La novella delle papere di Boccaccio: introduzione alla quarta giornata. Temi e analisi
Indice
- L’introduzione alla 4° giornata e il vento dell’invidia
- Decameron, le accuse rivolte a Boccaccio
- La novella delle papere per difendersi dalle accuse
- Le risposte alle accuse
- Il vento dell’invidia, parte seconda
- Ascolta il podcast sul Decameron di Boccaccio
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- Concetti chiave
1L’introduzione alla 4° giornata e il vento dell’invidia
Il reggimento della quarta giornata è nelle mani di Filostrato, vinto d’amore, e seguendo la sua natura, per via del nomen omen, si ragiona degli amori dal malus exitus: se da una parte serve a equilibrare i finali lieti delle novelle precedenti, dall’altra dà valore a quanto appena affermato nell’autodifesa perché la Fortuna – cui colleghiamo la responsabilità umana, la virtù – allunga la sua ombra anche nella quarta giornata, questa volta in negativo.
Si tratta quasi di una deviazione obbligata per dimostrare che l’autore sa anche essere serio e, per accompagnare questo particolare tema, Boccaccio si lancia in un’appassionata difesa perché teme che la sua opera possa essere incompresa o travisata.
Nonostante fino a quel momento avesse scritto dell’ingegno, della natura, del corpo, della gentilezza umana che deve essere ricondotta a un sano buonsenso, il fatto che si stesse servendo di leggerissime novellette aveva giocato a suo sfavore: molte novelle delle prime tre giornate sono di argomento erotico o inclini a porre la Fortuna e non la Provvidenza quale motore del mondo in una visione laica e disincantata della società. Si accorse che i suoi racconti rischiavano di piacere per il motivo sbagliato e che i critici potevano accusarlo di frivolezza e impudicizia. Doveva quindi giustificarsi davanti ai lettori, e vedremo questa cosa essere un tratto comune di chi si occupa della letteratura comica o faceta.
L’apologia della quarta giornata chiarisce la scelta di Boccaccio: la sua opera è un trattato sull’uomo e per ragionare, al posto di usare concetti, si serve di esempi espressi attraverso facezie e novellette, non diversamente da come facevano i predicatori sui pulpiti.
“Carissime donne, sì per le parole de’ savi uomini udite e sì per le cose da me molte volte e vedute e lette, estimava io che lo ’mpetuoso vento e ardente della invidia non dovesse percuotere se non l’alte torri o le più levate cime degli alberi; ma io mi truovo dalla mia estimazione ingannato. Per ciò che, fuggendo io e sempre essendomi di fuggire ingegnato il fiero impeto di questo rabbioso spirito, non solamente pe’ piani, ma ancora per le profondissime valli tacito e nascoso mi sono ingegnato d’andare. Il che assai manifesto può apparire a chi le presenti novellette riguarda, le quali, non solamente in fiorentin volgare e in prosa scritte per me sono e senza titolo, ma ancora in istilo umilissimo e rimesso quanto il più possono. Né per tutto ciò l’essere da cotal vento fieramente scrollato, anzi presso che diradicato e tutto da’ morsi della invidia esser lacerato, non ho potuto cessare. Per che assai manifestamente posso comprendere quel lo esser vero che sogliono i savi dire, che sola la miseria è senza invidia nelle cose presenti”. (Decameron, IV, Intr.)
Boccaccio stenta a credere che la sua opera abbia generato invidia, nonostante egli si sia tenuto – come dire? – a fondovalle, scegliendo uno stile umile, e non si sia innalzato come una torre cui più facilmente il vento dell’invidia dà le sue violente sferzate. Ma non è andata così. L’invidia è comunque arrivata. Il richiamo delle valli e dei piani ci ricorda che l’autore ha concepito l’opera come un sentiero con esempi concreti, pragmatici, e problematizzando alcuni aspetti essenziali della società del tempo; ma lo ha fatto prendendo una tradizione letteraria ancora non consacrata, quella cioè delle novelle. L’invidia è, inoltre, il primo segno del fraintendimento che l’opera poteva suscitare.
