Disputa sugli universali: significato e conseguenze

Cosa sono gli universali? Significato, caratteristiche e protagonisti della disputa filosofica medievale
Disputa sugli universali: significato e conseguenze
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1Origine e contenuto della disputa sugli universali

Porfirio di Tiro
Porfirio di Tiro — Fonte: getty-images

Per comprendere che cosa i medievali intendessero con “universali” possiamo innanzitutto pensare ai concetti. Uno stesso concetto, ad esempio “albero”, si riferisce a molti individui diversi, a tutti gli alberi del mondo (e anche a quelli immaginari). Per questo, con le parole di Aristotele, si possono definire gli universali come «ciò che si può predicare di molti». Possiamo dire sia che “il melo è un albero da frutto”, sia che “l’abete è un albero sempreverde”. “Albero” è un universale, un concetto generale (in grammatica si chiama infatti nome “comune”). 

I filosofi medievali distinguevano gli universali dai particolari: se “città” è un universale, “Roma” è un particolare, se “uomo” è un universale, “Achille Lauro” è un particolare. 

Gli universali hanno dato molto da pensare alla filosofia, in particolare alla filosofia medievale cristiana. Tra l’XI e il XIV secolo diversi filosofi si sono occupati degli universali, dibattendo tra loro di un problema che può essere formulato così: gli universali esistono realmente o sono solo parole? 

L’albero in generale, l’albero al di là di tutti i singoli alberi, esiste realmente? O, invece, esistono solo i singoli alberi? E, in questo secondo caso, cos’è la parola “albero”? Se è solo una parola, cos’hanno in comune tra loro gli innumerevoli alberi del mondo? Nulla? Cosa fa sì che possiamo chiamarli tutti “alberi”? Intorno a queste domande, i filosofi medievali si sono scontrati duramente tra loro, a colpi di argomentazioni, in una lunga disputa. 

Usando i termini universali si possono costruire definizioni e descrivere relazioni. Ad esempio, gli alberi possono essere considerati come un insieme omogeneo e poi suddivisi in diverse specie (querce, peri, olivi ecc.). O, viceversa, se si considerano insieme il platano, la lattuga e la calendula si può parlare di “piante” o di “vegetali”. Aristotele chiamava i termini di queste relazioni “generi” e “specie”. Se albero è genere, olmo è specie; se animale è genere, gabbiano è specie; se atleta è genere, nuotatrice è specie, e così via. Sia i generi che le specie sono universali e consentono di definire le cose. 

L’origine testuale della disputa sugli universali è un passo delle Isagoghe, in cui Porfirio scrive: «rinuncerò a pronunciarmi sulla questione dei generi e delle specie: cioè se essi abbiano una realtà, oppure se esistano solo nel pensiero». Porfirio si chiede: gli universali esistono nella realtà o sono solo concetti, parole? E rinuncia a cercare una risposta. 

La cercheranno invece i filosofi medievali che, nella disputa sugli universali, si divisero in due schieramenti, da una parte i realisti e dall’altra i nominalisti. I realisti sostenevano che gli universali fossero reali, affermando l’esistenza metafisica di nature comuni, che trascendono gli individui. Ad esempio, un realista avrebbe detto che oltre ai singoli e diversi alberi esiste anche una natura comune a tutti gli alberi, ovvero un “albero” come universale. I nominalisti, invece, attribuivano realtà solo agli individui e ritenevano che gli universali fossero nomi o parole, di cui occuparsi dal punto di vista logico. Quindi, per un nominalista, esistono diversi alberi individuali, ma “albero” è solo un concetto o una parola che noi usiamo.  

Fino all’XI secolo, nessuno aveva davvero dubitato dell’esistenza reale degli universali: erano tutti realisti! Anzi, in accordo con la tradizione platonica, i filosofi ritenevano che l’esistenza in senso proprio fosse quella degli universali.  

2I primi nominalisti

Pietro Abelardo (1079-1142): filosofo francese, teologo e precursore della Scolastica
Pietro Abelardo (1079-1142): filosofo francese, teologo e precursore della Scolastica — Fonte: getty-images

La disputa quindi è stata aperta dai nominalisti che sono andati contro la tradizione. Tra XI e XII secolo, infatti, alcuni filosofi iniziarono a mettere in dubbio l’esistenza degli universali. Tra i primi ci fu Roscellino, che affermava una tesi radicale, quasi un rovesciamento del platonismo: solo gli enti individuali esistono. Gli universali non esistono, se non come emissione di voce, suono (flatus vocis). Secondo Roscellino, non c’è alcuna essenza comune agli enti individuali. 

