Ernesto De Martino: vita e opere dell'antropologo che raccontò il Sud, tra magia e stregoneria

Vita e opere di Ernesto De Martino, antropologo e storico italiano, studioso delle società primitive, del tarantismo, delle tradizioni e della superstizione nel Sud dell’Italia
Ernesto De Martino: vita e opere dell'antropologo che raccontò il Sud, tra magia e stregoneria
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1De Martino: biografia e opere

Napoli, città natale di De Martino
Napoli, città natale di De Martino — Fonte: getty-images

Ernesto De Martino nacque a Napoli nel 1908. La sua famiglia era di estrazione borghese, il padre lavorava infatti come ingegnere delle Ferrovie dello Stato. Nella sua città natale si laureò con una tesi di storia delle religioni.     

Fu proprio durante gli anni universitari che si avvicinò al pensiero di Benedetto Croce e alla corrente filosofica dello storicismo. Una delle principali novità del pensiero di De Martino è l’intenzione di adottare una prospettiva storicista anche per studiare tematiche proprie della storia delle religioni e dell’etnologia, discipline che tradizionalmente erano escluse da un approccio di questo tipo.   

2Dal fascismo alla guerra e i suoi primi lavori

De Martino fu un autore molto prolifico. Scrisse diversi volumi e articoli, affiancando la sua attività di insegnante di liceo alla ricerca. Aderì al fascismo, ma poi cominciò a frequentare gli ambienti antifascisti legati alla casa editrice Laterza di Bari, città dove insegnava. 

Non partecipò alla Seconda Guerra Mondiale per ragioni di salute e durante il conflitto si trasferì con la moglie in Romagna, nei pressi di Ravenna. Di questi anni è il libro Naturalismo e storicismo nell’etnologia (1941): un testo che ripercorre i più importanti studiosi dell’etnologia internazionale e le differenti correnti di questa disciplina

3Il dopoguerra e l’interesse per la magia

Nel dopoguerra, i suoi studi, indirizzati all’ambito della magia e della religione, confluirono nel libro Il Mondo magico. Prolegomeno a una storia del magismo (1948). Questo testo, pubblicato per la casa editrice Einaudi, fu il primo di una collana dedicata all’antropologia curata da De Martino stesso e dallo scrittore Cesare Pavese.   

Il suo impegno era anche politico: dal 1945 fu segretario della Federazione del partito socialista in alcune città meridionali. Questo ruolo lo portò a conoscere da vicino la realtà dei contadini del Sud Italia. Il Meridione, in quegli anni, era una terra povera e isolata e le condizioni di vita dei contadini erano particolarmente difficili.   

4La Trilogia meridionalistica

Nei primi anni Cinquanta, De Martino insegnò a Roma, prima in un liceo, poi come libero docente alla Facoltà di Lettere. Nel 1950 si iscrisse al Partito Comunista. I suoi interessi per la magia e la religione si associarono a quelli per le realtà povere e marginalizzate del Sud Italia grazie ad alcuni riferimenti culturali e politici che possono essere sintetizzati da tre figure:    

  • Antonio Gramsci, intellettuale e politico comunista. Tra il 1948 e il 1951 venne stampata l’edizione tematica dei Quaderni del carcere. De Martino si interessò particolarmente alle sue Osservazioni sul folklore, in cui Gramsci sottolineava il collegamento tra produzione culturale e appartenenza di classe.
  • Carlo Levi, intellettuale e pittore antifascista, fu mandato al confino dal fascismo in Lucania. In merito a questa esperienza, Levi scrisse il libro Cristo si è fermato a Eboli, pubblicato nel 1945 e conosciuto da De Martino.
  • Rocco Scotellaro, un poeta lucano di umili origini impegnatosi personalmente in politica.

Negli anni Cinquanta, De Martino decise di dedicarsi allo studio delle sopravvivenze magiche nel Sud Italia e nella realtà contadina. Il suo obiettivo era costruire una storia religiosa del sud della penisola. Egli condusse le sue ricerche in Lucania e in Puglia e, a partire da queste indagini, pubblicò i tre testi che costituiscono la trilogia meridionalistica

Matera antica (Basilicata)
Matera antica (Basilicata) — Fonte: getty-images

Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (1958). De Martino si recò con la sua équipe di specialisti, tra i quali un musicologo e un fotografo, in Lucania per indagare il lamento funebre e il pianto per i defunti. Dalla sua ricerca emersero: l’aspetto convenzionale e sociale del lamento e del pianto funebre, la loro funzione come strumento per superare il dolore e il trauma della morte di un caro, il rito come mezzo codificato per riportare l’ordine e controllare la sofferenza. 

Sud e magia (1959). In questo libro, una storia della religione nel Sud Italia (in particolare Lucania, Calabria e Campania), De Martino si occupò di ricostruire e analizzare alcune cerimonie magiche, il loro rapporto con la religione cattolica e alcune forme di sincretismo (la convivenza di pratiche legate alla magia con il cattolicesimo). 

