La condizione femminile - Tema svolto prima prova 2008
Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire del 900. Illustra i più significativi mutamenti intervenuti nella condiz femminile sotto i diversi profili( giuridico, sociale,culturale) e spiega le cause e le conseguenze. Puoi anche riferirti a figure femminili di particolare rilievo
Indice
Prima prova maturità 2008: tema sulla condizione femminile
L'epoca che vide il sorgere della società di massa fu anche quella che registrò l'emergere – in forme ancora frammentarie e minoritarie – di una serie di problematiche legate alla condizione delle donne; infatti se fino all'ottocento le donne non erano state parte integrante nonché produttiva del sistema occidentale, con la seconda rivoluzione industriale si ebbero per la prima volta dei massicci impieghi delle donne nel lavoro operaio; tale innovazione sociale portò in alcuni decenni ad una vera e propria “questione femminile”.
Il problema innanzitutto dell'inferiorità economica , politica e giuridica delle donne era rimasto con poche eccezioni estraneo agli orizzonti del pensiero liberale ottocentesco. I primi movimenti di emancipazione femminile avevano avuto scarsissimo seguito ed erano caduti presto nel dimenticatoio. La situazione era che alla fine dell'800 le donne erano escluse dappertutto dall'elettorato attivo e passivo e, in molti Paesi, dalla possibilità di accedere agli studi universitari e alle professioni; quando lavoravano, ricevevano un trattamento economico nettamente inferiore a quello degli uomini.
Anche in Italia per la maggior parte delle donne, quella del lavoro domestico non era una consapevole scelta di emancipazione, ma piuttosto una dura necessità, quasi una naturale prosecuzione del lavoro svolto da sempre nei campi o entro le pareti domestiche; inoltre ciò non significava nemmeno la liberazione dai tradizionali obblighi familiari. Tuttavia i maggiori contatti col mondo esterno, le esperienze collettive, la partecipazione alle agitazioni sociali portarono le donne lavoratrici a una più viva coscienza dei loro diritti e delle loro rivendicazioni nei confronti dell'intera società.
Anche per il loro ruolo nel mondo della cultura le lotte femministe puntarono ad una parificazione degli studi, ad un'aumento delle tecniche e quindi della fruizione di massa delle opere d'arte; ossia la maggiore autonomia conquistata dalla donna avrebbero potuto permettere alla donna di esercitare professioni intellettuali e artistiche.
Nonostante questo le donne continuano ad essere sottovalutate e sfruttate, si scontrano, ora anche più evidentemente con il pregiudizio dell'inferiorità sessuale femminile, e questo grazie alle tendenze presenti in tutto il secolo che, se da una parte permettevano l'educazione mista, dall'altra non permettevano che questi cambiamenti avvenissero anche sul piano socioculturale.
Nonostante i primi successi, il movimento per l'emancipazione femminile rimase, in questo periodo a cavallo tra i due secoli rimase ristretto a minoranze operaie e intellettuali o circoli e leghe prive di un seguito consistente. Solo in Gran Bretagna si ebbe un consistente movimento femminile che riuscì ad imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica e della classe dirigente, concentrandosi nell'agitazione per il diritto al suffragio e ricorrendo spesso a forme di protesta come dimostrazioni di piazza, marce sul Parlamento, scioperi della fame. La lotta di queste donne che presero il nome di ”suffragette” nel 1918 avrebbe portato le donne al voto nel Regno Unito; nel complesso però il movimento operaio non si mostrò troppo sensibile nei confronti delle rivendicazioni femminili. Se si pensa d'altra parte che in Italia nel 1912 era stato appena garantito il solo suffragio universale per tutti gli uomini, è facile riflettere su quali potessero essere le problematiche relative alla condizione femminile in Italia che come per i progressi economici si mostrava indietro anche per le stesse rivendicazioni che in altri Paesi si discutevano da decenni.
Infatti l'Italia aveva avuto un decollo economico solo nella cosiddetta “età giolittiana” negli anni tra il 1900 e il 1914; solo da questi anni quindi anche in Italia si sarebbe cominciato a discutere, seppur in misura minima, della questione femminile.
Nel 1914, con l'inizio della guerra, le femministe sospendono le proprie rivendicazioni per compiere il proprio dovere di donne, mettendosi così alla prova. Con la fine della guerra, le donne vanno alla ribalta, la produzione culturale cresce di molto, ma quelli che erano i movimenti per l'emancipazione femminile d'inizio secolo vengono sommersi da quella che è la nuova immagine di donna moderna.
