Curzio Malaparte: biografia, pensiero politico e opere

Biografia, pensiero politico e opere di Curzio Malaparte, scrittore, giornalista e militare tra le figure più rappresentative dell'espressionismo e del neorealismo italiano.
Curzio Malaparte: biografia, pensiero politico e opere
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1Introduzione: la personalità di Malaparte

Curzio Malaparte
Curzio Malaparte — Fonte: getty-images

Longanesi diceva che Malaparte «ai funerali vuol essere il morto, ai matrimoni la sposa». E Pietro Gobetti, critico letterario invece affermava che Malaparte era «la più bella penna del fascismo». Siamo davanti ad una personalità egocentrica, oltremodo complessa e affascinante.

Malaparte è stato un esteta della politica e della letteratura, capace di spingere se stesso ben oltre i limiti della consuetudine sociale e della convenienza nei pericolosi anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale.

C’è chi lo ha definito «un ossimoro vivente» (Veneziani) per il suo essere stato sia fascista, sia filo-comunista, sia filo-cristiano; ma anche massone e spia. Chi più ne ha, più ne metta, insomma. Tutto vero. Tutti hanno provato a definirlo, ma inutilmente.

Lasciamo che questo personaggio così poliedrico, ambiguo, incoerente, geniale, spregiudicato (e l’elenco potrebbe continuare) si introduca da sé, con tre suoi pensieri

  1. «…se dovessi definirmi con una sola parola direi che, nonostante tutto, sono un uomo» (da Intervista a Malaparte, Il Tempo, 1955).
  2. «Mi si biasimi pure, ma io sono un uomo e amo la guerra. Non ho l'ipocrisia di dire: "Non amo la guerra". Io l'amo, come ogni uomo ben nato, sano, coraggioso, forte, ama la guerra, come ogni uomo che non è contento degli uomini, né dei loro misfatti». (da Diario di uno straniero a Parigi, Vallecchi, Firenze, 1966, p. 103).
  3. «Finché tu soffri per te, per la tua fame, per la miseria tua, della tua donna e dei tuoi figli. Finché ti avvilisci e ti rassegni allora tutto va bene. Sei un buon padre di famiglia, un buon cittadino. Ma appena tu soffri per la fame degli altri, per la miseria dei figli degli altri, per l'umiliazione degli altri uomini allora sei un uomo pericoloso, un nemico della società». (da Il Cristo proibito, p. 216).

Malaparte si definisce “un uomo”, punto. Che cosa intende? Dalle sue parole, se fai caso, emerge l’idea di un uomo come una figura quasi alfieriana, romantica…, un uomo d’altri tempi o fuori dal tempo e perciò libero di agire come meglio crede senza preoccuparsi delle conseguenze.

Ma anche “uomo” nel senso romano di VIR, eroe, non un homo quidam, uomo qualunque. Ma anche uomo nel senso di pienamente virile, in opposizione all’omosessualità che lui vedeva dilagante nel dopoguerra.

Nel suo lungo percorso umano, Malaparte approdò anche al cristianesimo, battezzandosi, comunicandosi e cresimandosi alle soglie della morte. Insomma, un personaggio degno della Commedia di Dante.

E dunque, chi è Malaparte? Fascista? Comunista? Cristiano? Letterato o politico? Giornalista o ciarlatano? Rispondiamo di nuovo con le sue stesse parole:

«Si ignora tutto di me, e però si dicono e si scrivono di me le cose più inverosimili. Non sono né un eroe né un martire. Sono stato in prigione per ragioni letterarie, non politiche. Non si vuol capire che io sono verso gli antifascisti ciò che sono stato verso i fascisti, che ho il più alto disprezzo per i politicanti, di non mi importa quale partito, che non mi interesso che alle idee, alla letteratura, all’arte. Che sono un uomo libero, un uomo al di là di tutto ciò che agita questa povera massa di uomini» (Malaparte, da Diario di uno straniero a Parigi).

«Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore: di una cosa sono certo, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori».

2Biografia: una vita avventurosa e camaleontica

Curzio Malaparte con l'attrice María Montez
Curzio Malaparte con l'attrice María Montez — Fonte: ansa

Curzio Malaparte è lo pseudonimo di Curt Erich Suckert. Nasce a Prato nel 1898 e frequenta lo stesso liceo di D’Annunzio, il famoso Liceo Cigognini di Prato.

Da giovanissimo si dedica alla politica, prima come simpatizzante anarchico e poi come attivista del Partito Repubblicano italiano.

Ebbe in seguito anche frequenti contatti con la Massoneria cui fu ammesso, cacciato e poi riammesso nel 1924.