Per queste sue idee Roscellino attirò su di sé ire e accuse da parte di molti. La sua tesi, infatti, colpiva direttamente il dogma trinitario. La Chiesa considera il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo come tre persone in un’unica sostanza divina (si dice per questo che Dio è uno e trino). Se però gli universali non esistono, perché esistono solo gli individui, allora Dio, Cristo e lo Spirito Santo sono tre sostanze separate (si parla allora di triteismo): una posizione chiaramente inaccettabile per la Chiesa. 

2.1Il concettualismo di Abelardo

Il secondo protagonista della disputa sugli universali è Abelardo, un grande filosofo e teologo vissuto fra l’XI e il XII secolo, che forse ricorderete per la tormentata storia d’amore con Eloisa, testimoniata dal loro epistolario. Abelardo era stato allievo di Roscellino, il terribile nominalista, e di un altro filosofo, che si chiamava Guglielmo di Champeaux, che era invece un realista. 

Abelardo elaborò una tesi intermedia tra quelle dei suoi maestri, chiamata “concettualismo”. Contro il realismo di Guglielmo, riteneva che gli universali esistessero solo nel linguaggio. Non per questo però li considerava completamente arbitrari, né semplici flatus vocis. Infatti, secondo Abelardo l’uso dei termini universali è giustificato dal fatto che le sostanze individuali hanno certe caratteristiche e intrattengono certe relazioni, dalle quali noi, grazie alla capacità di astrazione, ricaviamo i concetti universali che usiamo per raggruppare le cose nell’intelletto. Per questo Abelardo valorizza molto la funzione logica degli universali. 

3Disputa sugli universali nel XIII secolo

San Tommaso d'Aquino
San Tommaso d'Aquino — Fonte: getty-images

Diversamente da Abelardo, che come abbiamo visto ha sostenuto una posizione di nominalismo moderato, nel XIII secolo, Tommaso d’Aquino elaborò, invece, un realismo moderato. Secondo Tommaso, l’intelletto può trarre dalle cose particolari (o dalle immagini sensibili che ne abbiamo), sempre per astrazione, le forme intellegibili, cioè gli universali. Gli universali sono reali, ma non esistono nel mondo separatamente dagli individui. In che senso? Nel senso che ogni sostanza individuale corrisponde a un universale individualizzato, concretizzato in un singolo individuo.  

In questo senso, per Tommaso, gli universali sono sempre in relazione con le cose individuali. Per questo, distingue tre dimensioni dell’universale: l’universale è ante rem (“prima delle cose”) nella mente di Dio; è in re (“nelle cose”) come forma realizzata; ed è post rem (“dopo le cose”) nell’intelletto che lo astrae.  

3.1Il terminismo di Guglielmo di Ockham

Nel XIII secolo, il protagonista della disputa sugli universali è Guglielmo di Ockham, un francescano che insegnava all’università di Oxford. Ockham sostenne una posizione di nominalismo radicale, diverso da quello di Roscellino e detto anche “terminismo”. Secondo Ockham, gli universali non sono meri suoni, ma segni naturali, prodotti nell’anima dalle cose di cui sono segno. 

I “termini” sono i diversi elementi che compongono le proposizioni. Secondo Ockham, ne esistono di tre tipi: i termini orali, gli scritti e i mentali. I primi due sono convenzionali, i termini mentali (o concetti), invece, sono segni naturali e sono universali perché possono essere predicati di più enti individuali simili tra loro

La funzione degli universali è di stare al posto di tutti i particolari ai quali si possono adattare. Questa funzione si chiama suppositio. Per esempio, “città” è un universale perché “sta per” Roma, Cosenza, Lima, Mosca ecc. 

Secondo Ockham, nella realtà esistono solo entità singole, e la differenza tra universale e particolare riguarda solo il nostro linguaggio e le nostre conoscenze, più o meno dettagliate. A seconda del grado di precisione col quale conosciamo una certa cosa, utilizziamo per parlarne termini più o meno generali. Più i termini che usiamo si avvicinano ai nomi propri, più la nostra conoscenza è chiara e distinta.