Il Comunismo: significato, ideali e storia

Comunismo: definizione, storia e ideali della dottrina politica che prende le mosse dal Socialismo, si oppone al Capitalismo e che ha, tra i suoi teorizzatori, Karl Marx e Friedrich Engels
Il Comunismo: significato, ideali e storia
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1Cos'è il Comunismo

Ritratto di Karl Marx
Fonte: ansa

Il Comunismo è una dottrina politica ed economica basata sul concetto che la proprietà privata e l’economia basata sul profitto possano essere sostituite dalla proprietà pubblica e dal controllo comune dei mezzi di produzione, come ad esempio miniere ed industrie. Si può dire che il comunismo sia, insomma, una forma di socialismo.  

Tra comunismo e socialismo c'è però una grande differenza: il comunismo aderisce in linea di massima al ‘socialismo rivoluzionario’ ideato da Karl Marx (1818-1883), rivoluzionario, sociologo storico ed economista tedesco. Per buona parte del XX secolo, circa un terzo degli abitanti del pianeta hanno vissuto sotto regimi comunisti, caratterizzati in genere dalla predominanza di un partito unico, privo di particolari opposizioni.   

2Prima del Comunismo: le utopie

Platone, particolare della statua di Giovanni Pisano
Fonte: ansa

La prima società ‘comunista’ mai descritta potrebbe essere il modello della città ideale immaginato nella Repubblica di Platone. In questo dialogo il filosofo greco immaginava quello che per lui era il miglior stato possibile, una società governata da una casta di illuminati al servizio dell’intera comunità: per loro la proprietà privata era abolita. Questa società era simile ad una grande famiglia, che condivideva tutto, anche i figli. 

Anche i primi cristiani praticavano la condivisione dei beni, e le grandi utopie dell’età moderna si rifacevano sia a loro che alla società immaginata nella Repubblica di Platone. Tra le più importanti sono da segnalare l’Utopia (1516) del letterato e politico inglese Tommaso Moro, e un secolo dopo la Città del Sole (1623) del filosofo calabrese Tommaso Campanella: società immaginarie dove il denaro era abolito, e tutti i beni, sia fisici che spirituali, erano condivisi. 

In alcuni casi, tuttavia, si è tentato di mettere in pratica la comunione dei beni. Uno dei casi più eclatanti è forse quello della teocrazia anabattista di Münster (1534-1535), città in Vestfalia, dove, mentre le truppe cattoliche assediavano la città, vennero concesse la comunità dei beni e la poligamia, finché la città non venne espugnata nel 1535, ed i leader anabattisti torturati ed uccisi. 

Fu soltanto con la Rivoluzione Industriale, tuttavia, tra ‘700 ed ‘800, che la produttività economica incrementò a discapito dei lavoratori, costretti a condurre esistenze durissime. Soltanto allora si cominciò a pensare che la storia era stata dominata da “conflitti di classe”, e che alla fine i lavoratori sarebbero riusciti a possedere i mezzi di produzione, dividendo in maniera equa le ricchezze. 

La tirannia non è una buona soluzione, né per chi la subisce, né per i suoi figli né per i suoi discendenti; essa piuttosto, è di per sé un fatto negativo.

Platone, La repubblica

3Marx e il Materialismo storico

Friedrich Engels
Fonte: ansa

Karl Marx (1818-1883) proveniva da una famiglia del ceto medio della Renania tedesca, studiò filosofia a Berlino, ottenendo un dottorato a Jena, ma non riuscì mai ad ottenere un posto da docente, anche a causa delle sue origini ebraiche. Per questo si dedicò al giornalismo, e durante le sue indagini sull’ingiustizia sociale e sulla corruzione si convinse che la società tedesca (ma anche quella europea in generale), aveva una serie di problemi che potevano essere risolti soltanto con una rivoluzione. A causa delle sue idee politiche estremiste, Marx andò a vivere nel 1843 a Parigi, dove instaurò con il connazionale Friedrich Engels (1820-1895), un altro filosofo socialista e rivoluzionario, una collaborazione che sarebbe durata per quasi 40 anni.  

