del sopruso sui più deboli, e per questo urtarono la sensibilità dei potenti poiché era un’epoca in cui non esisteva più la vera libertà di parola. Fu sottoposto a processo e condannato e neanche dopo la morte di Seiano fu riabilitato. Morì intorno al 50 d.C., all’inizio dell’età neroniana.
2Le Fabulae di Fedro
Sotto il nome di Fedro, ci sono state tramandate poco più di novanta Fabulae, suddivise in cinque libri, e tutte scritte in senari giambici. Sono sue anche le circa trenta favole che costituiscono l’Appendix Perottina, dal nome dall'umanista Niccolò Perotti, curatore della raccolta (nel Medioevo e nell’Umanesimo per favole, novelle, facezie e proverbi compare la figura del compilator). Di altre ci resta la parafrasi in prosa. Per stessa ammissione dell’autore, le favole sono modellate su quelle di Esopo, il celebre favolista greco.
Tuttavia con orgoglio Fedro sottolinea che le sue sono favole esopiche e non mere traduzioni (o copiature) di Esopo. Dunque rivendica l’originalità nell’imitazione della materia.
Così, infatti, scrive nel Prologo del primo libro:
Aesopus auctor quam materiam repperit,
hanc ego polivi versibus senariis.
Duplex libelli dos est: quod risum movet,
et quod prudenti vitam consilio monet.
Calumniari si quis autem voluerit,
quod arbores loquantur, non tantum ferae,
fictis iocari nos meminerit fabulis.
[Io resi più bello in versi senari quel materiale che Esopo ha per primo inventato. Doppio è il merito del libretto: muove al riso e con saggi consigli ammaestra a ben vivere. Se qualcuno avrà voglia di muovere critiche per il fatto che gli alberi, e non soltanto gli animali parlano, si ricordi che io amo scherzare con racconti immaginari]
La scelta della forma poetica è quindi una grande novità: la favola assume con Fedro una sua dignità letteraria che tanto seguito avrà nei secoli, fino a Trilussa nella poesia romanesca, o all’Orwell di “Animal farm” o del Buzzati dei racconti e degli Elzeviri in cui fiaba e favola si intrecciano. Fedro è insomma un autore importante proprio perché si è dedicato a un genere minore che poi nel tempo si è affermato e ha influenzato anche la novellistica europea. Egli è il primo autore che confeziona le favole in autonoma opera poetica.
Pur essendo il continuatore di un genere formalizzato da Esopo, lo innova, dilatandone gli orizzonti e adattandolo alla tradizione culturale latina e, di fatto, perfezionandolo. Il fatto di adattare la prosa favolistica in poesia, con l’utilizzo del senario giambico come metro per le sue composizioni si riallaccia alla versificazione latina arcaica, mostrando quanto la favola fosse degna di un verso così importante per la tradizione letteraria greca e romana.
Inoltre nell’ultima fase della produzione, Fedro costruisce dei racconti più articolati in cui compaiono anche dei personaggi umani tratti dalla mitologia o dalla storia di Roma (come Pompeo, Augusto, Tiberio, etc.). In questi racconti Fedro riprende la tradizione del racconto realistico e sembra avvicinarsi alla fabula Milesia, madre della novellistica italiana ed europea.
La struttura dell’opera è la seguente:
- I libro (31 favole) fu scritto subito dopo la morte di Augusto;
- II (8) durante il ritiro di Tiberio a Capri;
- III (19) il IV (25) e il V (10) sotto Caligola e sotto Claudio.
3Fedro e le favole di Esopo
Tutti abbiamo letto le favole di Esopo, scrittore greco del VI sec. a. C., padre di questo genere letterario, e le associamo a dei proverbi come “chi troppo vuole, nulla stringe”; “a lavare la testa all’asino, ci si rimette il tempo e il sapone” (equivalente più o meno di “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”); “chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia, ma non sa quel che trova”; “l’apparenza inganna”; “tra i due litiganti il terzo gode”, eccetera.
I proverbi sono l’enunciazione diretta di una morale che ha bisogno però di un exemplum – un esempio, un paradigma, una parabola – perché il discorso assuma piena evidenza.