La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud (1961). È questo uno dei testi più noti di De Martino. La ricerca fu condotta in Salento insieme a uno psichiatra, una psicologa, un documentarista cinematografico, un etnomusicologo, uno storico delle religioni e a un'antropologa culturale. L’obiettivo era studiare l’antico rito contadino del tarantismo

La notte della taranta nel Salento, uno degli eventi più importanti d'Europa dedicati alla cultura tradizionale
La notte della taranta nel Salento, uno degli eventi più importanti d'Europa dedicati alla cultura tradizionale — Fonte: getty-images

Il rito del tarantismo riguardava i “tarantati”, persone che superavano un malessere fisico e psicologico, la cui origine era individuata nel morso di un ragno velenoso, la taranta, per mezzo di danze al suono di musica. I suonatori avevano un ruolo fondamentale: non solo erano artisti, ma curavano e esorcizzavano il male. La chiesa di S. Paolo a Galatina era tappa fondamentale per i “tarantati”: qui ci si recava per ringraziare il Santo della guarigione o per implorarla. 

De Martino superò la prospettiva che faceva del tarantismo una malattia psichica o somatica. Egli adottò invece una prospettiva culturale: il tarantismo non era una patologia dovuta al veleno di un ragno, ma era il rito attraverso il quale una crisi dell’individuo poteva essere espressa e superata. L’individuo riusciva infatti a ristabilire un ordine e a far fronte a una situazione di disagio grazie una pratica rituale, imperniata su balli e musiche, che garantiva il superamento di un malessere e concedeva all’individuo uno sfogo. 

Ernesto De Martino nel 1959 si trasferì a Cagliari e qui, presso la facoltà di Magistero, ebbe la cattedra di Storia delle Religioni. Nei primi anni Sessanta furono dati alle stampe Furore, simbolo, valore e l’antologia Magia e civiltà. Morì a soli cinquantasette anni, nel 1965. Fu pubblicato postumo il suo volume La fine del mondo. Contributo all’analisi dell’apocalisse culturale

5La magia e la presenza secondo De Martino

Al centro di questi volumi è il concetto di magia. Questa non è considerata espressione dell’irrazionale o eco di una cultura primitiva, ma è specifica e codificata espressione culturale. Nella prospettiva etnologica di De Martino, la magia, rifiutata dalla moderna cultura occidentale a favore della scienza, non è espressione dell’irragionevolezza, ma è ricerca di sicurezza e strumento efficace per fronteggiare le difficoltà della contingenza. 

Negli studi di De Martino dedicati alle aree meridionali dell’Italia dove veniva pratica il rito magico, la magia aveva la sua funzione perché, di fronte al negativo, alla paura, all’angoscia, alle difficoltà del quotidiano – e De Martino studia realtà povere e marginalizzate – essa consentiva di essere protetti e di riportare un ordine al presente minacciato dal disagio, materiale ed esistenziale

La magia, attraverso i suoi riti conosciuti e reiterati, permetteva di proteggere l’individuo dallo spaesamento e dallo straniamento che una condizione esistenziale subalterna e oppressa poteva comportare. Non a caso, De Martino coniò, sin dai suoi primi studi, il concetto di “presenza”. Rifacendosi a Heidegger e alla sua nozione di “esserci”, egli notò come la magia consentisse un radicamento della presenza, dell’essere dell’uomo nella propria realtà, proprio quando quest’ultima appariva più fragile e instabile

6Il metodo di Ernesto De Martino

De Martino è considerato uno degli antropologi più originali del secondo Novecento italiano anche per il metodo da lui adottato nelle sue ricerche. Egli infatti unì: 

  • la ricerca sul campo: egli si recava personalmente nei luoghi che intendeva studiare attraverso spedizioni, anche autofinanziate. Con l’“osservazione partecipante”, egli partecipava alla vita della comunità, conosceva in maniera diretta i soggetti che divenivano i suoi interlocutori e il suo campione di indagine, raccoglieva interviste.
  • Il lavoro di équipe: De Martino si avvalse di specialisti di vari ambiti (musicologi, medici, psichiatri, psicologi, storici delle religioni). Il suo obiettivo era quello di sviluppare un approccio multidisciplinare, capace di cogliere le diverse sfumature dei fenomeni da lui studiati per poterli contestualizzare e spiegare nel modo più completo possibile.

7Ernesto De Martino e l’etnocentrismo critico

De Martino adotta l’etnocentrismo critico come prospettiva. Egli pensa che l’etnologo, per condurre la sua ricerca, debba osservare le altre culture senza pregiudizi ma, al tempo stesso, debba anche essere ben consapevole di far parte e di provenire da una determinata cultura, differente da quella che è il suo oggetto di studio. L’etnologo deve quindi conoscere quali categorie interpretative impiega per decodificare l’alterità e quali i loro limiti. Il confronto con culture diverse e lontane è dunque anche una messa in discussione della propria cultura, la cui appartenenza orienta lo sguardo e l’interpretazione dell’etnologo. 

“Io sono due o più non uno in rischio di essere nessuno in lotta per essere qualcuno”. Ernesto de Martino

8Ascolta il podcast sulla stregoneria

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