Per Marx ed Engels, i problemi che affliggevano il proletariato (povertà, malattia, alti tassi di mortalità) erano causati allo stesso capitalismo: l’unico modo per eliminarli era rimpiazzare il capitalismo con il comunismo. Nel Manifesto del partito comunista (1848), Marx ed Engels immaginano un futuro in cui i mezzi di produzione industriale (miniere, fabbriche, ferrovie, etc.) sono di proprietà pubblica e collettiva, e vengono utilizzati a vantaggio di tutti. Il manifesto costringerà Marx all’esilio a Londra, dove il filosofo inizia a scrivere Il Capitale (1867), libro che sviluppa le basi teoriche del comunismo come una vera e propria dottrina scientifica. Le fondamenta teoriche principali sono tre:  

  • Una concezione della storia materialistica
  • La critica del capitalismo
  • La necessità di una rivoluzione

Il materialismo storico di Marx è la prima base teorica del comunismo. Si tratta di un modo particolare di vedere non soltanto il passato, ma anche il futuro. Secondo Marx, alla base di qualunque attività umana ci sono i mezzi materiali di sussistenza: cibo, acqua, vestiti, case. Per produrre questi ‘mezzi’ occorrono in primo luogo materiali e strumenti, e poi persone in grado di trasformare questi materiali e strumenti: in altre parole, i lavoratori. 

Karl Marx
Fonte: ansa

Per Marx, la storia ha visto una serie di cambiamenti nella produzione di ‘mezzi’: veri e propri sistemi, che con il procedere della tecnologia sono divenuti sempre più complessi ed elaborati. Ogni cambiamento è stato il frutto di una “lotta di classe”: uno scontro tra classi sociali diverse. Nell’epoca in cui scrive Marx, è la borghesia che possiede i mezzi di produzione, perché le macchine industriali sono costose, ed i lavoratori non hanno abbastanza denaro per possederle. Secondo Marx, quando un lavoratore non possiede il proprio strumento di lavoro, diventa nient’altro che un'appendice di questo strumento. L’ultima lotta di classe, secondo Marx, sarà quella tra proletariato e borghesia, destinata a concludersi con la vittoria del proletariato, che porterà al comunismo e alla libertà per tutto il genere umano. 

4Contro il capitalismo

Mezzo busto di Karl Marx
Fonte: istock

Abbiamo visto che per Marx la storia è un susseguirsi di fasi contraddistinte tra rapporti e conflitti tra classi: così il filosofo tedesco interpretava l’età antica (schiavismo), il Medioevo (feudalesimo) e l’età moderna  (capitalismo). In tutte queste fasi una classe dominante, in possesso dei mezzi di produzione, avrebbe sfruttato le classi subalterne di lavoratori. Ad esempio, nel Medioevo gli aristocratici sfruttavano sia i servi della gleba che i borghesi. 

Per Marx, queste fasi erano state dei mali necessari: il capitalismo, ad esempio, aveva stimolato numerosi progressi sociali, scientifici e tecnologici. Nonostante ciò, ognuna di queste fasi è portatrice di “contraddizioni”, tensioni interne, e per questo si deve necessariamente concludere con una rivoluzione: nel 1789, ad esempio, la borghesia ed il proletariato, secondo la lettura di Marx, si sarebbero ribellate all’aristocrazia, rimpiazzando il feudalesimo con il capitalismo.    