2.1L’amore per la guerra: volontario nella Prima guerra mondiale

Durante la prima guerra mondiale, nel 1914, si arruola volontario nella legione garibaldina delle Argonne, la famosa legione straniera. Nel 1915, con la discesa in guerra dell’Italia entra finalmente nel Regio Esercito. Combatte a Col di Lana e di nuovo in Francia, sempre in fanteria, nella Brigata “Cacciatori delle Alpi”.

Un episodio lo segna tragicamente: un suo commilitone, il sottotenente Iacoboni, ferito in modo grave da una granata, chiede a Malaparte di ucciderlo, data l’impossibilità di guarire. Malaparte, seppur con tormento, ubbidisce all’amico e lo finisce con una fucilata.

Nella grande guerra ottiene una decorazione al valore.

2.2Il rapporto con D’Annunzio e il romanzo “Viva Caporetto!”

Sono gli anni di D’annunzio, dell’estetismo e del vitalismo, e Malaparte se ne lascia influenzare, pur mostrando disprezzo in diverse occasioni verso il vate italiano; che però gli scrisse queste parole: «So che tu mi ami; e che la tua ribellione esaspera il tuo amore. Con la tua schiettezza e con la tua prodezza, col tuo furore e col tuo scontento, quale altro uomo potresti amare, oggi, nel mondo?».

Nel primo dopoguerra Malaparte ha vissuto numerose esperienze politiche, umane, artistiche, senza fermarsi mai, spingendosi sempre più oltre, passando dal fascismo all’antifascismo, e quindi al filo-comunismo e infine al cattolicesimo.

La guerra è l’occasione per scrivere le sue storie dense di realismo giornalistico: la sua prima opera è Viva Caporetto!, che viene rifiutata da tutti gli editori e pubblicata a sue spese a Prato.

Ovviamente l’opera è subito sequestrata per vilipendio delle forze armate. Che cosa diceva di grave? Una tesi che non ha mai smesso di trovare sostenitori quanto oppositori: nella rotta di Caporetto, non c’era stata tanto la vigliaccheria dei soldati, ma l'incompetenza degli ufficiali superiori e la ribellione della truppa a una guerra condotta male e in modo ottuso. Una tesi non diversa da quella dello scrittore sardo Emilio Lussu.

2.3Adesione al Fascismo

Curzio Malaparte e Marc Chagall nel 1951
Curzio Malaparte e Marc Chagall nel 1951 — Fonte: getty-images

Malaparte aderisce subito al Fascismo, lasciandosi attrarre dal militarismo e dalla novità che esso rappresentava nel panorama italiano. In una celebre descrizione di Mussolini, Malaparte sottolinea che Mussolini incarna alla perfezione pregi e difetti del popolo italiano.

C’è comunque discordanza sulla sua effettiva partecipazione alla marcia su Roma (1922); tuttavia si inserisce pienamente nella vita politica del periodo e anche in quella mondana partecipando a duelli, gare, scherma e ciclismo. Fu anche coinvolto nell’omicidio Matteotti come testimone. Si oppone alla politica industriale di Mussolini e difende invece un ideale di fascismo più populista.

Nel 1929 compie un viaggio in Russia dove conosce Stalin, Maksim Gor'kij e Majakovskij.

Nel 1931 pubblica in Francia “Tecnica del colpo di Stato”, un saggio machiavellico in cui si può leggere da una parte un profondo attacco nei confronti di Hitler e Mussolini; ma anche – ed era questo l’intento, secondo l’autore – un modo di prevenire futuri pericoli per lo Stato.  

Ha presto dissidi con il partito fascista e viene arrestato e mandato al confino, sebbene quasi pro forma, giacché, grazie all’amicizia con Galeazzo Ciano, vive in una sorta di prigione dorata.  

2.4La Seconda guerra mondiale

Curzio Malaparte come corrispondente di guerra, 1942
Curzio Malaparte come corrispondente di guerra, 1942 — Fonte: getty-images

Nella Seconda guerra mondiale, Malaparte torna ad avere un ruolo attivo come corrispondente di guerra prima in Grecia e poi in Jugoslavia.

Si mostra critico con i Tedeschi e allora viene più volte allontanato finché ripara in Finlandia per un anno, dove lo raggiunge la notizia dell’arresto di Mussolini.

Siamo nel 1943, l’anno dell’armistizio. Malaparte, dopo l’8 settembre, comincia la sua collaborazione con gli Alleati, voltando le spalle alla Repubblica di Salò. Un gesto eclatante, che gli consente però di salvare la pelle (titolo e tema del suo romanzo più famoso).

