Ettore e Andromaca: testo, parafrasi e analisi
Indice
1Ettore e Andromaca
L’addio struggente tra Ettore e Andromaca, resa ancor più dolce dalla presenza del loro piccolo Astianatte, rappresenta un pilastro fondamentale dell'opera che esamineremo. Questa scena è una delle più toccanti nella storia della letteratura e destinata a rimanere impressa nella memoria collettiva. Esiste un aspetto, che potrebbe sembrare erroneo se valutato con uno sguardo moderno, ma che in realtà è intrinseco nella natura umana di ogni epoca: ossia, che di fronte ai legami più profondi, la guerra - anche se esaltata come gloriosa - sembra perdere ogni senso. Ettore ammette di lottare per non essere considerato un codardo e un disertore: un guerriero non dovrebbe essere tale, tuttavia la sua umanità prevale sull'onore. Nel momento in cui si troverà di fronte ad Achille, sarà assalito dalla paura; cercherà di fuggire.
Quando rileggiamo un passo così bello, come questo dialogo, è impossibile non ripensare a tutti i grandi conflitti della storia, che hanno strappato i figli ai genitori, i mariti alle spose, i padri ai figli. Andromaca assale Ettore, e le sue parole penetrano nel cuore più di una freccia; lo implora di non andare, perché quando ci si ama si dovrebbe pensare solo a conservarsi vivi, per non far soffrire colui o colei che si ama, come dice Bertolt Brecht: «Quello che amo / Mi ha detto / Che ha bisogno di me // Per questo ho cura di me stessa / guardo dove cammino e / temo che ogni goccia di pioggia / mi possa uccidere» (Bertolt Brecht, Da leggere il mattino e la sera). Ma Ettore affronta la morte, perché è destino: lo sa, o lo crede. E la guerra che misura il valore degli eroi iliadici non è che una gara di violenza, un destino cui non ci si può sottrarre.
2Ettore e Andromaca: testo e parafrasi
Testo
Finito non avea queste parole
La guardïana, che veloce Ettorre
Dalle soglie si spicca, e ripetendo 505
Il già corso sentier, fende diritto
Del grand’Ilio le piazze: ed alle Scee,
Onde al campo è l’uscita, ecco d’incontro
Andromaca venirgli, illustre germe
D’Eezïone, abitator dell’alta 510
Ipoplaco selvosa, e de’ Cilíci
Dominator nell’ipoplacia Tebe.
Ei ricca di gran dote al grande Ettorre
Diede a sposa costei ch’ivi allor corse
Ad incontrarlo; e seco iva l’ancella 515
Tra le braccia portando il pargoletto
Unico figlio dell’eroe troiano,
Bambin leggiadro come stella. Il padre
Scamandrio lo nomava, il vulgo tutto
Astïanatte, perchè il padre ei solo 520
Era dell’alta Troia il difensore.
Sorrise Ettorre nel vederlo, e tacque.
Ma di gran pianto Andromaca bagnata
Accostossi al marito, e per la mano
Strignendolo, e per nome in dolce suono 525
Chiamandolo, proruppe: Oh troppo ardito!
Il tuo valor ti perderà: nessuna
Pietà del figlio nè di me tu senti,
Crudel, di me che vedova infelice
Rimarrommi tra poco, perchè tutti 530
Di concerto gli Achei contro te solo
Si scaglieranno a trucidarti intesi;
E a me fia meglio allor, se mi sei tolto,
L’andar sotterra. Di te priva, ahi lassa!
Ch’altro mi resta che perpetuo pianto? 535
Orba del padre io sono e della madre.
M’uccise il padre lo spietato Achille
Il dì che de’ Cilíci egli l’eccelsa
Popolosa città Tebe distrusse:
M’uccise, io dico, Eezïon quel crudo; 540
Ma dispogliarlo non osò, compreso
Da divino terror. Quindi con tutte
L’armi sul rogo il corpo ne compose,
E un tumulo gli alzò cui di frondosi
Olmi le figlie dell’Egíoco Giove 545
L’Oreadi pietose incoronaro.
