Amore platonico: cos'è, significato ed esempio
Cos’è l’amore secondo Platone, Aristofane, Diotima di Mantinea e qual è il significato di amore platonico nel Rinascimento
Indice
Che cos'è l'amore platonico
Tutti hanno usato, almeno una volta, l’espressione “amore platonico” ma forse senza sapere il suo vero significato. Infatti un uso improprio è talmente diffuso che persino sui dizionari sotto la voce platonico, in rapporto all’amore, si trovano definizioni che descrivono un amore spirituale, privo di desideri più fisici. L'amore descritto da Platone è solo in parte spirituale.
Ma cos'è l'amore platonico? E perché questo nome?
Amore platonico: definizione
Iniziamo vedendo come definiscono questo sentimento i più famosi dizionari della lingua italiana:
- Zingarelli (1990 casa editrice Zanichelli) recita: amore platonico = detto di sentimento nobile, elevato, scevro di ogni sensualità.
- Dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Giancarlo Oli (1997): amore concepito come pura esperienza spirituale.
L'amore platonico secondo Platone
Ma l’amore di cui scrisse Platone corrisponde solo in parte a ciò. Nel Cratilo Platone definisce l’eros “come qualcosa che scorre dentro dall’esterno” attraverso gli occhi. Questo concetto, approfondito nel Simposio e più ancora nel Fedro, viene definito come il primo stadio dell’innamoramento provocato dalla visione della bellezza di un corpo fisico; in altre parole la simpatia visiva è il primo passo dell’eros platonico: non le parole, non la mente, non l’anima ma gli occhi sono la porta attraverso cui l’amore colpisce l’interiorità.
La seconda fase dell’amore coinvolge la spiritualità. Platone spiega la bellezza esteriore come un richiamo, uno specchio della bellezza perfetta ed eterna della verità. E questa verità consiste in tutto ciò che è divino e che a sua volta consiste in tutto ciò che è buono, sapiente e giusto: la compagnia dell’amato, la sua frequentazione, le sue parole e la sua bellezza rappresentano l’esortazione ad abbandonare il lato oscuro dell’anima per rivolgersi al lato più luminoso che si nutre di bene sapienza e giustizia. Fu, in particolare, il commento di Ficino del Simposio che inaugurò la nozione di amore platonico come un particolare concetto di amicizia basato sull'amore di Dio, che fu di grande ispirazione per la letteratura del tardo Rinascimento.
Il pensiero di Platone influenzò molto anche gli umanisti. Platone tratta il tema dell’amore principalmente nel Simposio (o Convito), dialogo che considera la natura dell’amore e il suo oggetto, cioè la bellezza, e mira a determinare i gradi gerarchici attraverso i quali l’uomo dall’amore per la bellezza fisica si solleva fino all’amore per la bellezza in sé e per sé, per cui amore è desiderio di conoscenza e si identifica con la filosofia; ed è nel Fedro - proseguimento in parte del discorso sull’amore del Simposio - che affronta temi quali la natura dell’anima, la distinzione tra retorica e dialettica e la critica della scrittura.
Simposio di Platone: struttura e spiegazione
La cornice del Simposio, che significa banchetto, è appunto un banchetto dove alcuni invitati, ritrovativisi per festeggiare Agatone, il vincitore delle gare tragiche, decidono a fine pasto di conversare sull’amore, dando inizio ad una sorta di gara in cui sono tutti chiamati a tenere un discorso sul dio Eros.
Incomincia Fedro che elogia Amore come il Dio più antico e venerabile, il più potente nel far avere agli uomini virtù e felicità, nella vita come nella morte. Segue il discorso di Pausania, che elogia l’amore terreno in opposizione a quello volgare: amore benemerito sia nei confronti dello stato sia nei confronti dei singoli, perché spinge l’amante e l’amato a essere più virtuosi. Per il medico Erissimaco, l’amore ha per oggetto non solo gli uomini ma anche gli animali, i vegetali e l’insieme delle creature. Agatone afferma che Amore non è il più vecchio tra gli dei ma il più giovane, splendido e delicatissimo e partecipa della temperanza, della fortezza e della sapienza.
L'amore secondo Aristofane
Tra i discorsi non filosofici, che precedono quello di Socrate, spicca in particolar modo quello del commediografo Aristofane che per celebrare la potenza di Amore racconta il mito secondo cui in origine gli uomini non erano singoli ma doppi. Si avevano così tre sessi: il maschile, formato da due uomini, il femminile, composto da due donne, e l’androgino, formato da uomo e donna. Tali esseri originari vivevano spensierati e felici ma peccarono di insolenza e arroganza incorrendo nell’ira di Giove che per punizione decise di tagliarli a metà, per indebolirli. Ne risultarono gli umani allo stato attuale, esseri separati e manchevoli che attraverso l’amore, la ricongiunzione con l’altro, aspirano a ritrovare l’integrità perduta.
