Cicerone
Cicerone: vita, opere filosofiche, politiche e retoriche e il contesto storico in cui visse il filosofo e oratore romano
Indice
CICERONE: VITA
Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 ad Arpino, da agiata famiglia equestre; compie ottimi studi di retorica e filosofia a Roma e inizia a frequentare il Foro sotto la guida del grande oratore Licinio Crasso e dei due Scevola. Stringe amicizia con Tito Pomponio Attico, un'amicizia destinata a durare tutta la vita, di cui fa fede il famoso Epistolario.
Nell'89 presta servizio militare nella guerra sociale (guerra iniziata dai socii, ovvero i popoli italici alleati di Roma, che chiedevano il diritto di cittadinanza romana) agli ordini di Pompeo Strabone, il padre di Pompeo il grande.
Nel 77 compie un viaggio di studi in Grecia; nel 75 è questore in Sicilia, dove si distingue per il suo buon operato e per la sua onestà nel governare.
Nel 63 è console e reprime la congiura di Catilina. Dopo il primo triumvirato (cui egli guardava con preoccupazione: l'alleanza tra il potere militare di Pompeo, la grande ricchezza di Crasso e la popolarità di Cesare gli appariva insidiosa per l'autorità senatoria), il suo astro inizia a declinare; nel 58 viene messo in esilio con l'accusa di aver messo a morte i catilinari senza processo; nel 57 ritorna a Roma.
Tra il 56 e il 52 tenta una difficile collaborazione con i triumviri; allo scoppio della guerra civile aderisce con lentezza alla causa di Pompeo. Si reca in Epiro con gli altri senatori ma non è presente alla battaglia di Farsàlo.
Dopo la sconfitta di Pompeo ottiene il perdono di Cesare. Nel 44 dopo l'uccisione di Cesare ritorna all'attività politica: inizia a partire la lotta contro Antonio (Filippiche) a favore di Ottaviano, figlio adottivo di Cesare.
Dopo il voltafaccia di Ottaviano, che, abbandonata la causa del Senato, si stringe in triumvirato con Antonio e Lepido, il nome di Cicerone viene inserito nelle liste di proscrizione. Viene ucciso dai sicari di Antonio il 7 dicembre del 43.
CICERONE: CONTESTO STORICO
Il periodo in cui visse Cicerone è segnato da personalità così emergenti da segnare quella svolta politico-istituzionale che porterà al crollo della repubblica romana e alla nascita del principato augusteo. Non è un caso che questi anni dall’80 a. C. al 44 a.C. sono noti come “età cesariana”, proprio perché indiscusso protagonista è Giulio Cesare.
Dopo la morte del dittatore Silla (78 a.C.), sia i populares che gli equites cercarono di riconquistare quegli spazi politici che Silla aveva loro tolto a favore degli optimates. Un esponente del partito mariano, Marco Emilio Lepido, tentò di occupare Roma, ma fu fermato dall’intervento di Pompeo, il futuro alleato e poi avversario di Cesare.
Negli anni dal 78 al 63 Pompeo Magno, guadagnò notevole prestigio grazie ai grandi successi militari che culminarono con la vittoria su Mitradate nel 66-63, vittoria che assicurò al dominio romano tutta l’Asia minore fino all’Eufrate. Durante gli anni della campagna di Pompeo in oriente, Cesare a Roma si segnalava per la sua abilità politica strategica. Malgrado le ostilità del senato, Cesare riuscì ad accordarsi con Crasso, allora l’uomo più ricco di Roma, e a sostenere diverse iniziative politiche di tipo antisenatorio, tra cui – forse - anche quella di Catilina.
Questi, dopo aver sperperato tutto il suo patrimonio, volle tentare la scalata politica, gareggiando per il consolato nel 64, ma come rivale trovò Cicerone che venne eletto per il 63. Catilina organizzò una rivolta armata che venne però denunciata da Cicerone, il quale fece giustiziare alcuni congiurati.