Quando il cadavere di Mussolini viene esposto a Piazza Loreto, a Milano, Malaparte è lì che assiste insieme al colonnello Cumming alla terribile scena.

2.5Il dopoguerra, gli ultimi anni e la malattia

Nel dopoguerra Malaparte viaggia molto: intanto si trasferisce a Parigi e qui si avvicina anche alla produzione cinematografica, scrivendo e dirigendo il film “Il Cristo proibito” (1950). In seguito, nel 1957, va in URSS, e poi in Cina dove conosce Mao Zedong. Collabora a lungo con il quotidiano Il Tempo. Scrisse moltissimi articoli dalla Cina affinché fossero pubblicati sulla rivista comunista “Vie Nuove”, che però trova l’opposizione di Calvino, Moravia e altri.

Nel 1957 si fece anche strada nell’anima tormentata di Malaparte l’idea di una conversione al cattolicesimo. Malaparte è malato di cancro ai polmoni da tempo e sempre nel 1957 è costretto al ricovero in ospedale. La conversione al cattolicesimo sembra essere arrivata in punto di morte (così come la tessera del partito comunista).

Dice di questo, Francesco Grisi:

«La sua conversione, in punto di morte, è stata forse un punto di arrivo. Curzio che continuamente si mascherava di sadismo, si nascondeva nel cinismo e si camuffava da istrione, aspettava forse una luce per uscire dalla esibizione e realmente diventare un eroe. In fondo, la vera anima di Curzio ha sempre cercato la luce eroica nelle strade romane, negli ozi di Forte dei Marmi, nella casa di Prato, nella pace di Capri [...] La sua anima ha cercato l'amore sempre, ma nessuna donna e nessun cane hanno mai saputo dargli l'amore come lui voleva».

3Le riviste letterarie e le collaborazioni giornalistiche

Malaparte ha fondato periodici politico-letterari come La conquista dello Stato (1924) e Prospettive (1939); è stato condirettore della Fiera, poi diventato Italia letteraria (1928-33). È stato direttore della Stampa di Torino (1929-31), collaboratore del Corriere della sera, anche durante gli anni del confino, con lo pseudonimo di “Candido”; corrispondente, durante la Seconda guerra mondiale, dai vari fronti (in particolare quello orientale). Dal 1953 in poi redasse, per il settimanale Tempo, la rubrica Battibecco.

Viaggiò ripetutamente per l'Europa, con lunghi soggiorni a Parigi; fu anche nell'America Meridionale, e da ultimo in Cina. Da questi viaggi Malaparte era attento soprattutto a descrivere la realtà politica, i popoli, le usanze, le culture così diverse da quella italiana, che vedeva.

Villa di Curzio Malaparte a Capri
Villa di Curzio Malaparte a Capri — Fonte: getty-images

Il suo impegno giornalistico è approdato in numerose raccolte di suoi scritti, la maggior parte dei quali già apparsi in giornali, da Io, in Russia e in Cina (1958), a cura di G. Vigorelli, a Mamma marcia (1959), Benedetti italiani (1961), Diario di uno straniero a Parigi (1966), Battibecco, 1953-1957 (1967); del 2009 è la pubblicazione in traduzione italiana del saggio scritto in francese nel 1949 Coppi e Bartali, i due leggendari e iconici ciclisti, famosi per la loro rivalità.  

Proprio di quest’ultimo famoso saggio-giornalistico, ti allego uno spunto:  

«Coppi è il campione del nuovo mondo partorito dalla guerra e dalla liberazione: egli rappresenta lo spirito razionale, scientifico, il cinismo, l'ironia, lo scetticismo della nuova Europa, l'assenza d'immaginazione delle nuove generazioni, il loro credo materialista. In Bartali, nato da una famiglia di agricoltori toscani, prevale il contadino, con la sua mistica elementare, la sua fede in Dio, il suo attaccamento ai valori tradizionali della terra. In Coppi prevale invece l'operaio, sebbene anche lui sia nato in una famiglia di contadini. Ma mentre Bartali è passato dall'aratro alla bicicletta, Coppi, quando ha sposato la bicicletta, aveva già ripudiato la terra. Bartali è figlio di una zona della Toscana che è rimasta contadina, Coppi di una zona del Piemonte in cui il contadino appariva già tinto di spirito «proletario». Per essere ancora più preciso, aggiungo che Bartali proviene da una famiglia di mezzadri, Coppi da una famiglia di braccianti. Fausto è un operaio, Gino un agricoltore. Il «mistero» fisico di Bartali sarebbe inspiegabile se si dimenticasse che la virtù fondamentale dei contadini toscani è la resistenza, unita a un senso dell'economia, sia fisico sia morale, che diventa arte. L'aspetto umano è più sviluppato in Bartali che in Coppi. Bartali è un uomo, Coppi un robot» (Malaparte, Coppi e Bartali, 1949).  