L'amore secondo Diotima
Quando giunge il suo turno, Socrate, dopo aver dichiarato che l’unico vero elogio consiste nel dire la verità, racconta come sul significato filosofico di amore fosse stato a suo tempo istruito da Diotima di Mantinea, sapiente sacerdotessa. Diotima definisce l’amore come il desiderio del bello e del bene. La sacerdotessa narra il mito di Amore, come già detto figlio di Povertà e Risorsa, che nacque durante i festeggiamenti per la nascita di Afrodite. Perciò Amore è amante della bellezza ed è inoltre povero come la madre e corteggiatore dei ricchi e dei belli come il padre. Diotima delinea, quindi, l’amore come un sentimento di tensione che pervade i corpi e le anime, passando dagli uni alle altre.
Eros nella religione greca è il nome del dio dell’amore, menzionato da testi orfici e dalla teogonia esiodea quale entità cosmica primordiale, principio animatore dell’universo, soggiogatore degli uomini e degli dei. Il fatto però che in epoca storica il suo culto fosse nettamente secondario, mostra che la cosiddetta “religione olimpica” tendeva a respingere Eros dal suo pantheon, come figura di un ordinamento divino più antico e rifiutato. Ai simboli originari del dio, aniconici - che cioè non permettevano immagini, come per esempio una pietra - o fallici nei suoi principali santuari (ad Atene ed in Beozia), si sostituì progressivamente un’iconografia che lo rappresenta fanciullo, spesso alato, munito di torcia, di arco e frecce con cui colpisce i cuori; a queste immagini corrisponde un “apparato mitologico” in cui Eros, non più dio primogenio, è considerato figlio di Ares e Afrodite.
L’ambivalenza di Eros, dio sovrano e primogenio nelle antiche cosmogonie, ma anche dio secondario, nato dopo tutti gli altri, nella religione olimpica si ritrova non come termine di riferimento culturale, ma come problema religioso e filosofico, nel mito platonico (Convito o Simposio) della nascita di Eros, dáimōn (demone) anziché dio, figlio di Povertà e del dio Risorsa. Per Platone l’eros è una forza destinata a colmare, mediante le risorse della Saggezza (che nel Convito è madre del dio Risorsa), una carenza: sia la lontananza dell’uomo dall’idea eterna, sia la separazione dell’uomo originale indifferenziato in creature di sesso maschile e femminile. Il cosiddetto amore platonico è divenuto, nel linguaggio corrente, modello di un sentimento che non implica il rapporto fisico con l’oggetto dell’amore perché Platone dichiara inferiore l’adesione dell’anima alla seduzione sensuale della bellezza fenomenica, e superiore la partecipazione dell’anima, sollecitata da eros, alla contemplazione della bellezza ideale. Solo quest’ultima è, per Platone, conoscenza della verità sotto l’impulso dell’eros e conseguimento del supremo valore etico dell’eros, amore del bene.
Il significato dell'amore platonico
L’amore platonico è la conoscenza razionale, che permette all’uomo di formulare concetti e di connettersi mediante le argomentazioni della dialettica: non solo è superiore ad un semplice atto mentale, ma porta con sé un atto affettivo, l’amore per l’eterno, e un atto estetico, il riconoscimento della sua bellezza. Ricordare le idee significa infatti desiderare la loro eternità, amarle, contemplarne l’essenza che è bene e bellezza. L’amore dell’eterno è la vera attività dell’uomo, e, poiché l’eternità, come bene e bellezza assoluti, è assoluta armonia, solo raggiungendo l’armonia fra tutti gli elementi che costituiscono la nostra umanità si potrà raggiungere questa attività perfetta. Le quattro virtù cardinali dell’uomo, che verranno poi accolte dalla morale cristiana, sono: la “giustizia” (armonia fra le attività della nostra anima), la “sapienza” per l’anima razionale, la “fortezza” per la passionale e la “temperanza” per la sensibile.
L’amore platonico è cioè desiderio dell’anima di ritornare da dove viene, la contemplazione delle idee immutabili, eterne, ossia della Verità che ha in sé la ragione di tutte le verità apparenti nel mondo. Guida a questo desiderio che porta l’anima sempre più su dal mondo sensibile verso l’intelligibile è la bellezza. L’aspirazione dell’anima a ritornare alla sua patria originaria è quindi ciò che Platone definisce come “amore” (érōs), cioè un processo di graduale ascesa dall’ammirazione per la bellezza terrena al desiderio della perfetta sapienza.
Nel discorso del Convito della sacerdotessa Diotima, riferito da Socrate, Eros è personificato come un demone: né dio né uomo, ma “mediatore” fra mondo umano e divino; e simile a lui, e suo seguace, è chiunque non sia né ignorante inconsapevole della propria ignoranza né sapiente come solo la divinità (o l’anima umana quando, dopo la morte, sarà giunta alla contemplazione delle idee) può essere, ma “filosofo”, cioè, secondo il significato della parola greca, amante del sapere.
Grazie a questo concetto Platone delinea una concezione metafisica (che ispirerà l’amor Dei intellectualis di Spinoza) senza rinnegare (come faranno i neoplatonici) l’amore terrestre, il desiderio della bellezza anche fisica.