In questi anni la cultura in generale propende al femminile, ma le sue alte sfere sono "nettamente maschilizzate". Le femministe, contemporaneamente, denunciano che gli uomini si attribuiscano di diritto la produzione e il controllo della cultura. Gli uomini continuano nonostante tutto a considerare la produzione femminile, escludendo quella di qualche " donna eccezionale", come subordinata a quella maschile.
Italia, dopo la prima guerra mondiale la condizione femminile seguì altri sviluppi inquadrati come tutti gli altri aspetti sociali nell'ottica fascista; infatti l'ideologia fascista inquadrava le donne in una visione gerarchica del rapporto fra i sessi, dovuta all'enfatizzato culto della virilità, proprio della mentalità fascista.
Il regime promosse nuove misure concernenti i rapporti fra i sessi e i rapporti generazionali: è così cambiata l'intera struttura dei rapporti familiari. La famiglia era incoraggiata ad essere prolifica secondo una precisa politica di incremento demografico e ad essere collegata organicamente allo stato. Il nucleo familiare divenne così la cellula fondamentale dello stato fascista, e ciò fu reso esplicito nel Codice Civile del '42 in cui il giurista Rocco definiva la famiglia" un'istituzione sociale e politica".
La reale conseguenza di questa politica non fu però l'aumento delle nascite, che già dagli inizi del'900 era in costante diminuzione, bensì la nascita di una particolare struttura e concezione della famiglia, che consisteva in "un nuovo patriarcato delle classi urbane".
Questo nuovo modello di famiglia presupponeva un marito lavoratore dipendente, il cui salario era integrato dagli aiuti dello stato accentratore e del lavoro casalingo della moglie.
Incubo di quegli anni era la figura della donna spendacciona, irresponsabile o magari sterile (e quindi non in grado di assecondare la politica di crescita demografica).
La mentalità fascista, dunque, non innovò quei vecchi topos culturali, tipici del mondo contadino, per questo la donna bella è " a rischio " poiché fragile e inadatta sia al lavoro sia alla riproduzione, ma anzi li usò per porre le basi ad un modello di famiglia che continuò ben oltre il fascismo stesso. Basti pensare che solo nel'75 si arrivò a considerare reato lo stupro o l'incesto.
Seguendo questa politica lo stato fascista cercò di eliminare tutte quelle attività che potessero distrarre le donne dallo sposarsi presto a dall'avere tanti bambini, tra cui la scuola e l'istruzione.
Quelle poche donne attive all'interno del movimento fascista, costituivano quindi motivo di imbarazzo, problema da tenere sotto controllo, affinché non costituissero un modello di devianza dalla normalità della donna regina del focolare.
Furono accettate solamente le organizzazioni femminili di matrice cattolica, poiché con il Concordato del'29 la Chiesa aveva dato il suo sostegno e rafforzamento a un "modello di famiglia unita e fondata su un sistema di potere asimmetrico fra i sessi e le generazioni", modello che presupponeva una donna rassegnata, con spirito di sacrificio e umiltà, e che durò molto più a lungo dello stesso regime.
Con la caduta del regime e con l'inizio della resistenza il ruolo della donna ha incominciato a cambiare. Tuttavia, il ruolo della donna nella resistenza non essendo mai stato studiato con sufficiente serietà non si è mai potuto chiarire il reale peso che delle donnine in quel contesto storico: la donna della resistenza è sempre stata considerata come conseguenza dell'uomo della resistenza, quando invece molte donne fecero questa scelta radicale da sole, senza essere in qualche modo influenzate dalla scelta dei mariti o dei figli. Anche il loro ruolo nella famigli cambiò molto: la donna della resistenza era lavoratrice e autonoma.
Non per questo però bisogna dimenticare che nella maggioranza dei casi il modello della famiglia fascista e cattolico persistette ancora per molto tempo.
Dopo la seconda guerra mondiale la situazione delle donne in Italia subì un brusco passo indietro come d'altro canto come tutta la società italiana uscita devastata dalla sconfitta e dall'occupazione nazista.
L'unico dato positivo fu certamente la concessione del tanto auspicato suffragio universale femminile; infatti alle prime elezioni libere del 2 giugno 1946 le donne italiane poterono scegliere tra Repubblica e Monarchia; due anni dopo come sancito dalla nuova Costituzione in vigore proprio da quello stesso anno poterono partecipare alle elezioni politiche che avrebbero dato un nuovo assetto parlamentare all'Italia.