L’anno successivo, nel 62, Pompeo tornò dalle sue campagne militari: dopo aver celebrato il trionfo e congedate le sue truppe, chiese al senato l’assegnazione di terre ai suoi veterani, ma si vide rifiutare tale richiesta. Allora a Pompeo non restò che accogliere la proposta di Cesare di stringere insieme a lui e a Crasso quell’accordo privato che va sotto il nome di primo triumvirato (60 a.C.). Grazie a questo patto, Cesare poté negli anni successivi dedicarsi alla conquista della Galliane (58-50), dove si procurò prestigio presso l’opinione pubblica romana e soprattutto presso il suo esercito. Tale prestigio però non andava bene al senato, che non vedeva di buon occhio il potere che Cesare stava pian piano conquistando: così il senato concesse a Pompeo poteri straordinari e nel 49 volle che egli intimasse a Cesare di sciogliere i suoi eserciti. Per tutta risposta Cesare con l’esercito varcò il Rubicone, che costituiva il confine dell’Italia entro il quale era vietato guidare le milizie. La guerra civile era così dichiarata.
La guerra tra Cesare e Pompeo durò dal 49 al 45 e si concluse con la morte di Pompeo, nel 48 in Egitto e la vittoria di Cesare, ormai signore di Roma. Cesare conservò formalmente le istituzioni repubblicane ma in realtà le sostituì con un regime sostanzialmente monarchico: il suo potere si fondava essenzialmente sull’appoggio degli eserciti, dei veterani e della plebe di Roma; nel suo significato storico, esso si giustifica come costruttiva adeguazione dello stato alle complesse esigenze dell’impero mediterraneo, che la repubblica oligarchica senatoriale non era più in grado di soddisfare.
L’opera di Cesare, che vide numerose riforme di tipo costituzionale, amministrativo e urbanistico, fu interrotta nel 44 a.C. con una congiura di ispirazione anti tirannica, guidata da Bruto e Cassio. Se molti, tra cui Cicerone, si erano illusi che con la morte di Cesare potesse essere ripristinata la legalità repubblicana, la stipula del secondo triumvirato, con le conseguenti liste di proscrizione, annullò ogni ipotesi di riassetto dello stato.
ORAZIONI DI CICERONE: STILE E SIGNIFICATO
Le Orazioni di Cicerone: Pro Roscio Amerino, Verrine, Catilinarie, Pro Sestio, Orazioni cesariane e le Filippiche.
PRO ROSCIO AMERINO
Pro Roscio Amerino (80a.C.) si tratta di un processo che ebbe per i suoi risvolti politici grande risonanza a Roma. Il padre di Sesto Roscio era stato ucciso su mandato dei parenti in combutta con Lucio Cornelio Crisogono, potente liberto di Silla, che aveva fatto inserire il nome dell'ucciso nelle liste di proscrizione per appropriarsi dei suoi beni terrieri a prezzo irrisori. Gli assassini, per avere campo libero, cercarono di liberarsi anche del figlio, Roscio Amerino, ricorrendo all'espediente di accusarlo di parricidio.
La difesa di Cicerone non doveva tacere le responsabilità di Crisogono, regista dell'intera vicenda; ma ovvi motivi di prudenza invitavano il giovane avvocato a coinvolgere il meno possibile Silla, allora dittatore e detentore del potere a Roma. Cicerone, pur disprezzando alcuni aspetti del regime sillano quali le violenze e i soprusi di ogni genere, non poté fare a meno di elogiare Silla: egli si faceva portavoce di quella nobiltà che, pur apprezzando l'operato di Silla nella repressione della parte democratica, e popolare si doleva del fatto di aver dovuto pagare ciò con la delega del potere nelle mani di un uomo solo e con l'ascesa di uomini come Crisogono.
VERRINE
Verrine (70 a.C.): memori del suo buon governo, nel 70 i siciliani proposero a Cicerone di sostenere l'accusa contro l'ex governatore Verre, il quale aveva sfruttato la provincia con grande avidità. Cicerone raccolse le prove con grande velocità, il che gli permise di anticipare i tempi del processo, che altrimenti si sarebbe svolto in condizioni politicamente sfavorevoli (console designato per il 69 era i celeberrimo avvocato Quinti Ortensio Ortalo, il quale sosteneva la difesa di Verre).Verre venne schiacciato dalle accuse e fu condannato in contumacia.
La vittoria su Ortensio, difensore di Verre, oltre che di grande prestigio politico, fu anche una vittoria in campo letterario: all'esaperato manierismo asiano di Ortensio Cicerone oppose il suo stile asciutto caratterizzato da un periodare armonioso e da una sintassi estremamente duttile. Come nell'orazione pronunciata a favore si Roscio Amerino, anche qui Cicerone dà prova della sua pungente ironia e conferma di essere un maestro nell'arte del ritratto, attraverso il quale ridicolizza satiricamente i suoi avversari.