Secondo le previsioni del pensatore tedesco, i tempi erano maturi per una nuova rivoluzione, stavolta soltanto del proletariato, che avrebbe rimpiazzato il capitalismo con il comunismo. Questo perché, come osservavano Marx ed Engels, la ricchezza non era distribuita in modo equo: i capitalisti pagavano i lavoratori in modo misero, appropriandosi di tutti i profitti, mentre erano i lavoratori  ad investire il proprio tempo e la propria fatica (in altre parole: le proprie vite) nei processi di produzioni. In questo modo, i capitalisti accumulavano ricchezze che gli permettevano di controllare i governi, mentre il proletariato si impoveriva, accecato dalle ideologie proposte dalla classe dominante, e condannato all’alienazione

5Il Comunismo e la rivoluzione del proletariato

Secondo Marx, il capitalismo era destinato a causare una serie di crisi e recessioni, che avrebbero provocato disoccupazione e miseria. Sarebbero state queste crisi a spingere il proletariato alla rivoluzione. A questo punto, i proletari si sarebbero appropriati dei mezzi di produzione e delle istituzioni statali, avviando una fase intermedia che Marx chiamava “la dittatura del proletariato”. Una volta passata questa fase, in cui il proletariato avrebbe difeso la rivoluzione dai tentativi controrivoluzionari dei borghesi, non ci sarebbe più stato bisogno di uno stato: soltanto allora ci sarebbe stata una società veramente comunista, priva di stato e di classi.

Statua di Karl Marx a Chemnitz
Fonte: istock

Marx non fu mai troppo preciso su come sarebbe stata la società durante e dopo la dittatura del proletariato: trattandosi di un rigoroso teorico, non si occupò mai di predire i governi del futuro, elaborando utopie elaborate. Tuttavia alcuni degli elementi di cui parlò sono oggi normali in molte società, come l’educazione gratuita e la tassazione in base al reddito. Altri elementi, come la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, conservano ancora una certa radicalità. Per Marx, in ogni caso, sarebbero stati i comunisti del futuro a decidere - in modo democratico - come avrebbe funzionato la società comunista dopo la rivoluzione. Come vedremo, molti dei suoi eredi non la penseranno così.  

La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una nuova società.

Karl Marx, Il capitale

6Dopo Marx: socialismo scientifico, revisionismo e “Marxismo-Leninismo”

Marx morì nel 1883, e la sua eredità fu raccolta dal suo collaboratore Friedrich Engels. Engels propose un’interpretazione piuttosto rigida e dogmatica delle idee di Marx, che chiamava ‘socialismo scientifico’. Dopo la morte di Engels, nel 1895, i seguaci di Marx (marxisti) iniziano a dividersi in due fazioni:

  • i revisionisti, che rinunciavano all’idea di rivoluzione, pensando di raggiungere il socialismo attraverso una pacifica ‘evoluzione’ parlamentare, piuttosto che attraverso una rivoluzione del proletariato.
  • gli ‘ortodossi’: coloro che rimasero fedeli all’idea di una rivoluzione armata del proletariato.

Per gli ortodossi, i revisionisti erano dei traditori, borghesi e controrivoluzionari.

6.1Vladimir Lenin

Vladimir Lenin
Fonte: ansa

Vladimir Lenin (1870-1924), colui che avrebbe guidato in Russia la prima rivoluzione comunista della storia, era un marxista ortodosso, e tuttavia rielaborò le idee di Marx in modo profondo. Dovette farlo per forza, poiché la Russia non era certo il paese ideale per mettere in pratica il comunismo marxista, trattandosi di un’economia fondata sull’agricoltura, più che sul capitalismo, dove le fabbriche erano poche. Sostanzialmente Marx avrebbe considerato quella russa una società più ‘feudale’ che capitalista. Lenin sviluppò quindi una propria versione del marxismo, che più tardi sarebbe stata chiamata ‘Marxismo-Leninismo’. I cambiamenti principali furono due:  