La stessa Carta costituzionale sanciva, e sancisce tuttora, la parità salariale all'articolo 37 e regolato da una legge successiva solo nel '57 in applicazione di una convenzione internazionale. Con un accordo interconfederale del 1960 si decise l'eliminazione dai contratti collettivi nazionali di lavoro delle tabelle remunerative differenti per uomini e donne. Venne così sancita la parità formale e sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Le clausole di nubilato sarebbero state definitivamente vietate con la legge n.7 del '63.
Con il boom economico degli anni '50 e '60 quindi, non appena la situazione in Italia andò migliorando, sembrava che qualcosa si cominciasse a muovere: si formarono associazioni che puntavano ad un miglioramento della condizione delle donne e che chiedevano per loro non solo maggiori diritti negli ambiti lavorativi ma anche un maggiore impegno politico ed istituzionale. La realtà era tuttavia ben diversa: basti pensare ai romanzi di Pier Paolo Pasolini dove le donne sono costrette a difendere anche in maniera violenta i propri figli o mariti oppure a nasconderli dalla polizia (ad esempio nel romanzo Una vita violenta, nel capitolo intitolato la battaglia di Pietralata).
Negli anni settanta furono introdotte le leggi che più di tutte in Italia vengono tuttora indicate come le maggiori conquiste femminili del 900': in primo luogo la legge sul Divorzio numero 898 : del 1970, che consentiva il divorzio ai coniugi senza prescindere dalle concezioni moralistiche cristiane.
Tale legge il 12 maggio del 1974 fu oggetto di un referendum abrogativo ma con la vittoria del No la legge venne mantenuta.
Altra legge fu quella sulla maternità del 1971 che estese la tutela della maternità alle lavoratrici dipendenti. Con la legge del Diritto di famiglia del 1975 venne introdotta la parità tra uomini e donne nell'ambito familiare: la potestà sui figli, infatti, ora sarebbe spettata a entrambi i coniugi che hanno quindi gli stessi identici diritti e doveri e non più solo al padre. In attuazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Alta legge a favore della parità dei diritti è quella dell'Interruzione volontaria della gravidanza la famosa Legge194 del 1978. tale norma ha come scopo principale la prevenzione delle gravidanze indesiderate, oltre l'obiettivo di contrastare l'aborto clandestino.
Altre leggi degli ultimi anni che sicuramente hanno contribuito a parificare i diritti tra i due sessi sono state: Legge pari opportunità del 1991 che ha rappresentato un importante passo avanti per rendere visibile e valorizzare la presenza e il lavoro delle donne nella società, nel lavoro e nella famiglia.
La legge sulla Violenza sessuale del 1996 che stabilisce che la violenza sessuale non è più un delitto contro la morale, bensì contro la persona, ossia una legge di civiltà e dignità che rende giustizia alle donne e premia il lungo e sofferto cammino per affermare il diritto alla sessualità libera e condivisa.
Nel concludere si può senza dubbio affermare che la condizione della donna anche in Italia sia certamente migliorata negli ultimi 40 anni, ma ancora molta strada è la strada da fare; non solo in Italia ma anche in molti altri Paesi. Dalle numerose statistiche, dal 1970 ad oggi ci sono stati notevoli passi avanti in Italia. Nel 1970 la speranza di vita per le donne era di 79 anni, oggi è di 83; quaranta anni fa le donne che si diplomavano erano il 43% e si laureavano il 42%, oggi si diploma il 51% del sesso femminile e il 57% si laurea a pieni voti. Dati un po' diversi invece si hanno per l'occupazione. Nel 1970 il tasso di occupazione delle donne era del 19%, oggi è del 40%, ma la percentuale scende quando si parla di parlamentari donne italiane è di circa il 14% al Senato e il 17% alla Camera dei deputati.
Nel leggere questo dato emerge un fatto significativo: nonostante tutte le conquiste del secolo scorso, ancora oggi la donna i in certi casi viene considerata una minaccia nell'ambiente lavorativo forse perché più determinate di alcuni uomini. Il tutto senza dimenticare che la donna che desidera avere un figlio, sta a casa in maternità per un certo periodo, diventando un costo per l'azienda perché si trova ad assumere un'altra persona in sostituzione. Quindi per la donna le scelte sono due: o non fa i figli e sceglie la carriera oppure sceglie di aver figli rischiando così di vedere sfumare la possibilità di passaggio di livello vedendolo magari assegnato a un collega maschio.
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