4La produzione letteraria

Curzio Malaparte al Festival di Berlino con il film "Il Cristo proibito", 1951. Da sinistra: Maroulis, rappresentante di Minerva Film, la signora Bari, moglie dell'ambasciatore italiano in Germania, Malaparte e il giornalista italiano Pinesci
Curzio Malaparte al Festival di Berlino con il film "Il Cristo proibito", 1951. Da sinistra: Maroulis, rappresentante di Minerva Film, la signora Bari, moglie dell'ambasciatore italiano in Germania, Malaparte e il giornalista italiano Pinesci — Fonte: getty-images

La sua attività letteraria, accanto a "ragionamenti" politico-letterari (L'Europa vivente, 1923; Italia barbara, 1925; Intelligenza di Lenin, 1930; Technique du coup d'état, 1931, ecc.) o di costume (Maledetti toscani, 1956), comprende "cantate" (L'Arcitaliano, 1928) e racconti epico-popolareschi (Avventure di un capitano di sventura, 1927), ispirati a quel mito di "Strapaese" che egli stesso - dopo essere passato per il "novecentismo" europeizzante di M. Bontempelli - aveva contribuito a creare; e accanto a prose di un idillismo evocativo e magico (tra le sue più felici: Donna come me, 1940), altre di un realismo (Kaputt, 1944) o di un cinismo (La pelle, 1950) spinti all'estremo, e tuttavia mescolati a una sensuale malinconia. 

Vediamone uno spunto in questo passaggio, per apprezzarne meglio lo stile: 

«Un lugubre silenzio gravava sulla città in tutta la voce di Napoli, l'antica nobile voce della fame, della pietà, del dolore, della gioia, dell'amore, l'alta, rauca, sonora, allegra, trionfante voce di Napoli, era spenta. E se talvolta il fuoco del sole al tramonto, o l'argenteo riflesso della luna, o un raggio del sole nascente parevano accendere il bianco spettro del vulcano, un grido, un grido altissimo, come di donna in doglia, si alzava dalla città. Tutti si affacciavano alle finestre, correvano nelle strade, si abbracciavan l'un l'altro piangendo di gioia, esaltati dalla speranza che la vita fosse tornata, per miracolo, nelle vene spente del vulcano, e che quel tocco sanguigno del sole al tramonto, o quel riflesso di luna, o quel timido bagliore dell'alba, fossero l'annunzio della resurrezione del Vesuvio, di quel Dio morto che ingombrava, nudo, immenso cadavere, il triste cielo di Napoli». 

Scrisse anche per il teatro e diresse un film, Il Cristo proibito (1950). Come dicevamo prima, un talento multiforme. 

5Uno scrittore dimenticato, tra giornalismo e letteratura

Malaparte è stato un grande scrittore, in un periodo difficile; è stato un personaggio che ha avuto un impulso irresistibile nell’esporsi in prima persona e raccontare (e raccontarsi).

Per questo il personaggio è molto discutibile per via del suo trasformismo politico e per la scomodità delle sue dichiarazioni sia come giornalista sia come romanziere.

Questo non ha giovato alla sua fama postuma e la critica lo ha rapidamente destinato all’oblio. D’Annunzio ha avuto certamente miglior sorte. Sul Dizionario critico della letteratura italiana UTET, edizione del 1973, non compare Malaparte, nonostante questo autore abbia raggiunto vette artistiche al pari di Gadda e Celine con romanzi come “La pelle” e “Kaputt”.

A questo proposito, Luigi Martellini, curatore di Malaparte per i Meridiani ha affermato quanto segue:

«Per quel che posso dire, il discorso è estremamente semplice: Malaparte è stato un “fascista”, che l'Italia non riuscirà mai a smaltire questo suo periodo storico, che è esistita ed esiste ancor nel nostro Paese (altamente democratico e sempre pronto a riempirsi la bocca di democrazia) una cultura egemone (di cui tutti conoscono il colore), che ha prodotto molti danni e condizionato scelte smaccatamente ideologiche e non letterarie, che chi non apparteneva ad una parte apparteneva di conseguenza alla parte opposta e quindi nemica, che non vale la bravura o la genialità, ma l'appartenenza ad uno schieramento politico e/o partitico» (Luigi Martellini).