Dante e la società comunale: vita e pensiero politico del sommo poeta nell'Italia del 1300

Vita e pensiero politico di Dante nell'Italia dei comuni. Lo scontro tra fazioni, l'esilio, le opere più importanti, la visione politica con la divisione tra potere temporale e spirituale.

Dante e la società comunale: vita e pensiero politico del sommo poeta nell'Italia del 1300
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Dante e la società comunale

Siena in un affresco
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Dante rappresenta il poeta della civiltà comunale. La sua vita e la sua opera raccontano il suo tempo.

La nuova letteratura in volgare nasce e si sviluppa grazie  ai comuni che, soprattutto al Centro e al Nord dell’Italia, si sottrassero all’autorità feudale. Dall’anno Mille riprende la vita nelle città che, nei secoli precedenti, erano quasi disabitate; assistiamo alla crescita demografica e alla crescita degli abitanti nelle città, attratti dal risveglio delle attività produttive.

Dal 1200 le vecchie classi dirigenti nobiliari vengono progressivamente sostituite da una nuova borghesia nascente composta da ceti mercantili, industriali e finanziari. Con loro arriva la cultura che esalta i valori borghesi dell’iniziativa individuale, del lavoro e dell’abilità nell’ottenere successo e guadagno. Questo non significa che la cultura feudale scompaia ma ci sarà uno scontro crescente tra i comuni – che vogliono sempre più autonomia in funzione della ricchezza che portano- l’Impero e la Chiesa, portatori di vecchi interessi ed equilibri.

Le opere di Dante si collocano al centro di queste spinte contrastanti. Firenze, come altri comuni in questa fase, è il teatro delle azioni politiche di Dante. Da oltre un secolo questa città era un libero comune dove la vecchia nobiltà feudale perdeva progressivamente importanza mentre la guadagnava la nuova borghesia che spingeva per avere più potere politico ed economico.

Dopo il 1293, a Firenze per poter svolgere attività politica diventa obbligatoria l’iscrizione ad una delle 21 Arti, associazioni di categorie professionali e artigiane che escludevano l’aristocrazia dal potere. Lo stesso Dante, che apparteneva alla piccola nobiltà, per partecipare alla vita politica della città dovette iscriversi alla corporazione dei Medici e Speziali.

La società comunale fiorentina era profondamente stratificata e in questa sua struttura esprimeva una forte conflittualità interna che si polarizzava attorno a due partiti:

  • Guelfo: si appoggiava all’autorità della Chiesa. All’interno dei Guelfi a Firenze ci saranno due correnti ulteriori, i Bianchi (guidati dalla famiglia dei Cerchi) e i Neri (guidati dalla famiglia dei Donati).
  • Ghibellino: si appoggia all’autorità dell’Impero

Dopo una breve fase di potere Ghibellino, i Guelfi furono ininterrottamente al potere dal 1266.
Dante inizia a partecipare alla vita politica cittadina quando si manifestano le rivalità tra i due diversi schieramenti del partito guelfo: i Bianchi e i Neri.

Dante voleva difendere l’autonomia del Comune e si schierò con i Guelfi Bianchi. Questo lo portò, per forza di cose, ad entrare in conflitto con Papa Bonifacio VIII che cercava di favorire i Neri. Lo scontro crebbe quando Dante fu eletto Priore di Valois. Si recò a Roma da Bonifacio VIII per dissuaderlo – senza successo - dall’inviare a Firenze come pacificatore il francese Carlo di Valois, ma questo entrò a Firenze e con il suo appoggio i Neri presero il potere e condannarono all’esilio Dante e i capi del partito Bianco.

Dante venne a sapere della sua condanna mentre era di ritorno da Roma e non poté più tornare nella sua città.

Dante si era battuto con forza e convinzione a difesa dell’autonomia del Comune, cercando di porre fine alle violente discordie tra le fazioni. Era convinto che solo il potere super partes dell’Imperatore potesse sconfiggere le rivalità presenti all’interno della società fiorentina.

E’ per questa ragione che accolse con entusiasmo la politica dalla quale trasse spunto per comporre la suaopera politica più organica: la Monarchia.