2Decameron, le accuse rivolte a Boccaccio
Andiamo adesso nello specifico delle accuse rivolte a Boccaccio. Leggiamole:
“Sono adunque, discrete donne, stati alcuni che, queste novellette leggendo, hanno detto che voi mi piacete troppo e che onesta cosa non è che io tanto diletto prenda di piacervi e di consolarvi, e alcuni han detto peggio, di commendarvi, come io fo. Altri, più maturamente mostrando di voler dire, hanno detto che alla mia età non sta bene l’andare omai dietro a queste cose, cioè a ragionar di donne o a compiacer loro. E molti, molto teneri della mia fama mostrandosi, dicono che io farei più saviamente a starmi con le Muse in Parnaso che con queste ciance mescolarmi tra voi. E son di quegli ancora che, più dispettosamente che saviamente parlando, hanno detto che io farei più discretamente a pensare dond’io dovessi aver del pane che dietro a queste frasche andarmi pascendo di vento. E certi altri in altra guisa essere state le cose da me raccontate che come io le vi porgo, s’ingegnano, in detrimento della mia fatica, di dimostrare. Adunque da cotanti e da così fatti soffiamenti, da così atroci denti, da così aguti strali, valorose donne, mentre io ne’ vostri servigi milito, sono sospinto, molestato e infino nel vivo trafitto”.
3La novella delle papere per difendersi dalle accuse
Boccaccio affida la prima parte della sua difesa alla famosa “Novella delle papere” che è una facezia ripresa dal Novellino (Nov., XIII). La trama è molto semplice: un uomo nasconde il figlio in un eremo per impedirgli di conoscere le donne e non peccare. Un giorno, spinto da necessità a recarsi in città insieme al figlio, non può impedire che questi veda le donne: il figlio chiede cosa siano. Lui risponde: papere. Al che il figlio dice: molto belle queste papere, perché non ce ne portiamo a casa una così le diamo da beccare?
Il padre comprende quanto sia impossibile sottrarsi all’attrazione femminile e al potere della natura. L’amore è una forza capace di muovere tutto e per tale ragione la reggenza della donne in fatti d’amore è indiscutibile; se si parla dell’amore, quanto di più bello c’è al mondo, si deve necessariamente parlare delle donne e alle donne, che sono la creature più incredibile e meravigliosa, dice il certaldese.
4Le risposte alle accuse
Vediamo adesso le risposte personali di Boccaccio:
“Che io con le Muse in Parnaso mi debbia stare, affermo che è buon consiglio, ma tuttavia né noi possiam dimorare con le Muse né esse con esso noi; se quando avviene che l’uomo da lor si parte, dilettarsi di veder cosa che le somigli, questo non è cosa da biasimare. Le Muse son donne, e benché le donne quello che le Muse vagliono non vagliano, pure esse hanno nel primo aspetto simiglianza di quelle; sì che, quando per altro non mi piacessero, per quello mi dovrebber piacere. Senza che le donne già mi fur cagione di comporre mille versi, dove le Muse mai non mi furon di farne alcun cagione. Aiutaronmi elle bene e mostraronmi comporre que’ mille; e forse a queste cose scrivere, quantunque sieno umilissime, si sono elle venute parecchie volte a starsi meco, in servigio forse e in onore della simiglianza che le donne hanno ad esse; per che, queste cose tessendo, né dal monte Parnaso né dalle Muse non mi allontano, quanto molti per avventura s’avvisano”.
