Ermetismo da Quasimodo a Luzi: storia, stile e caratteristiche
Indice
1Ermetismo: significato
A coniare la parola Ermetismo fu Francesco Flora nel 1936, intendendo forse disprezzare una poesia richiusa in sé stessa, misteriosa, che non vuole dialogare davvero con il lettore a meno che questo non sappia leggere la filigrana di quelle poesie. La città di riferimento fu Firenze, patria della nostra letteratura; le riviste più importanti Solaria, Campo di Marte e Letteratura. I poeti ermetici in senso stretto (appartenenti all’ermetismo fiorentino) furono Piero Bigongiari, Alfonso Gatto, Mario Luzi e Alessandro Parronchi; a questi dobbiamo aggiungere Salvatore Quasimodo.
Sembrerebbe si tratti di un vero e proprio movimento d’avanguardia, ma se leggiamo la voce ‘ermetismo’ dell’enciclopedia Treccani, ci rendiamo conto che tutti i poeti più importanti del primo Novecento fino agli anni sessanta ne sono stati influenzati.
Non è facile, quindi, né storicizzare né delimitare gli effetti di questa tendenza poetica. «Questa avanguardia [quella ermetica]», sostiene Casoli, «era più incisiva della rivolta futurista e ne realizzava alcuni tra gli spunti migliori, soprattutto, crediamo, quel bisogno di un’attualità assoluta, cioè libera, che il Futurismo aveva confuso con il dominio della mera contemporaneità» (G. Casoli, 2002).
Gli ermetici ripresero le lezioni di D’Annunzio e di Pascoli, estremizzandole; a questa si dovrebbe forse aggiungere la lezione dei poeti crepuscolari per l’attenzione al quotidiano e per la loro ingenua purezza, a cui però viene tolta l’ironia ed è aggiunta invece una diversa descrizione del quotidiano, dilatato dagli ermetici in una dimensione astorica, quasi esibendo un’onnipresente epicità del vissuto.
E poi ci sono Montale e Ungaretti che imprimono una direzione a questa poesia: è vero che Montale prende le distanze da questo gruppo di poeti, ma è vero pure che c’è comunione nelle tematiche e nel senso di chiusura del dettato poetico a un mistero che non può essere perseguito se non con la poesia; è vero che Ungaretti non fu un ermetico, ma consacrò il valore ideale della parola e del silenzio nella sua poesia, orientando la sua scrittura a penetrare la vita e il suo mistero in modo mistico. Carlo Bo, nel suo saggio “Letteratura come vita”, chiarisce meglio la ricerca ermetica.
1.1Carlo Bo, Cos'è la poesia ermetica
«La nostra letteratura sale dalle origini centrali dell’uomo, ha troppa memoria per risolversi in una passione che subisce i nostri umori, le nostre stagioni, la nostra povera polemica di viventi. Diventa una conseguenza naturale di speculazione: è un discorso infinito e continuo che apriamo con noi stessi. [...] È la vita stessa, e cioè la parte migliore e vera della vita.
E si sa a che cosa alluda, non a questo mostro che ci soffoca di più giorno per giorno, a questa enorme fiera di vanità in cui per diverso grado cadiamo tutti con le debolezze, le colpe, i peccati e soprattutto con la nostra spaventosa disponibilità alle omissioni, non a questo vano simbolo di vita che ci serve di scusa e di protezione ma a quella solenne promessa, al nostro unico segno di salvezza, a quel termine che difendono la “via” e la “verità”.
Non all’obbedienza della natura ma all’attesa di una notizia che rimane la sola ragione. In questo senso la letteratura tende all’identità, collabora alla creazione di una realtà, che è il contrario della realtà comune, all’incarnazione di un simbolo, a questa esistenza sconfinata nel tempo, e senza possibilità di storia, priva d’ogni struttura. [...] Perché non si vuol dir altro, quando si parla di letteratura come vita, non si chiede che un lavoro continuo e il più possibile assoluto di noi in noi stessi, una coscienza interpretata quotidianamente nel giuoco delle nostre aspirazioni, dei sentimenti, e delle sensazioni. L’identità che proclamiamo è il bisogno di un’integrità dell’uomo, che va difesa senza riguardi, senza nessuna concessione».
