L'età comunale in Italia: storia e caratteristiche
Indice
1Nascita dei comuni in Italia
In Italia i Comuni iniziano a diffondersi nei primi anni del Basso Medioevo, più esattamente intorno al 1100, e con modalità diverse rispetto al resto d’Europa, dove le richieste di autonomia politica ed economica dal potere imperiale, avanzate dai Comuni, vengono frenate dalle monarchie nazionali.
In Italia manca un governo nazionale e il movimento comunale nasce da un compromesso tra la vecchia nobiltà feudale e una borghesia ancora agli albori, che condividono la necessità di darsi un’organizzazione che sia indipendente dal potere centrale. Questi due elementi, uniti alla presenza di un nuovo ceto mercantile, fanno sì che i Comuni italiani, al contrario di quelli del Nord Europa, diventino delle città-stato e che il loro dominio possa estendersi su tutto il territorio circostante.
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Questo modello, d’altra parte, non interessa tutta la penisola: ne restano fuori ampie zone del Veneto e del Piemonte, ancora sotto il controllo dei signori feudali, e il Meridione, che nella prima metà del Duecento risponde alla giurisdizione dell’Imperatore, Federico II di Svevia, che sceglie come sede della propria corte Palermo.
2La cultura si laicizza
Se l’Alto Medioevo segna il predominio della cultura religiosa, nella civiltà comunale del Basso Medioevo il sapere e i costumi si laicizzano, soprattutto grazie alla comparsa di una nuova classe all’interno delle città, quella borghese-mercantile.
Il mercante attraversa confini, conosce popoli diversi, esplora lo spazio, lo misura e deve organizzare razionalmente i suoi commerci. Il suo tempo non appartiene a Dio, ma è cosa tutta terrena, che va calcolata, suddivisa, venduta quando si è lavoratori e acquistata nei panni dell’imprenditore.
La classe borghese-mercantile quindi, acquisisce coscienza della propria individualità e necessità di strumenti di cultura per la propria attività in campo economico e politico e per esprimere la propria visione del mondo, i propri valori.
Questo processo coinvolge anche i più vasti strati di coloro che non sono letterati e non conoscono il latino e rende fondamentale impiegare una lingua di uso comune, quotidiana, nella diffusione della conoscenza: il volgare.
3La lingua volgare
Il panorama dell’Italia comunale del Centro-Nord è segnato da un fortissimo policentrismo civile e politico, a cui corrisponde un analogo policentrismo linguistico.
Dante, nel De vulgari eloquentia, individua ben quattordici aree linguistiche, in cui si usano volgari distinti e molto diversi tra di loro: il siciliano, il sardo, l’”apulo” (che comprende il campano, il lucano e il calabrese) il pugliese, il romano, lo spoletino (che corrisponde, politicamente, al Granducato longobardo di Spoleto), l’anconetano, il toscano, il romagnolo, il genovese, il lombardo, il veneto, il friulano e l’istriano.
La situazione reale, inoltre, risulta ancora più frammentaria: all’interno di queste aree principali, infatti, esistono tantissime altre varietà linguistiche fra città e città e addirittura fra quartiere e quartiere. Di conseguenza nel Duecento, agli inizi dell’uso del volgare come lingua letteraria, non esiste una lingua letteraria unica e comune: ogni centro di esprime nel proprio volgare.
D’altra parte nella produzione poetica e in prosa la Toscana assume, sempre più spiccatamente, una posizione di prestigio, per cui tra i vari volgari s’impone il toscano. Nel secolo successivo, poi, la grandezza di Dante, Petrarca e Boccaccio consacra il fiorentino come lingua letteraria per eccellenza. Pure, questa unificazione resta confinata al campo della letteratura, mentre nella vita di tutti i giorni si continua a usare la miriade di parlate locali su cui si è detto.
Un altro aspetto di cui tener conto è che l’affermarsi di una letteratura in volgare non implica l’abbandono del latino. La lingua di Roma, ad esempio, resta la lingua della cultura dotta, specialistica, quella dedicate alle materie nobili e complesse come il diritto, la teologia, la filosofia e la medicina. L’intellettuale, inoltre, è di norma bilingue, tanto più che la sintassi volgare, non di rado, tende a modellarsi su quella latina.
4L'intellettuale cittadino
Nei comuni centro-settentrionali si afferma la figura dell’intellettuale-cittadino, che partecipa attivamente alla vita politica del Comune, riveste cariche pubbliche e vive con trasporto le tensioni, le avversioni e i conflitti. Questo personaggio non vive dell’attività da scrittore, ma l’affianca all’esercizio di altre professioni. Non di rado, quindi, l’intellettuale è anche un uomo di legge, un giudice e un notaio, in possesso di un sapere giuridico ma anche retorico.