La favola serve a questo: attraverso un impianto allegorico (gli animali rappresentano vizi e virtù dell’uomo) si dà evidenza a questa morale. In questo senso i personaggi e le situazioni pur diversi, sono inseriti in una struttura ricorrente: due o più animali si contendono un bene o stringono un improbabile patto. Il tutto si risolve attraverso il dialogo che è il fulcro della favola esopica.
A Roma, prima di Fedro questa materia ebbe diffusione esclusivamente orale – e non ci stupisce perché anche i proverbi circolano ancora così – e soprattutto fra le classi più umili.
Tuttavia la fabula cominciò a collimare nel genere satirico, stando agli indizi su Ennio e Lucilio, e secondo l'opera dello stesso Orazio. Fu quest’ultimo, infatti, a scrivere il famoso apologo del topo di città e del topo di campagna, nonché richiami alle favole della rana e del bue, del cavallo e del cervo, della volpe e della donnola, contenute negli "Epodi" e soprattutto nelle “Satire". Questa è la tradizione che precede Fedro, il quale sceglie di compiere l’ulteriore passo in avanti per legittimarla nella letteratura.
Vediamo un esempio di fabula: la nota favola del lupo e l’agnello:
Lupus et agnus (Fab. I,1)
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant,
siti compulsi. Superior stabat lupus,
longeque inferior agnus. Tunc fauce improba
latro incitatus iurgii causam intulit;
Cur, inquit, turbulentam fecisti mihi
aquam bibenti?. Laniger contra timens:
"Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?
A te decurrit ad meos haustus liquor".
Repulsus ille veritatis viribus:
Ante hos sex menses male, ait, dixisti mihi.
Respondit agnus: Equidem natus non eram.
Pater hercle tuus ibi, ille inquit, male dixit mihi.
Atque ita correptum lacerat iniusta nece.
Haec propter illos scripta est homines fabula
qui fictis causis innocentes opprimunt.
[Il lupo e l’agnello: Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, andarono allo stesso ruscello. Il lupo stava più in alto ed assai più in giù l'agnello. Spinto da ingorda voracità, quel ladrone cercò un pretesto per litigare; Perché, chiese, intorbidi l'acqua a me che sto bevendo? L’agnello a sua volta trepidante: "Come posso, di grazia, fare ciò di cui tu ti lamenti o lupo? L'acqua scorre da te alle mie labbra”. Quello (il lupo) contraddetto dalla forza dell'evidenza (disse): "Sei mesi fa hai sparlato di me”. Rispose l'agnello: "In verità non ero ancora nato”. "Per Ercole, allora, fu tuo padre" continuò il lupo "a sparlare di me" e così dicendo l'afferra e lo sbrana ingiustamente. Questa favola è stata scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con accuse false]
La struttura è semplice: alla situazione iniziale fa subito seguito la rottura dell’equilibrio ottenuta con le parole e con il fatto (in questo caso, prima le parole e poi il fatto). L’epilogo introduce la morale messa alla fine (ma può anche essere indicata all’inizio).
È molto bello il riadattamento di questo testo in romanesco ad opera di Trilussa: “L’agnello infurbito”.
Un Lupo che beveva in un ruscello
vidde, dall'antra parte de la riva,
l'immancabbile Agnello.
— Perché nun venghi qui? — je chiese er Lupo —
L'acqua, in quer punto, è torbida e cattiva
e un porco ce fa spesso er semicupo.
Da me, che nun ce bazzica er bestiame,
er ruscelletto è limpido e pulito... —
L'Agnello disse: — Accetterò l'invito
quanno avrò sete e tu nun avrai fame.
4I temi della favole di Fedro: un pessimismo fatalistico
Nonostante la loro apparenza giocosa, le favole fedriane trasmettono una visione tutt’altro che felice della società. Non dobbiamo dimenticare che il buonsenso popolare è caratterizzato da una esplicita sfiducia nei confronti del futuro e del cambiamento. Le classi subalterne sanno che i deboli e gli emarginati esisteranno sempre e che per i poveri cambiare padrone ha meno valore che per i ricchi.