Le donne sono sempre il centro dell’opera e tutto è giocato sulla disposizione naturale che il poeta rivendica con orgoglio, perché è questa disposizione a ispirare lo scrittore e il suo l’ingegno letterario. L’ispirazione, per Boccaccio, è originata dalla natura e dal desiderio, non in modo astratto dalle Muse. L’uomo deve sottostare alla natura e quindi al desiderio: questa è la disposizione naturale ed è la risposta a chi voleva Boccaccio a trastullarsi con le Muse sul Parnaso, quando la vita, in verità, è ben più allettante che restare in idee astratte. Le donne in carne e ossa sono le uniche e vere Muse. Tuttavia è l’ultima risposta quella più interessante, per quanto breve, tanto che potrebbe passare inosservata.
"Quegli che queste cose così non essere state dicono, avrei molto caro che essi recassero gli originali, li quali, se a quel che io scrivo discordanti fossero, giusta direi la loro riprensione e d’amendar me stesso m’ingegnerei; ma infino che altro che parole non apparisce, io gli lascerò con la loro oppinione, seguitando la mia, di loro dicendo quello che essi di me dicono".
Boccaccio sta dicendo proprio che l’originale, la vita, non è più presentabile e che quindi qualsiasi racconto fatto, è già una copia, un falso rispetto alla vita, ma poco importa perché la verità della letteratura non è da cercarsi nella vita, ma nella letteratura stessa: il certaldese ha interpolato gli aneddoti a proprio modo e per uno scopo preciso. Non è quindi copiare la realtà l’importante, ma crearne una nuova che si ponga, se non in conflitto, almeno in dialogo con essa: qui è il centro dal rapporto tra letteratura e vita, tra ideale letterario e sua applicazione morale.
5Il vento dell’invidia, parte seconda
In ultimo, chiudendo perfettamente ad anello viene ripresa l’immagine del vento dell’invidia che solleva la polvere, «come la rena quando turbo spira» (Dante, Inf., III, 30), polvere che può essere portata in alto proprio grazie alla sua leggerezza e innalzarsi al di sopra anche delle torri che più facilmente dovrebbero invece essere battute da essa.
“E volendo per questa volta assai aver risposto, dico che dallo aiuto di Dio e dal vostro, gentilissime donne, nel quale io spero, armato, e di buona pazienza, con esso procederò avanti, dando le spalle a questo vento e lasciandol soffiare; per ciò che io non veggio che di me altro possa avvenire, che quello che della minuta polvere avviene, la quale, spirante turbo, o egli di terra non la muove, o se la muove, la porta in alto, e spesse volte sopra le teste degli uomini, sopra le corone dei re e degli imperadori, e talvolta sopra gli alti palagi e sopra le eccelse torri la lascia; delle quali se ella cade, più giù andar non può che il luogo onde levata fu”.
L’immagine è densa di significato. Ciò che è umile può innalzarsi, in pieno accordo con il contrappasso cristiano: è la speranza di Boccaccio per la sua opera composte da novellette (il termine è scambievole con quello di facezie). Non solo: il vento dell’invidia può generare interesse sulla sua opera fatta di queste polveri rendendola famosa: può cioè farla viaggiare lontana.
C’è poi il legame con Dante, che Boccaccio sente sempre con estrema vicinanza, poiché l’immagine del vento ritorna di nuovo qui facendo eco al discorso di Oderisi da Gubbio nella Commedia (Purg., XI, 100-102) che si esprime in questo modo sulla vanità della gloria.
“Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.”
L’immagine è simile. Nel discorso che fa Oderisi c’è però anche la speranza del rinnovamento e che, appunto, le voci degli altri poco contano a cospetto con l’eterno: ed è questo che fa Boccaccio, conscio che la materia di grande peso, l’Amore, è tradotta in modo leggero, spera che quel vento muti a suo favore un giorno o l’altro. Insomma, scommette sui lettori di là da venire, che possano intendere in pienezza la sua opera. Boccaccio aveva scommesso proprio su di noi, sperando che un giorno avremmo capito in pienezza il suo prezioso messaggio.
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Domande & Risposte
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