CATILINARIE
Le Catilinarie (63 a. C.): data la sua natura moderata (in senso politico), una parte della nobiltà decise di coalizzarsi con il ceto equestre (concordia ordinum) per appoggiare la candidatura dell'homo novus di Arpino al consolato nel 63, anno in cui si candidò alla suprema magistratura anche Catilina, portavoce delle masse proletarizzate di Roma.
Console nel 63, dunque, Cicerone soffocò la congiura che Catilina voleva ordire per operare un colpo di stato. In quattro orazione pronunciate di fronte al senato, Cicerone svelò le trame sovversive che Catilina aveva organizzato una volta vistosi sconfitto nella competizione elettorale, lo costrinse a fuggire da Roma e giustificò la sua decisione di far giustiziare i suoi complici senza processo.
Sul piano artistico spicca la prima Catilinaria nella quale Cicerone attaccò Catilina di fronte al senato riunito: i toni soni sono veementi, minacciosi e ricchi di pathos. Nella seconda Catilinaria è da ricordare invece il ritratto di Catilina e dei suoi seguaci corrotti dal lusso e dal vizio.
PRO SESTIO
Pro Sestio (56 a.C.): al suo ritorno dall'esilio, Cicerone si trova a difendere Sestio, un tribuno accusato da Clodio (il democratico radicale che l'aveva mandato in esilio) di atti di violenza. Roma in quel periodo era in preda all'anarchia: si fronteggiavano in continui scontri armati per le strade, le opposte bande di Clodio e di Milone (quest'ultimo difensore della causa degli ottimati e amico personale dello stesso Cicerone).
In occasione di tale processo, Cicerone espose una nuova versione della propria teoria sulla concordia dei ceti abbienti. In quanto concordia ordinum della nobiltà senatoria e del ceto equestre, essa si era rivelata fallimentare: era dunque necessario dilatare il concetto al consensus omnium bonorum, cioè la concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti, amanti dell'ordine pubblico e sociale, pronte ad adempiere i propri doveri nei confronti della patria e della famiglia.
ORAZIONI CESARIANE
Orazioni Cesariane: nel 49, allo scoppio della guerra civile, Cicerone aderì senza particolare entusiasmo alla causa di Pompeo, perchè consapevole del fatto che, qualunque fosse stato l'esito, il senato sarebbe stato schiacciato e indebolito di fronte al dominio del vincitore.
Dopo la vittoria di Cesare, Cicerone ne ottenne il perdono: nella speranza di renderne il regime meno autoritario Cicerone cercò delle forme di collaborazione accettando di perorare la causa di alcuni pompeiani pentiti.
Tali orazioni sono la Pro Marcello, la Pro Quinto Ligario e la Pro rege Deiotario pronunciate tra il 46 e il 45: è inutile sottolineare che sono orazioni in cui gli smaccati elogi verso Cesare mostrano la mancanza di Cicerone verso il regime cesariano.
FILIPPICHE
Le Filippiche (44 a. C.): dopo l'uccisione di Cesare, Cicerone decise di ritornare all'attività politica, vedendo in Ottaviano, l'erede di Cesare, l'uomo con cui far ritornare i fasti della repubblica. La manovra politica di Cicerone voleva staccare Ottaviano da Antonio e a riportare il primo sotto la protezione del senato. Per indurre il senato a dichiarare guerra ad Antonio e a farlo dichiarare nemico pubblico Cicerone pronunciò contro Antonio le Filippiche, che si distinguono per i loro tono molto accesi e violenti.
CICERONE: OPERE RETORICHE
Quasi tutte le opere retoriche di Cicerone sono state scritte a partire dal 55 a. C., dopo l'esilio: esse nascono dall'esigenza di dare una risposta politica e culturale alla crisi.
DE INVENTIONE
Il De Inventione (dove inventio indica il reperimento dei materiali da parte dell'oratore) tratta il problema se per un buon oratore sia sufficiente la conoscenza delle tecniche retoriche e se gli sia utile solo la cultura nel campo del diritto della filosofia e della storia.