Fedro, dunque, attualizzando l’opera di Esopo la rende più problematica: per la prima volta ascoltiamo la voce di chi non ha voce e le sue parole suonano spesso come una denuncia al ceto dirigente che tiranneggia i poveri e gli emarginati. In modo concettualmente non diverso da Orazio, Fedro esprime la necessità di una serena accettazione dello stato delle cose e invita i più deboli alla furbizia e all’astuzia per non cadere nelle trame dei potenti (come vediamo nell’agnello e il lupo).
Quindi i destinatari dell’opera sembrano essere proprio gli oppressi e gli schiavi, ma anche i padroni che hanno così l’amara possibilità di vedere il proprio gioco scoperto e di riflettere.
Il risum movere è il mezzo attraverso cui suscitare una riflessione profonda: il saggio, infatti, coglie le spaccature e le lacerazioni della società con i suoi comportamenti spesso ipocriti. A volte sono però gli stessi sudditi a peccare di hybris e a non prendere coscienza della realtà in cui vivono.
Molto nota, a questo proposito, è la favola di Fedro mutata da Esopo che riguarda il re delle rane.
Ranae regem petunt (Fab. I, 2)
Athenae cum florerent aequis legibus,
procax libertas civitatem miscuit,
frenumque solvit pristinum licentia.
Hic conspiratis factionum partibus
arcem tyrannus occupat Pisistratus.
Cum tristem servitutem flerent Attici,
(non quia crudelis ille, sed quoniam grave
omne insuetis onus), et coepissent queri,
Aesopus talem tum fabellam rettulit.
'Ranae, vagantes liberis paludibus,
clamore magno regem petiere a Iove,
qui dissolutos mores vi compesceret.
Pater deorum risit atque illis dedit
parvum tigillum, missum quod subito vadi
motu sonoque terruit pavidum genus.
Hoc mersum limo cum iaceret diutius,
forte una tacite profert e stagno caput,
et explorato rege cunctas evocat.
Illae timore posito certatim adnatant,
lignumque supra turba petulans insilit.
Quod cum inquinassent omni contumelia,
alium rogantes regem misere ad Iovem,
inutilis quoniam esset qui fuerat datus.
Tum misit illis hydrum, qui dente aspero
corripere coepit singulas. Frustra necem
fugitant inertes; vocem praecludit metus.
Furtim igitur dant Mercurio mandata ad Iovem,
adflictis ut succurrat. Tunc contra deus
"Quia noluistis vestrum ferre" inquit "bonum,
malum perferte". Vos quoque, o cives, ait,
hoc sustinete, maius ne veniat, malum.
[Le rane chiedono a Giove un re: Allorché Atene era fiorente per merito delle giuste leggi, la libertà esagerata mise sottosopra lo stato e l'anarchia sciolse i freni di un tempo. In tali frangenti, essendosi i vari partiti politici coalizzati contro di lui, il tiranno Pisistrato occupa l’acropoli. Deplorando gli Ateniesi la loro triste schiavitù non perché egli fosse crudele ma perché ogni peso è gravoso per coloro che non vi sono abituati ed avendo iniziato a lamentarsi Esopo prese a narrare la seguente favola. Le rane che vagavano liberamente per le paludi chiesero, con grandi grida, un re a Giove affinché con la sua autorità tenesse a freno i costumi corrotti. Il padre degli dei rise e gli mandò un piccolo travicello che scagliato con violenza, a causa dell'improvviso movimento dell'acqua e (il rumore) del tonfo, spaventò le timide bestiole. Dopo essere rimaste per parecchio tempo nascoste nel fango una di esse finalmente, senza fiatare tira fuori il capo dallo stagno e, dopo aver bene osservato il re, chiama tutte le altre. Quelle, dimenticata la paura, nuotano a gara e la folla petulante sale sopra il legno. Dopo averlo ricoperto con ogni possibile insulto inviarono a Giove ambasciatori perché chiedessero un re diverso ritenendo inutile quello inviato. Mandò loro, a questo punto, un serpente che con dente terribile cominciò ad azzannarle una dopo l'altra. Inutilmente le bestiole incapaci di difendersi tentano di sfuggire la morte, la paura toglie loro la voce. Di nascosto affidano a Mercurio una supplica a Giove affinché venga in aiuto a loro afflitte. A sua volta il dio rispose: "Poiché non avete voluto il vostro bene sopportate fino alla fine il vostro male". Pure voi cittadini, disse, sopportate il male presente prima che ve ne capiti uno peggiore]
Questa favola è stata ripresa più volte nella storia letteraria: la ritroviamo nei versi di Giuseppe Giusti nella poesia Al Re Travicello, che comincia così:
Piovuto ai ranocchi
Mi levo il cappello
E piego i ginocchi;
Lo predico anch’io
Cascato da Dio:
Oh comodo, oh bello
Un Re Travicello!
