Erich Fromm, Fuga dalla libertà: riassunto e spiegazione
Erich Fromm, Fuga dalla libertà: l’uomo moderno tra libertà e bisogno di appartenenza e tra individualità e schiavitù del conformismo.
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Erich Fromm, Fuga dalla libertà: riassunto e spiegazione
Fuga dalla libertà (Escape from freedrom) è la prima opera di Erich Fromm, pubblicata nel 1941 nel pieno della seconda guerra mondiale, con la quale il filoso intende guidarci attraverso un lungo percorso nella psiche umana: per spiegare ciò che ha spinto l’uomo, dopo la faticosa conquista della libertà ad adagiarsi nella schiavitù dei totalitarismi più crudeli del Novecento.
Erich Fromm riconduce l’emergere dei regimi totalitari al bisogno di sottomissione che nell’uomo non è innato ma si genera dalla responsabilità che la libertà, una volta ottenuta, produce. L’uomo, in questo percorso, attraversa le fasi che il bambino vive nel momento in cui si distacca dalla madre (a 2 anni circa). Quindi, l’essere umano si distacca dallo stato di unità cosmica con la natura e con gli altri uomini, nel medioevo, in quel che viene chiamato processo di individuazione. Quando l’uomo è cosciente di essere un’entità separata si crea in lui un sentimento di impotenza, ansietà e incertezza verso un mondo che ora gli appare forte e minaccioso, sentimento chiamato meccanismo di fuga. Nel basso medioevo, l’uomo si sentiva circondato da concorrenti, il rapporto con gli altri è di tipo strumentale le cui caratteristiche sono l’estraneità e l’ostilità dovute alla nascita del capitalismo e al desiderio, comune a tutti gli uomini, di affermarsi ed arricchirsi. Di fronte alla solitudine dell’uomo, le dottrine religiose della Riforma protestante si pongono come risposta ai bisogni psichici che, il collasso delle certezze, ha indotto negli uomini, creando un nuovo tipo di subordinazione.
L’uomo torna schiavo, questa volta della religione, perde di nuovo la sua individualità all’interno di un progetto più grande, quello divino. La libertà ha posto sulle spalle dell’uomo un peso, si è sbarazzato di alcune costrizioni facendosi però sottomettere da altre meno evidenti, interne, che bloccano la totale realizzazione psicologica dell’uomo. Lutero e Calvino hanno con le loro idee preparato l’uomo al ruolo che egli assumerà nella società moderna, quello di servo. Servo, nel periodo della Riforma, di un Dio che, avendo predestinato ogni uomo prima ancora che nascesse, non è né espressione di giustizia e né d’amore e nella società moderna di quello che sarà il futuro “Fuhrer”. Nei secoli successivi l’uomo è sempre più isolato ed è diventato uno strumento nelle mani di forze esterne che lo soverchiano: un individuo sempre più confuso e insicuro. Tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo il percorso verso la libertà umana raggiunge il suo apice: l’individuo è sempre più spinto verso una realizzazione economica, perde i suoi legami tradizionali e vede davanti a sé forze enormi che lo minacciano e nuove fonti di insicurezza.
In questo periodo si espande la grande industria che accoglie sempre un maggior numero di dipendenti e diminuisce le concrete possibilità di sviluppo dello spirito di iniziativa individuale.
L’uomo è di nuovo schiacciato e costretto, questa volta dalle catene di una immensa macchina economica che impone il proprio ritmo e all’interno della quale ognuno ha un compito specifico ma è allo stesso tempo insignificante. Egli deve inoltre sostenere la serrata concorrenza di altri individui per evitare di essere risucchiato tra gli enormi ingranaggi del mercato. Questa insignificanza dell’individuo è alla base dell’ottica pubblicitaria che vede l’uomo solo come possibile acquirente di prodotti, un consumatore da condizionare attraverso metodi in grado di soffocarne le capacità critiche. Allo stesso modo anche i metodi di propaganda politica aumentano il grado di insignificanza dell’elettore dandogli l’illusione di poter scegliere, di contare qualcosa, ma imponendogli contemporaneamente di decidere tra due candidati che egli non ha mai scelto. Le crescenti difficoltà della vita moderna (disoccupazione, guerre, ma anche solo l’immensità delle città in cui l’uomo si perde) contribuiscono a far percepire all’uomo la realtà come incontrollabile, ossia una realtà con la quale è difficile stare al passo. Di fronte a questo l’uomo ha paura, si sente solo e cerca rifugio nella sottomissione a un capo (come è avvenuto durante il fascismo e il nazismo): il modo per sottrarsi a questi sentimenti è tornare ad essere dominato da una qualsiasi autorità, instaurare cioè nuovi legami secondari in sostituzione di quelli primari perduti. L’uomo si convince di non essere in grado di affrontare la quotidianità e si rifugia nel masochismo. Si annulla l’io individuale e si entra a far parte di un tutto esterno più grande e potente.
Un altro meccanismo di fuga che scatta nell’uomo è la distruzione del mondo esterno che ha come scopo la fuga dall’intollerabile sentimento di impotenza rispetto a quei poteri che tendono a oltrepassare l’individuo. La distruttività oltre che verso oggetti esterni può essere rivolta anche contro se stessi. Dei meccanismi di fuga fa parte anche il conformismo: la soluzione che la maggior parte degli individui normali adotta e consiste nel cessare di essere se stessi conformandosi in tutto e per tutto agli altri. In questo modo la distanza tra il se e il mondo viene colmata e i sentimenti di ansia e solitudine dell’uomo moderno scompaiono insieme alla sua personalità. Questo è ciò che avvenne nel Nazismo: in Germania la popolazione si sottomise al regime a volte anche senza condividerne l’ideologia e altre volte attaccandosi ad essa fanaticamente. Il regime, dopo la presa al potere di Hitler, si identificò con la Germania stessa; combatterlo significava quindi tornare liberi, estraniarsi da quel tutto che aveva finalmente ridato all’uomo delle certezze.
Al giorno d’oggi ci si culla in false certezze, ci si crede liberi di esprimersi, di essere ciò che si vuole, si è convinti di aver eliminato ogni forma di costrizione. Osservando più attentamente le cose però ci si rende conto di quanto invece l’uomo sia in realtà costruito.
La soppressione dei sentimenti spontanei inizia infatti prestissimo, già nella primissima educazione del bambino. Al bambino si insegna ad essere cordiali con tutti; più avanti si insegna al ragazzo ad assumere una personalità gradevole. Tutto questo è in contraddizione con quello che è il vero fine dell’educazione e cioè la promozione dell’indipendenza interiore, dell’integrità e dell’individualità del bambino. L’uomo moderno è portato a pensare che il problema della libertà sia quello di conquistarne sempre più, dimenticando che il vero problema non è quantitativo ma qualitativo e che la libertà non va solo difesa ma bisogna conquistarne un nuovo tipo, una libertà che ci consenta di realizzare la nostra personalità individuale. Per fare ciò bisogna fare in modo, prima di tutto, che la libertà non si converta nel suo opposto a causa del continuo trovarsi, dell’uomo, in bilico tra le sue possibilità di realizzarsi e la necessità di essere rassicurato: è importante smettere di aspettare che arrivi la pubblicità a dirci di cosa abbiamo bisogno!
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