Nel proemio, Cicerone si pronuncia in favore di una sintesi di eloquentia e sapientia (cioè cultura filosofica), quest'ultima ritenuta necessaria alla formazione morale dell'oratore.
DE ORATORE
Il De oratore composto nel 55, il dialogo è ambientato nel 91, al tempo dell'adolescenza di Cicerone, e vi prendono parte Licinio Crasso e Marco Antonio, nonno del triumvro. Anche in quest'opera si discute sulla formazione ideale dell'oratore:
- nel I libro Crasso sostiene la necessità di una vasta formazione culturale, Antonio, invece, gli contrappone un oratore più istintivo e autodidatta la cui arte si fondi sulle proprie doti naturali e sulla pratica del foro;
- nel II e III libro si discutono questioni di ordine stilistico.
Nell'ottica di Crasso, alla fine l'oratore, che deve avere doti di probitas e prudentia, finisce con identificarsi con il vir bonus, ovvero la formazione dell'oratore viene a coincidere con quella dell'uomo politico della classe dirigente.
Il modello a cui si ispira Cicerone per i suoi dialoghi è sicuramente quello di Platone, la cui ripresa segna un notevole scarto rispetto agli aridi manuali dei retori latini e greci, che si limitavano a enunciare regole.
Cicerone ha saputo creare un'opera viva e interessante, che, riprendendo la tradizione platonica, è stata arricchita dalla tradizione dell'esperienza romana.
BRUTUS
Brutus, scritto nel 46, affronta la storia dell'eloquenza e dibatte le polemiche di stile che contrapponevano all'epoca i sostenitori della corrente atticista e di quella asiana.
La rivendicazione della capacità di muovere gli affetti come compito principale dell'oratore nasceva proprio dalla polemica nei confronti della tendenza atticista i cui sostenitori rimproveravano a Cicerone di non aver reso le distanze dall'asianesimo: le accuse si riferivano alle numerose ridondanze del suo stile oratorio, al frequente uso di figure retoriche, all'abuso di facezie. Gli avversari di Cicerone prediligevano uno stile semplice asciutto e scarno e individuavano il loro modello nell'oratore attico del IV secolo a.C., Lisia.
Il Brutus vede come protagonisti Marco Bruto, uno dei principali rappresentanti della corrente atticista, Attico e lo stesso Cicerone. Qui egli traccia una storia dell'eloquenza greca e romana, che diventa un pretesto per rievocare le tappe culminanti della sua carriera oratoria: l'ottica in cui Cicerone guarda al passato è quella di una rottura degli schemi tradizionali che contrapponevano i generi di stile asiani e atticisti. La rottura rispecchia la pratica oratoria di Cicerone: le varie esigenze, le diverse situazioni richiedono il ricorso all'alternanza di registri diversi. Questa oratoria senza schemi trova il suo modello in Demostene, oratore ateniese del IV secolo a.C.
OPERE POLITICHE DI CICERONE: DE RE PUBLICA E DE LEGIBUS
Il De re publica è un trattato scritto fra il 54 e il 51 che cerca di identificare la migliore forma di stato nella costituzione romana al tempo degli Scipioni. Il dialogo si svolge nel 129 nella villa di Scipione l'Emiliano, che con l'amico Lelio è uno dei principali interlocutori.
Il dialogo ci è giunto in modo frammentario: una parte cospicua venne trovata agli inizi del secolo scorso in un palinsesto vaticano; altre sezioni sono state trasmesse attraverso le citazioni di altri autori antichi come Agostino, mentre indipendentemente dal resto ci è giunta la sezione finale dell'opera il cosiddetto Somnium Scipionis.
Nel I libro Scipione parte dalla dottrina aristotelica delle tre forme di governare e della loro degenerazione nelle forme estreme, la monarchia che degenera in tirannide, il regime aristocratico in oligarchia (governo di pochi) e la democrazia in oclocrazia (governo della "folla" quindi della feccia).
Riprendendo la tesi dello storico greco Polibio, Scipione afferma che la costituzione romana è quella migliore perché è mista, cioè presenta i caratteri della monarchia nella figura dei due consoli, i caratteri della aristocrazia nel senato e quelli della democrazia nell'istituzione dei comizi.
L'esaltazione del regime misto vale come un'esaltazione della repubblica aristocratica degli Scipioni.