2Ermetismo, caratteristiche
La ricerca del significato e del mistero del mondo si fa costante, una dieta quotidiana che si traduce in un incessante dialogo; questo accade perché, come diceva Heidegger, non smettiamo mai di parlare, di colloquiare con il mondo e con noi stessi.
«L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parola, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo [...]. In un modo o nell’altro parliamo ininterrottamente» (M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, p. 27.
Il richiudersi in sé stessi significa in buona misura tentare di scoprire il legame tra il proprio mondo intimo e l’avventura collettiva dell’umanità. Se ci pensi, noi siamo fatti di voci, nostre e di altri, che si inseguono, si cercano, si domandano e si rispondono. Questo concetto è fondamentale per comprendere la poesia ermetica (e più in generale la poesia, direi).
3Ermetismo, autori: Salvatore Quasimodo
Quasimodo fu a lungo la voce più rappresentativa dell’ermetismo. Pur essendo stato insignito del premio Nobel nel 1959, Quasimodo è sempre stato sminuito rispetto alle altre grandi voci poetiche italiane, ossia Saba, Ungaretti e Montale. Aveva infatti già notato il grande critico Carlo Bo (quasi scusandosi a nomi di altri critici), «[Quasimodo] ha certo dato assai di più di ciò che le nostre voci non sono riuscite a riconoscere».
In Acque e terre, prima raccolta, Quasimodo esalta il legame con la natura, la terra e il mare della Sicilia che diventano temi centrali e ispiratori, che lo legano anche al mondo della Grecia antica e alla sua poesia. Manca però l’enfasi retorica in quanto tutto è giocato sul rapporto tra parola-immagine-intimità. La terra siciliana dona la sua selvaggia armonia: «Tindari, mite ti so / fra larghi colli pensile sull’acque / delle isole dolci del dio, / oggi m’assali / e ti chini in cuore.» (Vento a Tindari, vv. 1-5). Il tempo dell’interiorità, quello non cronologico, diventa uno spazio su cui la riflessione e gli affetti del poeta hanno libera espressione e parlano un linguaggio tutto loro.
Centrale è anche il tema della morte che da mistero a metà tra l’umano e il divino diventa sfacelo e distruzione con l’esperienza della guerra. Proprio con Giorno dopo giorno (1947) Quasimodo dona un’opera maturata nei terribili anni della seconda guerra mondiale: di questa raccolta è la celebre Uomo del mio tempo. Da questo momento in poi si parlerà sempre (con più o meno ragione) di un primo Quasimodo ermetico e di un secondo Quasimodo, meno inquadrabile, ma di certo appassionato ai temi civili e sinceramente impegnato a rinnovare l’uomo.
3.1Solo che amore ti colpisca di Salvatore Quasimodo: testo e significato
Questa tensione culmina con la raccolta Dare e avere, dove, in Solo che amore ti colpisca, possiamo leggere questi versi straordinari che ci chiariscono l’idea di Quasimodo sull’umanità:
Gli uccelli ti guardano dagli alberi e le foglie
non ignorano che la Mente è morta
per sempre, la sua reliquia sa di cartilagine
bruciata di plastica corrotta; non dimenticare
di essere abile animale e sinuoso
che violenta torrido e vuole tutto qui
sulla terra prima dell’ultimo grido
quando il corpo è cadenza di memorie accartocciate
e lo spirito sollecita alla fine eterna:
ricorda che puoi essere l’essere dell’essere
solo che amore ti colpisca bene alle viscere.
La poesia è argomentata, esplicita, chiara, disposta a farsi capire, non più vagamente sentimentale. È comunque impossibile etichettare le grandi voci poetiche in movimenti e scuole. Quasimodo ha aderito all’ermetismo, ma poi la sua voce è evoluta. Forse l’ermetismo è stata per Quasimodo un’esperienza che ha funto da incubatrice che la seconda guerra mondiale ha poi dischiuso in una una voce forte e libera, degna di vincere un Premio Nobel. Il poeta ritrova la sua ragione di essere voce che si oppone a quella politica che mette a repentaglio l’uomo e la sua libertà.