Di ben sette fratelli iva superba
La mia casa. Di questi in un sol giorno
Lo stesso figlio della Dea sospinse
L’anime a Pluto, e li trafisse in mezzo 550
Alle mugghianti mandre ed alle gregge.
Della boscosa Ipoplaco reina
Mi rimanea la madre. Il vincitore
Coll’altre prede qua l’addusse, e poscia
Per largo prezzo in libertà la pose. 555
Ma questa pure, ahimè! nelle paterne
Stanze lo stral d’Artémide trafisse.
Or mi resti tu solo, Ettore caro,
Tu padre mio, tu madre, tu fratello,
Tu florido marito. Abbi deh! dunque 560
Di me pietade, e qui rimanti meco
A questa torre, nè voler che sia
Vedova la consorte, orfano il figlio.
Al caprifico i tuoi guerrieri aduna,
Ove il nemico alla città scoperse 565
Più agevole salita e più spedito
Lo scalar delle mura. O che agli Achei
Abbia mostro quel varco un indovino,
O che spinti ve gli abbia il proprio ardire,
Questo ti basti che i più forti quivi 570
Già fêr tre volte di valor periglio,
Ambo gli Aiaci, ambo gli Atridi, e il chiaro
Sire di Creta ed il fatal Tidíde.
Dolce consorte, le rispose Ettorre,
Ciò tutto che dicesti a me pur anco 575
Ange il pensier; ma de’ Troiani io temo
Fortemente lo spregio, e dell’altere
Troiane donne, se guerrier codardo
Mi tenessi in disparte, e della pugna
Evitassi i cimenti. Ah nol consente, 580
No, questo cor. Da lungo tempo appresi
Ad esser forte, ed a volar tra’ primi
Negli acerbi conflitti alla tutela
Della paterna gloria e della mia.
Giorno verrà, presago il cor mel dice, 585
Verrà giorno che il sacro iliaco muro
E Priamo e tutta la sua gente cada.
Ma nè de’ Teucri il rio dolor, nè quello
D’Ecuba stessa, nè del padre antico,
Nè de’ fratei, che molti e valorosi 590
Sotto il ferro nemico nella polve
Cadran distesi, non mi accora, o donna,
Sì di questi il dolor, quanto il crudele
Tuo destino, se fia che qualche Acheo,
Del sangue ancor de’ tuoi lordo l’usbergo, 595
Lagrimosa ti tragga in servitude.
Misera! in Argo all’insolente cenno
D’una straniera tesserai le tele:
Dal fonte di Messíde o d’Iperéa,
(Ben repugnante, ma dal fato astretta) 600
Alla superba recherai le linfe;
E vedendo talun piovere il pianto
Dal tuo ciglio, dirà: Quella è d’Ettorre
L’alta consorte, di quel prode Ettorre
Che fra’ troiani eroi di generosi 605
Cavalli agitatori era il primiero,
Quando intorno a Ilïon si combattea.
Così dirassi da qualcuno; e allora
Tu di nuovo dolor l’alma trafitta
Più viva in petto sentirai la brama 610
Di tal marito a scior le tue catene.
Ma pria morto la terra mi ricopra,
Ch’io di te schiava i lai pietosi intenda.
Così detto, distese al caro figlio
L’aperte braccia. Acuto mise un grido 615
Il bambinello, e declinato il volto,
Tutto il nascose alla nudrice in seno,
Dalle fiere atterrito armi paterne,
E dal cimiero che di chiome equine
Alto su l’elmo orribilmente ondeggia. 620
Sorrise il genitor, sorrise anch’ella
La veneranda madre; e dalla fronte
L’intenerito eroe tosto si tolse
L’elmo, e raggiante sul terren lo pose.
