Dadaismo: caratteristiche, opere ed esponenti

Dadaismo: significato, opere ed esponenti del movimento culturale che annovera tra gli artisti anche Duchamp e che è nato con il manifesto di Tristan Tzara del 1918
Dadaismo: caratteristiche, opere ed esponenti
ansa

1Il Dadaismo: Giovani intellettuali contro la guerra

Il Cabaret Voltaire, luogo di ritrovo degli esponenti del Dadaismo
Fonte: ansa

Il Dadaismo è un movimento culturale che nasce negli anni della guerra, contro la guerra e contro tutta la cultura che lo precede, compresi gli altri movimenti d’avanguardia.
Tema portante e filo conduttore della corrente dadaista è il “caso”: la tragedia della prima guerra mondiale dimostra che il progresso non conduce necessariamente a condizioni di vita migliori, che la storia non è un flusso tendente al bene ma un caotico susseguirsi di eventi sul quale l’uomo non ha controllo. Per gli artisti dada il caso si applica come regola anche all’arte.
Ostile alla società borghese, il Dadaismo ne combatte i valori, le regole e i canoni estetici: «la parola d’ordine dei dadaisti è nihil, cioè niente, nulla infatti deve essere conservato, tutto deve essere distrutto» (M. Ragozzino).     

Due nuclei della corrente dadaista si sviluppano contemporaneamente a New York e a Zurigo nel 1916 e in breve tempo il loro linguaggio si diffonde in tutta Europa, come in una sorta di contagio, portando cambiamenti profondi nella concezione estetica e nel ruolo dell’artista.
Se le avanguardie prebelliche hanno un legame preciso con l’arte dell’immediato passato (pensiamo ad esempio agli Espressionisti con Van Gogh, ai Cubisti con Cézanne, ai Futuristi con il Divisionismo), il Dadaismo taglia in modo netto il cordone ombelicale che lega l’arte visiva al suo passato, creando una frattura che ancora oggi rende incomprensibile a molti l’arte del ‘900.     

Nel momento in cui si infrangono i sogni interventisti di molti giovani, a Zurigo arrivano esuli e intellettuali pacifisti da tutta Europa, tra questi il poeta rumeno Tristan Tzara intorno al quale si raccoglie il primo nucleo, che ha come luogo di ritrovo il Cabaret Voltarie, un locale chiassoso dove ragazzi ventenni, animati da spirito anarchico e goliardico, recitano poesie, improvvisano pièce teatrali, discutono d’arte, ballano e suonano il jazz.  

2Cos'è Dada, da cui prende il nome il Dadaismo

La storia dell’origine del nome Dada (da cui Dadaismo) è controversa. Secondo alcuni nasce dalla doppia affermazione “da” “da” (trad. si si) tipica delle lingue esteuropee; secondo altri viene scelto perché un tagliacarte si conficca casualmente nella pagina di un dizionario francese che contiene la voce “dada”, suono privo di significato tipico del linguaggio infantile.
Nel manifesto del Dadaismo del 1918 si legge: «Dai giornali apprendiamo che i negri kru chiamano la coda della vacca sacra: DADA. Il cubo e la madre in una certa contrada d’Italia prendono il nome DADA. Un cavallo di legno, la nutrice, la doppia affermazione in russo e in romeno: DADA».    

Non si fornisce quindi una spiegazione ma si alimentano dubbi ulteriori. Dietro a questa vaghezza c’è la convinzione che ogni credenza etica, politica ed estetica sia relativa e discutibile. Gli esponenti del Dadaismo non sono rivelatori di verità nuove, ma portatori di un modo di fare e di conoscere che appunto è fondato sul dubbio, sulla mancanza di fiducia in qualsiasi sistema.
Il manifesto continua dicendo: «L’opera d’arte non è mai bella in sé stessa perché la bellezza è morta. Un’opera d’arte non è mai bella per decreto, obiettivamente e per tutti. Ognuno fa arte alla sua maniera. Noi non conosciamo alcuna teoria. Basta con le accademie cubiste e futuriste, laboratori di idee formali. L’arte serve ad ammucchiare denari e accarezzare i gentili borghesi? Tutti i gruppi di artisti sono finiti a questa banca pur cavalcando su comete diverse».   

3Il dadaismo e il ready-made: il pensiero prima della mano

La poetica del caso, del rifiuto, del dubbio trova il suo ideale strumento espressivo nel ready-made, il già fatto, che consiste nel prelevamento di un oggetto banale, di uso quotidiano, e nel suo inserimento in un contesto diverso, che lo priva della sua funzione originaria elevandolo allo status di opera d’arte.
All’oggetto prelevato e decontestualizzato a volte si aggiunge una parziale modifica quale la firma dell’artista, l’inserimento di altri oggetti che ne impediscono o ne modificano il funzionamento, l’aggiunta di segni grafici, il rovesciamento della posizione. Si parla in questo caso di ready-made rettificato

DADA,DADA, DADA, urlio di colori increspati, incontro di tutti i contrari e di tutte le contraddizioni, di ogni motivo grottesco, di ogni incoerenza: LA VITA.