Il De Monarchia

  • è composta durante la discesa di Enrico VII in Italia (1310-1313) o subito dopo
  • è diviso in tre libri ed è scritto in latino (la lingua delle opere scientifiche e filosofiche, conosciuta da tutti gli intellettuali d’Europa)
  • mostra la concezione politica di Dante
  • è originale nell’affermare l’autonomia del potere dell’imperatore come diretta espressione della volontà divina;
  • la sfera della politica è quindi sottratta alla subordinazione al potere del papa a cui viene riconosciuto solo il potere spirituale.

La riflessione politica di Dante racconta il suo tentativo di definire il giusto rapporto tra Chiesa e Impero: entrambi sembrano necessari e voluti da Dio ma sono destinati ad occuparsi di due ambiti diversi e, quindi, ed essere autonomi e separati.

  • All’Impero – che è la diretta espressione politica della volontà divina - spetta il potere temporale;
  • Alla Chiesa – diretta espressione del potere spirituale - deve rinunciare ai beni e al potere temporali.

Vita di Dante

Cangrande della Scala
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Dante nasce a Firenze nel 1265 all’interno di una famiglia che apparteneva alla piccola nobiltà fiorentina schierata con i guelfi. La famiglia venne coinvolta nelle lotte interne del Comune di Firenze e per questo motivo fu vittima di confische di beni e di esili.

A nove anni Dante incontra per la prima volta Beatrice, figlia di Folco Portinari, che sposerà Simone dei Bardi; l’incontra nuovamente a 18 anni e se ne innamora profondamente trasformandola – nella sua opera- in una creatura angelicata. Nel 1290 Beatrice muore a soli 24 anni; il poeta ne rimane sconvolto e non la dimenticherà mai al punto di idealizzarla e farne un simbolo divino.

Nel 1295 Dante sposa Gemma Donati, un matrimonio concordato dalle due famiglie quando il poeta aveva solo 11 anni; da questo matrimonio nacquero tre figli: Piero, Jacopo e Antonia, che diventerà suora con il nome di Beatrice.

Dante è sempre stato un cittadino sensibile ai suoi doveri verso la città e fu protagonista attivo alla vita di Firenze:

  • partecipò alla battaglia di Campaldino (1289) contro i Ghibellini di Arezzo.
  • partecipò alla presa del Castello di Caprona contro i Pisani.

L’attività politica di Dante inizia nel 1295. Prima di questa data, in quanto nobile, non poteva accedere alle cariche pubbliche perché gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella, per assicurare il governo della città alla borghesia, escludeva dalla partecipazione alla vita politica sia i nobili sia il popolo minuto.

Ma in funzione del provvedimento che permetteva a chiunque di accedere alle cariche pubbliche a condizione che risultasse iscritto ad una corporazione di Arti e Mestieri, Dante potè iniziare a fare politica in quanto iscritto all’Arte dei medici e degli speziali, aperta anche agli studiosi di filosofia e di scienza.

Dante è priore di Firenze dal 15 giugno al 15 agosto del 1300 (si trattava di un incarico che durava solo 2 mesi). Quando raggiunge questa carica la città era guelfa da molto (i Ghibellini erano stati cacciati nel 1265) ma, all’interno di questa fazione, si combattevano ferocemente due fazioni: quella dei Bianchi, capeggiata da Vieri dei Cerchi, e la fazione dei Neri, capeggiata da Corso Donati. Non c’erano vere ideologie contrapposte, si lottava solo per ambizione di potere. Il contrasto si fece più aspro e assunse una connotazione ideologica quando Papa Bonifacio VIII, approfittando del fatto che l’Impero era vacante, cercò di estendere il dominio della Chiesa sulla Toscana.

Dante inizialmente decise di essere al di sopra delle parti e si sforzò di conciliare gli interessi delle due fazioni ma, di fronte all’insolenza dei Neri e alla loro remissività nei confronti della politica di annessione di Bonifacio VIII, si avvicinò ai Bianchi, con i quali condivideva l’ideale di libertà e indipendenza del Comune.