Indi baciato con immenso affetto, 625
E dolcemente tra le mani alquanto
Palleggiato l’infante, alzollo al cielo,
E supplice sclamò: Giove pietoso
E voi tutti, o Celesti, ah concedete
Che di me degno un dì questo mio figlio 630
Sia splendor della patria, e de’ Troiani
Forte e possente regnator. Deh fate
Che il veggendo tornar dalla battaglia
Dell’armi onusto de’ nemici uccisi,
Dica talun: Non fu sì forte il padre: 635
E il cor materno nell’udirlo esulti.
Così dicendo, in braccio alla diletta
Sposa egli cesse il pargoletto; ed ella
Con un misto di pianti almo sorriso
Lo si raccolse all’odoroso seno. 640
Di secreta pietà l’alma percosso
Riguardolla il marito, e colla mano
Accarezzando la dolente: Oh! disse,
Diletta mia, ti prego; oltre misura
Non attristarti a mia cagion. Nessuno, 645
Se il mio punto fatal non giunse ancora,
Spingerammi a Pluton: ma nullo al mondo,
Sia vil, sia forte, si sottragge al fato.
Or ti rincasa, e a’ tuoi lavori intendi,
Alla spola, al pennecchio, e delle ancelle 650
Veglia su l’opre; e a noi, quanti nascemmo
Fra le dardanie mura, a me primiero
Lascia i doveri dell’acerba guerra.
Raccolse al terminar di questi accenti
L’elmo dal suolo il generoso Ettorre, 655
E muta alla magion la via riprese
L’amata donna, riguardando indietro,
E amaramente lagrimando. Giunta
Agli ettorei palagi, ivi raccolte
Trovò le ancelle, e le commosse al pianto. 660
Ploravan tutte l’ancor vivo Ettorre
Nella casa d’Ettór le dolorose,
Rivederlo più mai non si sperando
Reduce dalla pugna, e dalle fiere
Mani scampato de’ robusti Achei. 665
Parafrasi
Così dicendo, pose il figlio in braccio all’amata sposa; ed ella lo raccolse nel seno profumato, sorridendo nel pianto. Addolorato nel cuore da struggente tenerezza, il marito si trattenne a guardarla, l’accarezzò con la mano, le disse: «Mia diletta, ti prego oltre misura: non rattristarti a causa mia. Nessuno mi spingerà da Plutone se il momento estremo non è ancora giunto. E nessuno al mondo, pusillanime o temerario, si sottrae al fato. Adesso torna a casa, dedicati ai tuoi lavori, alla spola, al fuso, e veglia sull’operato delle ancelle; e a noi, quanti nascemmo fra le mura di Ilio – e a me per primo – lascia i doveri della dura guerra». Finito di parlare, Ettore generoso raccolse l’elmo da terra, e la donna amata, silenziosa, riprese la via verso casa, guardandosi indietro, piangendo amaramente. Giunta alla casa di Ettore, trovò le ancelle, e le commosse al pianto. Compativano tutte Ettore, nonostante fosse ancora vivo, nella sua stessa casa, le donne addolorate, poiché prive della speranza di rivederlo reduce dalla battaglia, scampato dalle fiere mani dei forti Achei.
3Guarda il video sul dialogo tra Ettore e Andromaca
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Domande & Risposte
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Chi sono Ettore e Andromaca?
Ettore e Andromaca sono due personaggi della mitologia greca. Ettore è il figlio del re di Troia Priamo e di Ecuba. Andromaca è la principessa di Tebe Ipoplacia e la sposa di Ettore.
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Che cosa chiede Andromaca a Ettore?
Andromaca implora Ettore di abbandonare la guerra per evitarle il penoso stato di vedova e madre di un orfano.
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Quali avvenimenti dolorosi hanno colpito la famiglia di Andromaca?
La morte di suo padre e dei suoi sette fratelli per mano di Achille e la morte improvvisa di sua madre.
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Dove si svolge l’incontro tra Ettore e Andromaca?
L’incontro avviene nella Torre di Troia che sovrasta le porte Scee, dove Andromaca si reca con il figlio Astianatte piangendo.