Anche la favola del lupo e della gru è emblematica del pensiero di Fedro. Mai aiutare i malvagi perché non se ne cava mai niente di buono perché ignorano la riconoscenza.
Qui pretium meriti ab improbis desiderat,
Bis peccat: primum quoniam indignos adiuvat;
Impune abire deinde quia iam non potest.
Os devoratum fauce cum haereret lupi,
Magno dolore victus coepit singulos
Illicere pretio, ut illud extraherent malum.
Tandem persuasa est iure iurando gruis,
Gulaeque credens colli longitudinem,
Periculosam fecit medicinam lupo.
Pro quo cum pactum flagitaret praemium:
«Ingrata es» inquit «ore quae e nostro caput
Incolume abstuleris et mercedem postules».
[Chi chiede gratitudine ai malvagi sbaglia due volte perché aiuta chi non merita, e dopo non ne esce senza danno. Il lupo inghiottì un osso e gli rimase in gola. Il gran dolore lo rese docile, e promettendo premi e favori cercava di convincere le altre bestie, una a una, a risanarlo. Finalmente, dopo promesse, garanzie e giuramento, riuscì a convincere la gru che calando il lungo collo giù nelle terribili fauci eseguì la pericolosa operazione. Poi chiese il compenso pattuito. «Che ingrata - disse il lupo - mi hai sottratto dalla bocca la testa sana e salva, e mi vieni a parlare di compensi?»]
5Lo stile di Fedro
Nelle favole di Fedro è quasi del tutto assente un qualunque realismo descrittivo e linguistico: il mondo in cui vivono gli animali allegorici è anzi piuttosto generico (volutamente), il linguaggio asciutto e poco caratterizzato (ma è una "brevitas" che lo stesso autore annovera tra i suoi pregi). Non mancano tuttavia spunti di adesione alla realtà contemporanea: Fedro non si limita sempre alla tradizionale favola d'animali, e talora (soprattutto nei libri successivi al I) sembra inventare di suo, come nel racconto che ha per protagonista l’imperatore Tiberio; altrove ricava anche aneddoti dalla storia, seguendo anche una scelta oculata che rispettasse il criterio della "variatio".
Così, non troviamo soltanto quegli animali-personaggi già assodati dalla tradizione (i più frequenti, e con un ruolo da dominatori, sono il lupo, la volpe, il cane, il leone, l'aquila, il serpente…), né le solite anonime figure umane (il ladro, i viandanti, il brigante, il buffone, il contadino…), ma anche personaggi storici (Simonide, il poeta Menandro, il tiranno Demetrio, Cesare, Socrate) o mitologici (Prometeo, Giove, Giunone), nonché lo stesso Esopo, assurto a simbolo dell'arguzia popolare.
Il "padre fondatore" del genere lascia - qui - quasi la sua palma a Fedro, divenendo poco più che un semplice personaggio fra gli altri, anche se di rilievo. Come dai proverbi, c’è molto da imparare dalle favole di Fedro anche se il mondo che dipingono non è incoraggiante e sembra, ahimè, grazie alla dimensione a-storica in cui agiscono i suoi protagonisti, che mai nulla sia cambiato e mai nulla cambierà sotto il sole.
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Domande & Risposte
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Chi è Fedro?
Uno scrittore romano del I° secolo, famoso per le sue favole che hanno un fine morale.
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Cosa ha scritto Fedro?
Circa 90 Fabulae suddivise in cinque libri e tutte scritte in senari giambici.
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Qual è il fine delle favole di Fedro?
Trasmettere un messaggio morale e pedagogico.