Destra e Sinistra storica: riassunto breve

Ideologia, protagonisti e caratteristiche della Destra e Sinistra storica dopo l'Unità d'Italia. Francesco Crispi, Giovanni Giolitti e la questione meridionale

Destra e Sinistra storica: riassunto breve
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L'Italia dopo l'Unità. La Destra storica (1861-1876)

Destra e Sinistra storica
Fonte: ansa

L’Italia unita si trovò subito a dover affrontare i problemi relativi alle differenze tra le varie parti del paese. Gli uomini che composero la nuova classe di governo (la Destra storica), subito dopo l’Unità d’Italia, si erano formati alla scuola di Cavour ed erano per lo più di origine piemontese, per questo motivo estranei alle diverse realtà che il territorio italiano presentava.

C’era inoltre una forte distanza tra il “paese legale” e il “paese reale”, le classi dirigenti (compresa la Sinistra storica) erano molto ristrette e rappresentavano solo una piccola parte della popolazione, soprattutto a causa della legge elettorale piemontese, estesa a tutto il territorio, che dava il diritto di voto agli uomini che avessero compiuto 25 anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero un’imposta annuale di almeno 40 lire. Non esistevano inoltre dei veri e propri partiti, la politica era legata alla singola persona e alla sua capacità di esercitare influenza.

Il nuovo Stato che il nuovo governo era chiamato a formare doveva essere liberale, laico, moderato e liberista, secondo quella che era stata la politica di Cavour. Doveva essere dotato di un apparato amministrativo e burocratico e doveva essere inserito in una economia di mercato. Per ottenere questi risultati, i governi attuarono una politica di accentramento, con una forte impronta statalista, deludendo le aspettative di autonomia soprattutto del meridione. Tale politica fu dettata anche dalla paura di spinte autonomistiche di stampo democratico, che sfaldassero l’unità territoriale appena conquistata.

La nuova organizzazione dello Stato non fu quindi frutto di una riflessione sulle reali esigenze del paese, ma venne attuata attraverso l’estensione dell’organizzazione dello Stato sabaudo a tutto il resto d’Italia. L’unificazione politica e amministrativa avvenne attraverso l’estensione dello Statuto Albertino a tutto il territorio. Un altro passo nel percorso di unificazione del paese fu la Legge Casati, che istituiva l’istruzione obbligatoria fino al primo biennio della scuola elementare scuola elementare e regolamentava il sistema scolastico.

In politica estera il nuovo Stato si mosse per ottenere il Veneto (1866) e lo Stato Pontificio (1870) e trasferì la capitale da Firenze a Roma. A causa di quest’ultima annessione territoriale, il nuovo governo italiano entrò in conflitto con la Chiesa, la quale vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica del paese (Non expedit di Pio IX), nonostante lo Stato italiano garantisse alla Chiesa una serie di libertà sancite dalla legge delle guarentigie (1871): libero svolgimento delle funzioni spirituali, libertà di avere delle forze armate, extraterritorialità dei palazzi del Vaticano e del Laterano, libertà di comunicazioni telegrafiche e postali, etc.

In politica economica fu realizzata l’unificazione monetaria e tributaria. Fu adottata una politica di stampo liberista, con l’abbattimento delle barriere doganali per agevolare i commerci. Venne avviato lo sviluppo industriale anche grazie alla costruzione di nuove infrastrutture (strade, ponti, ferrovie).

Uno degli obiettivi principali era anche quello del pareggio del bilancio che si raggiunse nel 1875 attraverso una forte politica fiscale che culminò con la tassa sul macinato, che andava a colpire anche le fasce più povere della popolazione e che per questo provocò un malessere diffuso contro la nuova classe di governo.

La questione meridionale

Fu il primo grande problema che il nuovo governo dovette affrontare. Nell’ex Regno delle due Sicilie, la liberazione dal regime borbonico era stata vista come liberazione dall’oppressione, dalla corruzione, dai privilegi che le classi più deboli erano state costrette a subire da secoli. I contadini speravano infatti in forme di autogoverno e di distribuzione delle terre, ma videro rimanere la situazione uguale a quella di prima con la differenza che adesso erano governati dai piemontesi. I grandi signori rimasero al loro posto e in più venne aumentata la pressione fiscale e venne imposto il servizio militare obbligatorio che sottraeva braccia al lavoro dei campi. La conseguenza di questo malessere diffuso fu l’insurrezione dei contadini e l’aggravarsi di un fenomeno già presente nel sud Italia: la presenza di vere e proprie bande armate, al servizio dei baroni, che utilizzavano la forza per il controllo del territorio in assenza di un forte potere centrale. Tali bande di briganti divennero lo sfogo per tanti contadini impoveriti, determinando l’ingrandimento e l’inasprimento di tale fenomeno che divenne una vera e propria piaga del sud.