  • Lenin era convinto che il proletariato, da solo, non avrebbe mai guidato una rivoluzione spontaneamente. C’era bisogno di un’avanguardia in grado di guidarlo, composta da intellettuali radicali della classe media, esattamente come lo stesso Lenin. In questo modo il partito comunista avrebbe potuto educare le masse, che da sole non avevano la disciplina e la cultura necessaria per capire quali fossero i propri interessi. Lenin sapeva che ci sarebbe stato bisogno di un partito molto disciplinato, dove le decisioni venivano discusse democraticamente, ma dove poi la leadership centrale doveva stabilire una linea alla quale il partito doveva obbedire in modo ferreo. Dunque, più che di una dittatura del proletariato, si trattava di una dittatura del partito comunista (nel nome del proletariato).
  • Secondo Lenin, la rivoluzione comunista non sarebbe iniziata in un paese dove il capitalismo era ad uno stato avanzato, come la Germania o la Gran Bretagna. In questi paesi, i lavoratori erano stati ‘placati’ dai sindacati, dalle riforme e dall’imperialismo. Il vero sfruttamento, quello di cui aveva parlato Marx, avveniva ormai nelle colonie dei paesi imperialisti, dove la forza lavoro e le materie prime erano più economiche. Queste potenze imperialiste, come la Gran Bretagna, potevano quindi concedere ai lavoratori in patria condizioni più vantaggiose. In questo modo il proletariato aveva perso l’interesse nel fare la rivoluzione, che doveva quindi iniziare in paesi economicamente più svantaggiati, come le colonie, o la stessa Russia.

7Lenin e la rivoluzione russa

Aleksandr Kerenskij
Fonte: ansa

Nel 1917, nel pieno della Prima guerra mondiale, il popolo russo stava subendo le conseguenze di uno sforzo immane, sia al fronte che nelle campagne. Il malcontento generale causò svariate rivolte nelle città russe. Lo zar, Nicola II, ordinò all’esercito di fermare queste rivolte, ma i soldati non obbedirono. A questo punto Nicola II dovette abdicare, ed il nuovo governo di orientamento moderato, capeggiato da Aleksandr Kerenskij, tentò di proseguire lo sforzo bellico. Lenin, che si trovava in esilio in Svizzera, tornò appena in tempo in patria, e sotto la sua guida, i Bolscevichi presero il potere nell'ottobre del 1917.   

I bolscevichi instaurarono un nuovo governo basato sui soviet, assemblee di lavoratori e militari. Le prime mosse furono il ritiro dalla guerra mondiale e la nazionalizzazione delle industrie private e dell’agricoltura. Le miniere, le fabbriche ed i magazzini vennero sottratti con la forza ai proprietari, borghesi ed aristocratici, e distribuiti ai contadini. I proprietari terrieri e gli aristocratici (i “bianchi”) con l’aiuto delle potenze europee capitaliste (tra cui la Gran Bretagna), tentarono di contrastare la rivoluzione dei “rossi” in una guerra civile che durò fino al 1920. 

Dopo la vittoria dei bolscevichi, Lenin si trovò a capo di un paese allo stremo. Per tentare di risollevare l’economia dell’Unione Sovietica, Lenin diede il via alla Nuova Politica Economica (NEP, 1921-1929), che ripristinava la proprietà privata in alcuni settori dell’economia, incoraggiando l’iniziativa individuale e la ricerca del profitto tra contadini e piccoli commercianti. Grazie alla NEP, l’economia sovietica venne risollevata, anche se per Lenin, che morì nel 1924, si trattava di una fase temporanea.  

7.1Il ‘’comunismo di guerra’’

Dall’estate del 1918 il governo bolscevico attua una politica energica e autoritaria definita "comunismo di guerra". Questa politica mira a risolvere i problemi dell’approvvigionamento delle città. Vengono istituiti nei centri rurali dei funzionari con il compito di provvedere alla distribuzione del cibo. Vengono, seppur senza grande successo, formate le kolchoz (fattorie collettive) e le sovchoz (fattorie sovietiche). Si tratta di cooperative agricole volontarie ma gestite direttamente dallo Stato o dai soviet locali. I kolchoz sono società cooperative che ricevono dallo Stato la terra in uso perpetuo, mentre i mezzi appartengono alle cooperative. Ogni famiglia possiede un appezzamento non superiore ad un ettaro e i contadini riscuotono un salario. I sovchoz, invece, servono per stimolare la collettivizzazione dell’agricoltura. Terre e mezzi sono dello Stato che si riserva tutta la produzione, mentre i contadini sono solo dipendenti pubblici.