Tristan Tzara sul Dadaismo

Si tratta innanzi tutto di un’operazione ironica e dissacrante, che toglie all’arte a all’artista l’aura di divinità cui è rimasta intrappolata per secoli, che rende concreto il rigetto di un principio estetico universale. L’opera d’arte rivendica il diritto a non essere oggetto e strumento di godimento estetico.
Si tratta poi di una operazione di critica estremamente sagace e sottile al sistema dell’arte basato sul mercato che si afferma dalla fine dell’800 in poi. Mostre periodiche, collezioni e gallerie diventano i luoghi del riconoscimento economico e sociale delle opere d’arte: quelle accolte dal sistema, fedeli ai crismi accademici, seppure mediocri, ottengono legittimazione culturale e mercantile, altre, perché innovative, sono respinte senza appello.
Si tratta infine di un importantissimo traguardo, cioè il riconoscimento dell’opera d’arte come espressione del pensiero e dell’intelletto prima ancora che come attività e abilità manuale.

4Il Dadaismo: e questa sarebbe arte?

«Questo lo so fare anch’io!» è la frase tipica di chi non capisce e non apprezza l’arte contemporanea. Ciò che viene criticato è il fatto che dal Dadaismo in poi l’opera non richiede necessariamente una forte perizia esecutiva.
Ma quanto conta l’esecuzione manuale dell’autore perché l’opera sia dotata di valore? Facciamo qualche esempio. Canova non scolpisce i suoi marmi ma crea modelli in gesso per poi intervenire solo nella rifinitura conclusiva. Raffaello lascia agli allievi buona parte dell’esecuzione di molte sue opere che ha abbozzato in disegno. Gli architetti non posano un solo mattone ma, al pari dei registi cinematografici, disegnano un progetto che poi viene realizzato da altri. Ciò non priva di alcun valore le statue di Canova, le Stanze Vaticane o le facciate di Borromini. In questi casi, infatti, siamo disposti a credere che ciò che conta nell’opera sia l’idea iniziale più che il momento esecutivo. Questo è il punto su cui insistono, anche attraverso operazioni provocatorie, artisti ed esponenti del Dadaismo come Duchamp e Schwitters. La loro battaglia ha radici molto antiche e non è che il momento più appariscente di una vicenda secolare. Già nel Rinascimento lo sforzo più grande degli artisti è infatti rivolto al riconoscimento, per la pittura e la scultura, di un posto tra le arti liberali, quelle attività cui si riconosce un alto valore intellettuale, e il maggiore ostacolo a questo riconoscimento è proprio la loro commistione con l’attività manuale, cioè con quel settore che oggi chiamiamo artigianato.       

5Le provocazioni di Duchamp

Una delle opere fondamentali del Dadaismo: Marcel Duchamp, Ruota di Bicicletta
Fonte: ansa

Celebri nel Dadaismo sono i ready-made di Marcel Duchamp, oggetti di produzione industriale e di uso comune, privati della propria funzionalità, allontanati dal proprio contesto originario e inseriti nel “sistema dell’arte”, con un’operazione allo stesso tempo, ironica, provocatoria e intellettuale.  

Ruota di Bicicletta, del 1913 ed emblema del Dadaismo, rientra nella categoria del “ready-made rettificato” ovvero modificato rispetto all’oggetto di partenza. La ruota è montata al contrario sopra a uno sgabello da cucina come fosse un piedistallo, e con quest’operazione Duchamp si fa beffe della struttura tradizionale delle sculture celebrative. La ruota non può più servire al suo primo scopo, ma può ancora muoversi e il movimento assume un significato dissacrante: allo spettatore è infatti consentito di toccarla e farla girare, togliendo in questo modo all’opera d’arte la sacralità di ciò che è immobile e non può essere avvicinato. È in pratica un “antimonumento” che fornisce il primo spunto all’arte cinetica e interattiva, basata sulla partecipazione diretta dello spettatore e sull’abbandono di una contemplazione statica e acritica.  

A questo tipo di opera si affianca poi il ready-made puro, in cui l’oggetto è lasciato intatto e ricollocato. È il caso dello scolabottiglie, del 1914, acquistato da un vinaio e portato così com’è nella sede espositiva. La provocazione del Dadaismo in questo caso ha come bersaglio non l’opera d’arte ma il sistema dell’arte, che conferisce valore a qualsiasi cosa riesca, per qualsiasi motivo, a entrare nei templi delle esposizioni e delle gallerie. Si parla quindi del contesto, che è diventato decisivo nel costruire il significato dell’oggetto d’arte, proprio come il contesto di una frase è decisivo per cogliere il senso di una parola. Molte opere mediocri iniziano a circolare tra i collezionisti per il semplice fatto di essere state avallate dal mondo dell’avanguardia e un atto tanto radicale, come esporre in galleria uno scolabottiglie, un attaccapanni o una pala rende ancor più evidente questo pericoloso meccanismo di legittimazione culturale e mercantile. È da sottolineare che Duchamp non si arricchisce con la vendita delle proprie opere, la maggior parte vanno distrutte e alcune sono riprodotte solo molti anni dopo.  