Quasimodo: «Il politico giudica con diffidenza la libertà della cultura e per mezzo della critica conformista tenta di rendere immobile lo stesso concetto di poesia, considerando il fatto creativo al di fuori del tempo e inoperante; come se il poeta, invece di un uomo, fosse un’astrazione» (Il poeta e il politico, 1959). Nell’ultima raccolta c’è una poesia che ha il presagio di essere conclusiva, titolata Non ho perduto nulla, vicina tematicamente e simbolicamente a una delle sue prime liriche, Ed è subito sera.
Sono ancora qui, il sole gira
alle spalle come un falco e la terra
ripete la mia voce nella tua.
e ricomincia il tempo visibile
nell’occhio che riscopre la luce.
Non ho perduto nulla.
Perdere è andare di là
da un diagramma del cielo
lungo movimenti di sogni, un fiume
pieno di foglie.
4Piero Bigongiari e Alfonso Gatto: poesie, stile e significato
Voci davvero belle dell’ermetismo furono anche Bigongiàri e Gatto. Bigongiàri collaborò con la riviste Campo di Marte e Letteratura, entrando presto nell’orbita di Firenze.
Colpisce di questo poeta la ricerca di una purezza espressiva che trattiene il sentimento in un equilibrio cristallino.
Lo vediamo nella poesia Non so.
Non so
Nell’umido brillare dei tetti,
nel calare del sole tra scogliere
di strade, non so cos’altro aspetti,
s’altro dichiari con parole rade
ai passanti, ai vetri ciechi del tram,
e a un tratto molto so della speranza,
ma non so neppure cosa si perde
nell’ansimo dell’aria, quasi un battito
accelerato di motore,
quasi tacchi più fitti, una catena
che si tende, gli occhi un poco più desti.
Ma lo sguardo è dentro le cose
a cercarvi la buccia tra la polpa,
e non v’è colpa sufficiente per la nostra gioia,
nemmeno la speranza e la solitudine:
tu sai che non so, tu sai che puoi chiedere.
26 novembre ‘45
Nel verso ossimorico «a cercarvi la buccia tra la polpa» vi è l’idea che il fuori e il dentro della realtà sono concetti molto relativi e che tutto ci è intimo. Se si guarda bene, nel verso finale torna l’idea imprescindibile del colloquio intimo a proposito di un mistero che va ragionato insieme e che esiste solo se condiviso. Questo aspetto lega il particolare (il poeta) all’universale (il mondo, idealmente rappresentato dal tu) ed è il punto fermo di questa nuova tendenza poetica. E nel dialogo, in fondo, che si avvera quanto diceva Quasimodo a proposito del rifondare l’uomo.
Lo vediamo, dopotutto, anche nella nostalgia della figura paterna in questa poesia di Alfonso Gatto.
A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo,
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.
Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno. Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgente a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
Gli ultimi cinque versi, nella loro semplicità, comunicano un’idea di pace dello spirito, una visione mistica della morte come passaggio verso la piena luce dell’universo. La vicenda di un uomo diventa la vicenda di tutti gli uomini che, con la loro limitatezza, come costellazioni che lentamente si inabissano nell’alba. Davvero tutto è luogo della poesia.
5Mario Luzi: poesie, significato e temi
Altra voce illustre della nostra letteratura e caposaldo dell’ermetismo è Mario Luzi, un poeta non solo di grande e rara profondità, ma anche dall’incredibile longevità creativa. Proviamo a partire proprio dalle sue parole:
«Il mondo non deve rispondermi, ma parlarmi in tutti i suoi aspetti [...]. E questo forse è il senso dell’ultimo mio libro [Frasi e incisi]. [...] E questo ha finito col rendere più accogliente la mia poesia. [...] la mia poesia è passata ad una polifonia aperta alla molteplicità. Ho cercando di dare la voce, di dare la parola, a molti aspetti del mondo, a molti aspetti dell’umanità e, direi, del Creato. [...] in questi miei ultimi libri hanno diritto di cittadinanza nella parola, nel linguaggio, anche quelli che non parlano» (M. Luzi, Nel silenzio parla il linguaggio del mondo, 1990)
Animato da un forte credo religioso, da un senso mistico dell’esistenza umana, Luzi usa la poesia come luogo ideale di colloquio e di ricerca intima del vero. Come dice Daniele Piccini, «Luzi tenta un’impresa ardua: reinventare, a fronte della frammentazione conoscitiva, della negatività e del disincanto umanistico dell’epoca, un’affermazione piena dell’essere».