Il nuovo governo, probabilmente non comprendendo le reali cause del fenomeno e vedendovi solamente un rischio di ritorno del regime borbonico, istituì lo stato di guerra (con la legge Pica del 1863) e inviò l’esercito a reprimere il brigantaggio che come fenomeno venne debellato nel giro di due anni. Il sud, sconfitto nella sua componente democratica, rimase caratterizzato dalla presenza di una forte aristocrazia che ne controllava il territorio.

La Sinistra storica

L’ultimo governo della Destra fu messo in minoranza nel 1876 in seguito alla questione della nazionalizzazione dalle ferrovie. Il re affidò il nuovo governo ad Agostino Depretis esponente dello schieramento di sinistra. Ebbe inizio così il primo governo della Sinistra Storica.

La nuova classe politica aveva una composizione diversa dalla precedente, aveva una base sociale più ampia ed era espressione di ceti medio-borghesi e comprendeva anche operai e artigiani. Nei primi anni dell’Unità d’Italia portò avanti rivendicazioni democratiche quali il suffragio universale e il decentramento amministrativo. Quando divenne schieramento di governo tuttavia aveva perso un po’ della sua componente democratica e si era spostata su posizioni più moderate. Nonostante questo riuscì a esprimere il desiderio di democratizzazione della società e a soddisfare le esigenze di una borghesia in crescita.

Ecco alcune riforme attuate nei primi governi di sinistra di Depretis:

  • aumento dell’obbligo scolastico fino a nove anni (legge Coppino 1887);
  • ampliamento della base elettorale: diritto di voto a 21 anni, pagamento dell’imposta di 20 lire, alfabetizzazione minima (con questa legge poteva votare il 7% della popolazione).

Dopo l’attuazione di queste riforme la politica della Sinistra prese una piega più moderata, per paura del diffondersi di tendenze estremiste. Ha inizio una pratica politica detta trasformismo attraverso accordi elettorali tra esponenti di sinistra (Depretis) e di destra (Minghetti) che portarono alla creazione di un governo che non era più né destra né sinistra ma si poneva al centro tra i due schieramenti.

In politica economica venne diminuita la pressione fiscale (abolizione della tassa sul macinato) che insieme ad una spesa pubblica in aumento provocò un deficit nel bilancio statale. Per favorire il decollo industriale e la ripresa dell’agricoltura venne attuata una politica protezionistica mettendo al riparo l’economia dalla concorrenza straniera.

In politica estera la Sinistra stipulò nel 1882 la Triplice Alleanza con la Germania e con l’Austria-Ungheria per uscire da una situazione di isolazionismo, rinunciando quindi alla conquista delle terre irredente, Trentino e Venezia Giulia. Nel frattempo si inserisce nella politica imperialista che stava caratterizzando l’Europa e tenta l’occupazione dell’Etiopia ma viene sconfitta a Dogali.

Nel 1892 veniva fondato il Partito Socialista italiano quale espressione della classe operaia che si cominciava a presentare come soggetto politico. Nel frattempo si andava formando anche un movimento cattolico, l’Opera dei congressi, il cui programma rimaneva comunque ostile al nuovo governo.

Nell’ultimo ventennio dell’800 il governo venne affidato ad un uomo politico di origine siciliana, Francesco Crispi che governò dal 1887 al 1896, con una interruzione di un anno (primo governo Giolitti). Crispi attuò quella che venne definita “democrazia autoritaria”: vennero emanati alcuni provvedimenti come l’eleggibilità dei sindaci, il diritto di sciopero, l’abolizione della pena di morte ma contemporaneamente veniva portata avanti una politica repressiva e accentratrice attraverso una forte riorganizzazione dell’apparato statale.

In politica estera voleva riaffermare il valore dell’Italia come potenza coloniale. Venne fondata la Colonia Eritrea e si posero le basi per l’occupazione della Somalia. Nel 1892 cade il governo Crispi proprio a causa della sua politica coloniale. Abbiamo il primo governo di Giovanni Giolitti, che sarà protagonista della storia d’Italia nei primi decenni del ‘900.

Giolitti propone un programma molto avanzato, in particolare era contrario alla repressione del movimento operaio e dei Fasci siciliani, le organizzazioni di contadini siciliani che si opponevano alla pesante tassazione e al malgoverno locale, ma non riuscì a portare avanti il suo programma a causa di uno scandalo finanziario in cui rimase coinvolto (scandalo della Banca di Roma).

Secondo governo Crispi (1893):

  • istituzione della Banca d’Italia con funzioni di controllo del sistema bancario e finanziario;
  • proclamazione delle stato d’assedio in Sicilia per reprimere i Fasci siciliani ed emanazione delle leggi antisocialiste, il Partito socialista fu dichiarato fuori legge;
  • ripresa della politica coloniale, secondo tentativo di conquista dell’Etiopia che si concluse con la sconfitta di Adua (1896).

Crispi uscì dalla scena politica italiana. Il governo fu affidato ad Antonio di Rudinì che si affrettò a stipulare la pace con l’Etiopia.

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