Bonifacio VIII nel 1301 inviò Carlo di Valois  a Firenze, ufficialmente per metter pace tra le fazioni, in realtà con il compito di favorire i Neri ed assicurare ad essi il predominio nella città. Dante, insieme ad altri due cittadini Bianchi, fu mandato a Roma come ambasciatore per ammorbidire le pretese del pontefice ma proprio mentre era assente, Carlo di Valois entrava a Firenze e consegnava il potere ai Neri che misero in atto i loro piani di vendetta: la prima fu mandare in esilio i Bianchi. Di ritorno da Roma, Dante fu raggiunto dall’editto con cui il podestà Cante dei Gabrielli da Gubbio, sotto l’accusa di baratteria (oggi diremmo corruzione di pubblico ufficiale), lo condannava alla multa di 5.000 fiorini piccoli e all’ interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Non pagando la multa e non presentandosi al processo, il poeta venne condannato al rogo, qualora fosse stato sorpreso nel territorio del Comune. Iniziò così la vita dell’esilio.

E’ difficile seguire Dante negli anni dell’esilio. Inizialmente partecipò ai tentativi dei Ghibellini e degli esuli Bianchi di tornare a Firenze con la forza delle armi ma successivamente, per divergenze di vedute, si allontanò e fece “parte per se stesso”. Da quel momento inizia a girovagare per le corti in cerca di protezione e di pace.

Qualche signore ne comprese la grandezza e lo accolse onorevolmente ricevendo in cambio un’eterna gratitudine. E fu così che immortalò Bartolomeo dalla Scala.

Quando nel 1310 Arrigo VII discese in Italia per ristabilire l’autorità imperiale, Dante sperò di poter rientrare a Firenze, ma l’impresa dell’imperatore fallì e la speranza del poeta si dissolse definitivamente con la morte di Arrigo a Buonconvento.

Solo l’amnistia del 1315 a favore degli esuli pentiti avrebbe potuto farlo rientrare ma Dante la respinse per le umilianti condizioni che poneva: i pentiti avrebbero dovuto riconoscersi colpevoli, pagare una pena pecuniaria, presentarsi in veste di penitenti con la corda al collo ed il capo cosparso di cenere.

Non era immaginabile che Dante – che si ritenne sempre innocente – potesse accettare tali condizioni. Ma il sogno di un ritorno onorato in patria non si concretizzò mai; trascorse gli ultimi anni della sua vita assistito dai figli Pietro, Jacopo e Antonia presso Guido da Polenta a Ravenna, dove morì nel 1321 dopo esser tornato da un’ambasceria a Venezia per conto del suo Signore. Fu seppellito a Ravenna nella chiesa di S. Francesco. Aveva da poco concluso il Paradiso, dedicato per riconoscenza a Cangrande della Scala.

Idee politiche di Dante

Le idee politiche di Dante maturarono lentamente nel corso di tutta la sua vita. Alla base del pensiero di Dante c’è una visione religiosa della realtà che dà unità a tutti i fenomeni. Da questa visione dipende la concezione della storia come una manifestazione progressiva delle verità cristiane. Le idee di Dante si possono suddividere in tre filoni:

  • Nel pensiero politico di Dante con l’esilio matura il rifiuto della frammentazione prodotta dall’esperienza dei Comuni e rilancia il modello universalistico. Sono diversi i tratti del Convivio e della Commedia in cui Dante afferma la legittimità del potere imperiale, voluto da Dio, per governare l’umanità.
  • Nella mente di Dante la lotta tra Impero e Papato viene sostituita da un’ alternanza di funzioni che garantisca la felicità terrena (imperatore) e spirituale (Papa).
  • Dante rifiuta lo spregiudicato uso del denaro che la nuova civiltà borghese ha portato.

La questione principale che Dante affronta è il rapporto tra filosofia divina (cioè la teologia) e la filosofia umana. Soprattutto nel Convivio, troviamo l’affermazione dell’indipendenza dei due campi, accettando l’unione tra fede e ragione: la fede nelle verità manifestate si accompagna alla fiducia nella credibilità razionale.

Al centro del pensiero linguistico di Dante c’è la valorizzazione del volgare a cui, nelle sue opere, viene data la dignità dei temi più illustri.

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