Questa «ontologia positiva» , spiega Piccini, nasce dal passaggio attraverso tutte le lacerazioni, i disincanti, i dubbi, i tormenti della mente e dei sensi. Un’operazione che ha un sapore dantesco, passare per l’inferno, pentirsi, purificarsi e giungere alla pienezza del paradiso. Ma la riflessione non può che scaturire dal conflitto tra la morte e il desiderio di vivere.
5.1Vent'anni, Mario Luzi
Vent’anni
Perdono pe’ nostri dolci peccati
Per avere spesso guardato
Teneramente dissiparsi il giorno
Dall’ombra e il silenzio dei casini
Sognando di andare con una fanciulla
Senza seni lungo l’Arno rosa
E la voglia di piangere racchiusa
Nel cuore come un’onda preziosa.
Perdono per esserci creduti forti
Più della morte quando passavano
I carri e funerali per le strade
Odorate di cipria e di fiori
E volevamo portare a casa cantando
L’immagine dei baci, la voglia
Di stringer l’età amara che non fugga,
D’entrare nelle chiese che non han più soglia.
In questi versi la voce del poeta si fa rappresentativa di una collettività, non solo intesa in senso generazionale (i ventenni), ma in senso più ampio è un’apologia di tutta la giovinezza che si rivela a un tempo forte, spavalda e fragile.
Il noi è il segno del legame con i lettori ed è quel mondo che Luzi vuole ascoltare incessantemente. Anche il tu, il du stil, attributo della poesia montaliana e prima ancora di altri grandi poeti anche latini (si pensi solo all’Orazio delle Odi), diventa occasione di dialogo intimo con qualcuno.
5.2La notte lava la mente, Mario Luzi
La notte lava la mente
Poco dopo si è qui come sai bene,
fila d’anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.
In questi versi vi è come un paesaggio cosmico, fatto di uomini: chi in cerca di qualcosa, pronto ad afferrarlo, chi imprigionato nella propria vita senza sbocco. Sulla «pagina del mare», come sulla lunga riga dell’infinito possiamo stabilire il punto a cui tendere – perché la vita è una ricerca continua. Messaggeri di quel mondo infinito, i gabbiani, raramente si rivelano.
Ma forse la poesia di Luzi che più rappresenta questa fiducia degli ermetici nella parola è Vola alta parola. Infatti Luigi Ferri sostiene che «Luzi è il poeta che ascolta il parlare del mondo, che accoglie la voce silenziosa di tutto ciò che esiste» (nel saggio La parola è epifania del silenzio. Poesia mistagogica). Torna in mente la grande lezione di Ungaretti sulla parola, quando dice che essa non può nulla, ma è qualcosa, è il nostro qualcosa con cui tentare di decifrare il mondo. Ci avvicina al mistero e avvicina il mistero a noi.
5.3Mario Luzi: Vola alta, parola
Vola alta parola
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi
sogno che la cosa esclami
nel buio della mente
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo sii
luce, non disabitata trasparenza…
La cosa e la sua anima?
O la mia e la sua sofferenza?
Vola alta, parola.
6Cos’è l’ermetismo? Conclusione
Che cos’è dunque l’ermetismo? Nei difficili anni tra le due guerre mondiali, mentre la letteratura ufficiale gridava e faceva violenza di idee e ideali, diventava slogan e voce altisonante, ci fu come l’esigenza di un monachesimo poetico. Tutti furono coinvolti. Fu cioè necessario ai poeti (a tutti i poeti) ritrovare il silenzio e nel silenzio ritrovare le eterne voci del mondo. La parola fu il mezzo di rinascita e di approfondimento della vita stessa e dei suoi misteri. E come se nella poesia si ritrovasse qualcosa della preghiera, quella preghiera senza retorica, intima, bisbigliata al cielo, alle stelle, quella preghiera che è domanda incessante di noi stessi, di quel che siamo e che saremo e che nel domandare, sa esaudirsi.
Il suo peccato più grande quello di credere nella poesia come ad una religione.
Eraldo Miscia su Alfonso Gatto