La produzione della cerchia a cui appartiene è fatta di opere sia in versi che in prosa, per lo più volte a educare la coscienza dei concittadini, a fornire loro gli strumenti culturali indispensabili all’ascesa dei nuovi centri urbani, che stanno conquistando l’egemonia economica e politica. Circolano, ad esempio, testi di retorica, per offrire i mezzi per parlare e convincere, poemetti didattici ed enciclopedici, raccolte di aneddoti che forniscono consigli di comportamento e diffondono i principi della cortesia.
Qualche volta, invece, come accade con la poesia lirica d’ispirazione amorosa, si incontra una produzione altamente aristocratica, rivolta a un élite esclusiva e ristretta. D’altra parte anche questa produzione emana l’impegno civile che è proprio dell’atmosfera culturale urbana.
Emblema su tutti dell’intellettuale cittadino, almeno prima dell’esilio nel 1302, è Dante che, inserito nella dimensione comunale e immerso con passione nelle contese ideologiche del suo tempo, imbeve la sua opera dei legami che intrattiene con la realtà politica.
5L’organizzazione e la diffusione della cultura
Il processo di sviluppo della civiltà urbana favorisce il sorgere di centri di cultura laici come le Università: grandi associazioni di studenti e professori distaccate dalla Chiesa, dove gli insegnanti possono essere retribuiti direttamente dagli studenti o essere stipendiati dal Comune.
Studenti e professori comunicano in latino e vanno formando delle comunità cosmopolite che, a volte, occupano interi quartieri cittadini, contribuendo alla crescita demografica e allo sviluppo stesso della città.
Le università possono avere quattro facoltà:
- Arti
- Diritto
- Teologia
- Medicina
La facoltà delle Arti è quella più frequentata, perché preparatoria agli insegnamenti delle altre facoltà. Qui ci si perfeziona nella conoscenza del latino e si apprendono le discipline del Trivio: la grammatica, la retorica e la dialettica.
Altro strumento essenziale nella diffusione della cultura è il libro. L’estendersi dell’alfabetizzazione, e il formarsi di un pubblico di lettori in ambito cittadino, fa sì che la circolazione dei libri sia più vasta di quanto non fosse con la cultura ecclesiastica dell’alto Medio Evo.
Nella civiltà urbana si formano delle vere e proprie botteghe di copisti professionali, che producono libri dietro pagamento. La realizzazione è più rapida e organizzata rispetto al passato, ma i limiti della copiatura a mano restano, ed essendo le copie di necessità ancora poche, i prezzi si rivelano altissimi.
Il libro resta, pertanto, un oggetto di lusso. Una circolazione più diffusa, tuttavia, tocca ai testi universitari, che vengono prodotti a fascicoli, detti dispense, dentro botteghe apposite.
Nel frattempo, accanto alle biblioteche ecclesiastiche, si vanno formando quelle delle università, dei grandi signori o dei grandi intellettuali come Petrarca, abbastanza facoltosi da poter accumulare libri. Di questo patrimonio l’autore era davvero fiero e, mostrando grande lungimiranza, lo lascia in eredità alla Repubblica di Venezia anche se, sfortunatamente, il progetto non si realizza e testi, dopo varie peripezie, vanno dispersi.
La società urbana, inoltre, produce una nuova cultura, nel senso di un nuovo modo di fare e discutere la filosofia, che viene battezzata Scolastica. Così, al posto di un’interpretazione simbolica della realtà, che rintraccia nelle cose una manifestazione segreta che riporta a Dio, si fa spazio una visione razionale, che presuppone il ricorso all’indagine intellettuale e al dibattito, mettendo in atto il metodo dialettico della disputa.
Quest’ultima richiede l’uso costante della logica che diviene, in poco tempo, la disciplina centrale fra le arti liberali. Di conseguenza l’intellettuale è obbligato a impegnarsi, a mettersi in gioco come individuo e compromettersi, facendo i conti con le responsabilità del proprio impegno culturale.
La Scolastica è attraversata da due correnti di pensiero, uno minoritario e uno prevalente che, a loro volta, si rifanno ai due maggiori pensatori della filosofia greca: Platone e Aristotele. Il primo sostiene che le cose terrene sono copie delle idee celesti, mentre il secondo risponde a esigenze enciclopediche e razionalistiche e, avvalendosi del prezioso supporto delle scienze naturali, cerca di organizzare un quadro coerente di tutto il sapere fisico e metafisico.
Il più importante esponente dell’aristotelismo è il domenicano San Tommaso d’Aquino, che concilia la dottrina cristiana e il realismo razionalista con un sistema filosofico meglio noto come tomismo.