Eros, che ricordiamo è figlio di Povertà e del dio Risorsa, non ha la bellezza ma la desidera, non ha la sapienza ma la cerca e quindi è per eccellenza filosofo (al contrario degli dèi che sono già sapienti e belli e beati). L'amore è perciò desiderio di bellezza, e la bellezza si desidera perché è il bene che rende felici. L'uomo, destinato a morire, tende a generare nella bellezza e quindi a "immortalarsi" attraverso la generazione, lasciando, dopo di sé, un figlio che gli somigli. La bellezza è dunque il fine dell'amore. Ma quale bellezza? Essa ha diversi gradi e ad essi l'uomo può procedere solo dopo un lungo cammino di riflessione. C'è dapprima la bellezza corporea, da cui l'uomo viene subito attratto. Ma sopra di essa, più importante, vi è la bellezza dell'anima. E, più importante ancora, vi è la bellezza delle leggi e delle istituzioni. Al di sopra ancora si trova la bellezza delle scienze e, infine, c'è la bellezza in sé, l'Idea di Bellezza, che è la fonte di ogni altro tipo di bellezza. Come può l'uomo giungere a contemplarla? E' quanto Platone spiega nel Fedro. L'anima è paragonata ad una coppia di cavalli alati tirati da un auriga. Uno dei cavalli è eccellente, l'altro è pessimo. Compito dell'auriga è indirizzare verso l'alto (il mondo delle Idee) la coppia di animali. Il cavallo pessimo cerca sempre di tirare verso il basso in modo che l'auriga riesca a contemplare poco il mondo delle Idee. Quando poi l'anima si appesantisce (o per colpa o per dimenticanza), perde le ali dei cavalli e va ad incarnarsi in un uomo che sarà tale quale essa lo rende. L'anima che è riuscita a vedere di più, andrà nel corpo di un uomo che si dedicherà alla sapienza e all'amore, mentre l'anima che ha visto di meno andrà a finire in un corpo dedito solo alle sollecitazioni più egoistiche. Nell'anima incarnata, quindi nell'uomo, il ricordo delle realtà ideali è risvegliato proprio dalla bellezza. L'uomo non può fare a meno di riconoscere la bellezza e, al suo richiamo, risponde con l'amore. L'amore è quindi la guida dell'anima (è psicagogo) verso il mondo dell'essere e della verità. L'eros, in altri termini, si trasforma nella ricerca filosofica che è, contemporaneamente, ricerca della verità ed unione delle anime nello sforzo comune di apprendere qual è la vera realtà. Ecco, l'autentico significato di quello che viene tradizionalmente chiamato l’amore platonico.
Scopo della filosofia, che si identifica con la virtù e la felicità, è la conoscenza delle idee e dei rapporti che le legano in un sistema ordinato, raggiungibile attraverso un graduale processo di reminiscenza (anamnesi) dell'anima, che, prima di entrare prigioniera nel corpo, fu a contatto con esse, avendone la stessa natura divina e la stessa immortalità.
Mezzo per questa ascesi verso la conoscenza è l'érōs, o amore della sapienza e della bellezza, che sospinge verso le idee permettendo l'elevazione dall'ignoranza alla scienza.
In Platone l'érōs è quindi considerato demone con il potere di riavvicinare l'uomo alla contemplazione della bellezza del mondo delle idee (amore platonico) e come tale fu ereditato dal neoplatonismo rinascimentale, che tese a considerarlo il principio primordiale del mondo.
L'amore platonico nel Rinascimento
Nella trattatistica rinascimentale l’argomento dell’amore, più precisamente l’amore platonico, fu molto dibattuto. Nel secondo Quattrocento, infatti, assistiamo alla diffusione della filosofia platonica e neoplatonica per opera di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Quest’ultimo utilizzò la villa di Correggi, donatagli da Cosimo de Medici nel 1462, inizialmente per tenervi discussioni filosofiche e in seguito per consacrarla a sede dell’Accademia Platonica. Inoltre, sia Ficino, nella Theologia platonica, che Pico della Mirandola dedicarono parte della loro produzione scritta alla filosofia. Le dottrine neoplatoniche riprese dagli umanisti, imbevute profondamente dall’ideologia cristiana, consideravano tutta la realtà che ci circonda emanazione di Dio. L’uomo, nello specifico, è considerato un microcosmo che ha in sé tutte le caratteristiche del macrocosmo, quindi sia quelle terrene che divine. Il compito dell’uomo è quindi, secondo il pensiero espresso sia dal Bembo negli “Asolani” che dal Castiglione nel quarto libro del “Cortegiano”, quello di liberarsi delle sue scorie terrene ed ascendere a Dio. In questo contesto si inserisce la visione dell’amore che, come nel Simposio platonico, è considerato un mezzo per raggiungere il divino. Entrambe le teorie di Bembo e di Castiglione partono da questo presupposto fondamentale, anche se la critica ha individuato nell’opera di Bembo un’accentuazione della dimensione mistica prevalente sulla visione dell’uomo nella sua totalità, anche corporea, che invece è considerata dal Castiglione.