Nel III libro si tratta del problema della giustizia ed era in parte dedicato ad un tentativo di confutazione dell'acutissima critica che l'accademico Carneade (n.d.r: "Carneade chi era costui?" chi pronuncia questa famosa frase?) aveva svolto all'imperialismo romano: soprattutto la critica si incentrava sul bellum iustum, ovvero il concetto al quale i Romani ricorrevano per estendere il loro impero col pretesto di soccorrere i propri alleati (cioè sudditi) in difficoltà.
Negli ultimi libri viene introdotta la figura del princeps, ovvero del governatore ideale. Questo non deve far pensare che Cicerone abbia in questo modo anticipato i futuri esiti augustei: probabilmente egli si ispirava semplicemente al ruolo che aveva ricoperto Scipione nella repubblica romana.
Non pensa dunque ad una riforma costituzionale, ma alla coagulazione del consenso politico intorno a leader prestigiosi, che siano sostegno del senato e della repubblica.
Il De legibus, iniziato nel 52 e probabilmente pubblicato postumo, viene ambientato nella villa di Cicerone ad Arpino, dove avviene il dialogo sulle leggi tra lo stesso Cicerone, il fratello Quinto e l'amico Attico.
- Nel I libro viene esposta la tesi stoica secondo la quale la legge non è nata per convenzione (cioè per un accordo tra gli uomini) ma si basa sulla ragione innata di tutti gli uomini quindi è data da dio.
- Nel II libro si espongono le leggi che dovrebbero essere in vigore nel migliore degli stati.
- Nel III libro Cicerone presenta il testo delle leggi riguardanti i magistrati.
CICERONE: OPERE FILOSOFICHE
Gli scritti filosofici di Cicerone: De finibus bonorum et malorum, Tusculanae disputationes, Cato Maior de senectute, Laelius de amicitia, De officiis.
DE FINIBUS BONORUM ET MALORUM
De finibus bonorum et malorum, dedicato a Bruto, è considerato il capolavoro di Cicerone filosofo. Tratta questioni etiche, e cioè il problema del sommo bene e del sommo male, che è affrontato in cinque libri comprendenti tre dialoghi.
TUSCULANAE DISPUTATIONES
Anche le Tusculanae disputationes è dedicata a Bruto ed è ambientata nella villa di Cicerone a Tuscolo (da cui il titolo). L'opera, in cinque 5 libri, che segna il punto di massimo avvicinamento di Cicerone alla tesi dello stoicismo più rigoroso, è condotta in forma di dialogo tra Cicerone stesso ed un anonimo interlocutore.
In un passo importante dell'opera (V, 83) Cicerone definisce il metodo che egli segue nel trattare dei problemi di maggiore importanza astenendosi dal formulare un'ipotesi, si sforza di esporre tutte le opinioni possibili e di confrontarle per vedere se alcune siano più coerenti di altre.
L'eclettismo filosofico di Cicerone obbedisce alle esigenze di un metodo rigoroso che si sforza di stabilire tra le diverse dottrine un dialogo senza spirito polemico.
La stessa ideologia di humanitas, che invitava ad un atteggiamento aperto e tollerante.
L'eclettismo ciceroniano presenta però una rigida chiusura verso l'epicureismo, prima di tutto perché questa filosofia conduceva al disinteressa per la politica e poi perché escludeva la funzione provvidenziale della divinità e indeboliva i legami con la religione tradizionale.
CATO MAIOR DE SENECTUTE
L’opera Cato Maior de senectute è stata scritta in un periodo di inattività politica, poco prima dell'uccisione di Cesare. Cicerone scrive questo dialogo ambientandolo nel 150, l'anno prima della morte del protagonista del titolo, Catone il Censore. Proiettandosi nella figura di un anziano che conserva autorità e prestigio, Cicerone si rifugia in un passato ideale per eludere la propria inattività.
LAELIUS DE AMICITIA
Laelius de amicitia: scritto dopo la morte di Cesare, questo dialogo segna il ritorno di Cicerone alla politica. Ambientato nel 129, poco dopo la morte di Scipione, Lelio rievocando la figura dell'amico fa alcune riflessioni sull'amicizia.
Per amicizia i Romani intendevano la creazione di legami personali a scopo di sostegno politico.
Cercando di superare la tradizionale logica clientelare e di fazione dello stato aristocratico, il dialogo muove alla ricerca dei fondamenti etici delle società nel rapporto che lega fra loro la volontà degli amici.