Marcel Duchamp, Fontana; una delle opere fondamentali del Dadaismo
Fonte: ansa

Ready-made rettificato è anche un’opera del 1916, un orinatoio maschile prodotto in serie, appoggiato sulla parte più larga e firmato con lo pseudonimo R. Mutt.
Duchamp sceglie il titolo Fontana, che suggerisce l’inversione del flusso (la fontana infatti emette liquidi verso l’esterno mentre l’orinatoio li raccoglie) e l’oggetto viene spedito negli Stati Uniti per una esposizione. La Società degli Artisti Indipendenti di New York, che seleziona le opere, non conoscendo il nome del vero autore, si rifiuta di esporla, sebbene in passato avesse già accolto i lavori di Duchamp e avesse invitato l’artista a far parte della giuria per quella medesima occasione. 

6Le anti-costruzioni di Schwitters

Parimenti priva di senso come Dada, la parola “Merz” accompagna le opere del tedesco Kurt Schwittres. Frammento di una parola più lunga ritagliata a caso da un giornale Merz viene incollata sul primo esperimento di “accumulo” che l’artista compie a partire da 1919.
Le sue opere sono una sorta di collage tridimensionali, in cui oggetti, fotografie, parole stampate e pittura si sovrappongono come frammenti della realtà, pezzi che si depositano nella memoria e che prendono forma sulla tela nel merzbild (quadro merz) o che occupano uno spazio fisico come nel merzbau (costruzione merz).
La costruzione o meglio l’assemblaggio del primo Merzbau inizia ad Hannover dove, nel proprio studio, l’artista inizia a depositare una serie di oggetti di scarto, non integri e rinvenuti in modo casuale, l’uno sopra l’altro fino a formare delle enormi colonne che arrivano persino a bucare il soffitto.  

Kurt Scwitters, Untitled (Lovely Portrait)
Fonte: ansa

In questa struttura casuale, che cresce senza un preciso ordine architettonico, Schwitters ricava quindi degli spazi, ambienti anch’essi disordinati e incongruenti, che prendono il nome di grotte e che vengono dedicati agli artisti suoi amici (come la grotta Theo Van Doesburg e la grotta Hans Arp) o a concetti astratti come l’amore o la morte.
Il Merzbau è inoltre uno spazio condiviso, dove tutti quelli che entrano sono invitati a lasciare qualcosa, un segno, una traccia.
Casualità, accumulo, tracce, frammenti sono quindi una metafora del passaggio del tempo e della vita stessa, un labirinto in cui solo l’artista, o forse nemmeno lui, riesce a districarsi.
La costruzione prosegue in Germania per quasi vent’anni fino a quando Schwitters è costretto a scappare. Il Merzbau riprende quindi prima a Oslo e poi ad Ambleside in Inghilterra, all’interno di un fienile, il Merzbarn

7Dada dopo Dada

Una delle opere del Nuovo Dadaismo: Jasper Johns, Flag above white with collage
Fonte: ansa

L’esperienza del Dadaismo costituisce il presupposto fondamentale delle esperienze artistiche della seconda metà del XX secolo.
Negli anni ’50 gli americani Robert Rauschemberg e Jasper Johns daranno vita al movimento New Dada, recuperando l’idea di ready made nei loro combine paintings. In cui oggetti della vita quotidiana vengono letteralmente cosparsi di colore e fissati alle pareti come tele.
Esperienze simili si manifestano in Italia e in Francia con le correnti Neodada e Nouveau Réalisme, in cui diventano comuni operazioni di prelievo e di riciclo.
Il recupero dell’oggetto prodotto in serie e la ripetizione della sua immagine pubblicitaria sono alla base del linguaggio pop.
L’opera d’arte svincolata dalla manualità e dall’oggetto, è infine l’essenza dell’Happening, di Fluxus e dell’Arte Concettuale.    

8Guarda il video sul Dadaismo

    Domande & Risposte
  • Quali sono le caratteristiche del Dadaismo?

    La poetica del caos; l’opera d’arte deve essere ricondotta alla vita e non esprimere i principi estetici della società borghese, non deve essere oggetto di mercato e deve essere espressione del pensiero prima ancora che della manualità.

  • Chi ha fondato il Dadaismo?

    Un gruppo di intellettuali e artisti europei, tra questi il poeta rumeno Tristan Tzara.

  • Cos’è il Dadaismo in arte?

    E’ un movimento artistico che nasce durante la prima guerra mondiale come reazione alla cultura che la precede, compresi gli altri movimenti d’avanguardia. Il Dadaismo rifiuta gli standard artistici e sperimenta nuove forme espressive.