8Iosif Stalin

Joseph Stalin
Fonte: ansa

Dopo la morte di Lenin, la leadership del partito comunista era contesa tra tre uomini: Iosif Stalin (1879-1953), Lev Trockij (1879-1940) e Nikolaj Bucharin (1888-1938). Stalin era un uomo ambizioso, che già dalla fine degli anni ‘20 intimidiva i propri rivali per consolidare il proprio potere. Verso la metà degli anni ‘30, Stalin inizò ad esiliare i dissidenti in Siberia, o a giustiziarli dopo processi truccati, ‘purgando’ sia il partito che la popolazione. Anche i suoi due rivali, Bucharin e Trockij, vennero entrambi eliminati: il primo giustiziato nel ‘38 dopo un processo messinscena, il secondo, fuggito all’estero, venne assassinato da agenti di Stalin che sviluppò a sua volta una propria versione del Marxismo-Leninismo.

Lo Stalinismo si basava su tre punti principali:       

  • Il materialismo dialettico diventava dottrina ufficiale dell’Unione Sovietica: un vero e proprio dogma, che giustificava qualunque poiltica voluta da Stalin, mentre la società sovietica stava diventando definitivamente totalitaria.
  • Culto della personalità basato su una scarsa fiducia nel Partito Comunista. C’era bisogno di un leader forte: Stalin, che veniva rappresentato come un genio in tutti i campi, ai limiti del sovrumano. Ovviamente, non c’era più posto per la democrazia interna, né per il centralismo democratico.
  • Il socialismo in un solo paese era una teoria politica secondo cui l’Unione Sovietica andava potenziata al massimo, sia industrialmente che militarmente. Soltanto in una fase successiva la rivoluzione sarebbe stata esportata in tutto il mondo.

Conclusa la fase della NEP, Stalin avviò la collettivizzazione forzata dell’agricoltura sovietica ed un rapidissimo programma di industrializzazione. Si trattava di trasformazioni brutali, che privarono dei propri averi i piccoli possidenti terrieri, o kulaki, che Stalin perseguitò e sterminò nei campi di lavoro in Siberia, dove milioni di loro morirono di freddo e di fame.    

Josip Tito
Fonte: ansa

Il “socialismo in un solo paese” significava anche che gli interessi dell’Unione Sovietica divennero più importanti degli interessi del movimento comunista internazionale. Stalin instaurò regimi comunisti in molti paesi dell’Europa orientale: la famosa cortina di ferro. I partiti comunisti di Polonia, Iugoslavia, Romania, Cecoslovacchia, Ungheria, Albania e della Germania Est, veri e propri stati cuscinetto tra l’Unione Sovietica e l’Europa occidentale, dovevano sottostare agli interessi dei sovietici, anche perché in caso di dissenso dovevano temere l’esercito sovietico. Tra i pochi dissidenti vi fu Tito in Iugoslavia, che comunque rimase un alleato. Negli altri continenti, l’Unione Sovietica supportò una serie di ‘guerre di liberazione nazionale’ contro il colonialismo, aiutando economicamente e militarmente i regimi comunisti ed i movimenti rivoluzionari di paesi come la Corea del Nord, il Vietnam e Cuba. 

Stalin morì nel 1953, e nell’Unione Sovietica, nonostante la guerra fredda continuasse, iniziò una lenta fase di liberalizzazione, ma la burocratizzazione, il conformismo. I crimini di Stalin vennero denunciati (in segreto) in un congresso del partito nel 1956 da Nikita Krushchev, deposto a sua volta nel 1964. Negli anni ‘80, Michail Gorbacëv iniziò una intensa fase di liberalizzazione della società sovietica, finché nel 1991 il Partito Comunista non venne definitivamente sciolto, ed il regime sovietico crollò.    

Non è il censo, né l'origine nazionale, né il sesso, né la carica o il grado, ma sono le capacità personali di ogni cittadino che determinano la sua posizione nella società.