La novità nell'impostazione ciceroniana consiste nello sforzo di allargare la base sociale delle amicizie al di là della cerchia ristretta della nobilitas. La fiducia in un rinnovato sistema di valori, in cui l'amicizia occupi un ruolo centrale, deve servire a cementare la coesione dei boni.
DE OFFICIIS
De officiis: quest'opera venne iniziata nel 44. Si tratta non di un dialogo, ma di un trattato dedicato al figlio Marco. Mentre divampava la guerra tra Antonio e i cesaricidi, Cicerone cerca nella filosofia i fondamenti di un progetto di vasto respiro, indirizzato alla formazione di una morale della vita quotidiana che permetta all'aristocrazia di riacquistare il controllo sulla società.
La base filosofica viene offerta da Panezio di Rodi, filosofo stoico del II sec a.C. Nel De Officis, Cicerone afferma di rivolgersi soprattutto ai giovani: ciò conferma la funzione pedagogica che egli attribuisce al suo lavoro di divulgazione filosofica.
I tre libri in cui l'opera è divisa trattano rispettivamente l'honestum, l'utile e del conflitto fra di essi. I primi due libri hanno come fonte Sul conveniente di Panezio, il filosofo che all'epoca degli Scipioni, aveva impresso alla dottrina stoica un'impronta fortemente aristocratica, epurandola degli elementi rozzi e plebei e addolcendole l'eccessivo rigorismo morale, in modo da renderla praticabile da parte di una classe dirigente, colta, ricca e raffinata.
Il sistema delle virtù prevedeva al primo posto la beneficentia, ovvero il mettere a disposizione della comunità gli averi del singolo. Questa però non doveva sfociare nella corruzione, ma doveva essere lontana dalle ambizioni personali.
Molto importante è la magnitudo animi, che per Panezio era l'istinto naturale a primeggiare sugli altri: Cicerone però sottopone tale virtù ad un disprezzo quasi ascetico nei confronti dei beni terreni e del potere.
Ogni istinto naturale deve essere dunque regolato dal logos, cioè la ragione. Essa trasforma l'istinto in virtù svuotandolo di ogni traccia di egoismo e ambizione. Solo allora l'istinto può mettersi al servizio dello stato e della collettività. Nel sistema etico fin qui descritto, il regolatore generale degli istinti e delle virtù che permette di integrarsi in un tutto armonico è la temperanza, che si manifesta all'esterno in un'apparenza di appropriata armonia di gesti e pensieri, che assume il nome di decorum.
L'autocontrollo che Cicerone caldeggia persegue un fine ben determinato: l'approvazione degli altri. La costante attenzione a ciò che gli altri possono pensare, la preoccupazione a non urtarne la suscettibilità sono un portato necessario della fitta rete di obblighi sociale in cui a Roma si trovano inseriti i membri degli strati superiori.
L’EPISTOLARIO DI CICERONE
L’Epistolario di Cicerone è la raccolte di lettere più famosa del mondo antico: essa divenne per il mondo classico un modello per un vero e proprio genere letterario, l’epistolografia.
Le lettere ciceroniane si dividono in due tipi:
il primo è caratterizzato da lettere private, rivolte ad amici e parenti, che sono solitamente abbastanza brevi e hanno carattere informativo o affettivo;
al secondo tipo appartengono quelle che potremmo definire “aperte”: si tratta di lettere che, pur avendo un primo destinatario esplicito, erano in realtà rivolte ad un pubblico più allargato. Esse trattavano argomenti di maggiore rilevanza, anche politici e filosofici.
Le Epistulae ad familiares si collocano a metà tra la lettera privata e lo scritto con intento letterario.
Alcune sono indirizzate ad amici o parenti, altre invece, per il nome dei destinatari (Cesare, Pompeo o Catone l’Uticense) sembrano essere più delle lettere ufficiali.
Tra le lettere personali ricordiamo quelle indirizzate al suo migliore amico Attico le quali raccolgono commenti, notizie, pettegolezzi e informazioni minute della realtà quotidiana ai tempi di Cicerone. Esse sono anche un prezioso documento di quello che era il latino parlato: scritte in un vivace sermo cotidianus, ci mettono di fronte alla viva voce del latino parlato dei Romani dell’alta società.