Stalin, Sul progetto di Costituzione dell'U.R.S.S.

9Il Comunismo e la Cina

Mao Zedong
Fonte: ansa

Dal 1949, la Repubblica Popolare Cinese rimane l’unica superpotenza globale ad essere ancora governata da un partito comunista. Anche in questo caso però, il comunismo cinese è una versione particolare del Marxismo: la visione di Mao Zedong, presidente del partito comunista cinese dal 1943 al 1976, o Maoismo. Il maoismo si presentava come un ‘adattamento’ creativo delle teorie di Marx alla società cinese, e rimase sostanzialmente indipendente dal comunismo sovietico.  

  • Il concetto di Imperialismo venne preso in prestito da Lenin per motivare la necessità che la rivoluzione iniziasse in paesi che lo avevano subito, come la Cina, una società povera e basata sull’agricoltura.
  • Il concetto di scontro tra classi (proletariato contro borghesia) venne rimpiazzato con quello di ‘nazioni’: paesi proletari, come la Cina, venivano sfruttati da paesi capitalisti, come gli Stati Uniti. Attraverso guerre di liberazione nazionale, i paesi sfruttati avrebbero risolto il problema alla radice, privando i paesi capitalisti di lavoro e materiali a basso costo.
Mao Zedong
Fonte: ansa

Tra il 1958 ed il 1960 Mao attuò una politica di industrializzazione forzata: il “grande balzo in avanti”: un piano di cinque anni per far uscire la Cina dall’arretratezza economica, costringendo molti contadini a lasciare la propria attività per dedicarsi all’industria, e collettivizzando al contempo la produzione agricola. La pianificazione imperfetta ed una serie di disastri naturali andranno tuttavia a causare una carestia che colpirà la Cina tra il 1959 ed il 1961 causando decine di milioni di morti

Il culto della personalità, analogo a quello di Stalin, fu un’altra caratteristica importante del maoismo: il Libretto rosso di Mao, una collezione di citazioni del leader, doveva essere studiato da ogni cinese. La ‘purezza ideologica’ nel paese venne rinforzata con la rivoluzione culturale (1966-1976), un tentativo di isolare tutti quegli insegnanti, burocrati, amministratori, che dimostravano un’adesione imperfetta agli ideali maoisti. Dopo la morte di Mao, nel 1976, la Cina iniziò sempre di più ad aprirsi al libero mercato, pur mantenendo uno stretto controllo sul dissenso politico.  

10Il comunismo oggi

La caduta del muro di Berlino nel 1989 ha simboleggiato la crisi sociale oltre che economica nella quale versava l'URSS. La necessità di passare a un'economia di stampo capitalistico ha obbligato a conciliare le resistenze di tipo ideologico con le difficoltà oggettive, legate alla transizione da un sistema collettivistico a uno improntato al mercato libero, cercando comunque di contenere gli aspetti più lontani dall’ideologia comunista. 

Negli attuali paesi comunisti le maggiori industrie sono tuttora di proprietà statale ma la tendenza rimane quella di favorire la privatizzazione, soprattutto in Cina dove l'apertura del mercato non è andata di pari passo con il processo di democratizzazione. 

Gli ultimi baluardi sono la Corea del Nord, con un governo oppressivo la cui popolazione è isolata dal mondo, o Cuba e il Vietnam dove permangono un regime a partito unico ma con un mercato aperto agli investitori stranieri

11Ascolta l'audio lezione sul Comunismo

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    Domande & Risposte
  • Su cosa si basa il comunismo?

    Sul concetto che la proprietà privata e l’economia basata sul profitto possano essere sostituite dalla proprietà pubblica e dal controllo comune dei mezzi di produzione.

  • Quali sono i Paesi comunisti nel mondo?

    Cina, Cuba, Laos e Vietnam.

  • Cosa significa il termine comunismo di guerra?

    Provvedimenti economici e sociali presi da Lenin tra il 1918 e il 1921 durante la guerra civile russa.