Bullismo: come prevenirlo prima che si manifesti

Intervista al prof. Giovanni Maria Vecchio sulla prevenzione del bullismo attraverso la prosocialità e l'educazione all'empatia. Ecco come funziona

Bullismo: come prevenirlo prima che si manifesti
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COME PREVENIRE IL BULLISMO

Il bullismo si può prevenire prima che si manifesti, attraverso l'educazione alla prosocialità
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Uno degli aspetti scarsamente considerati, quando si affronta il tema del bullismo, riguarda la prevenzione del fenomeno. Ovvero, la possibilità di intervenire su un gruppo prima che le dinamiche proprie del bullismo si manifestino.

Il professor Giovanni Maria Vecchio, Professore Associato all'Università di Roma 3 - facoltà di Scienze della Formazione - lavora proprio su queste tematiche nel suo corso di Psicologia dello sviluppo per l'inclusione, e ha parlato del suo lavoro lo scorso 29 ottobre nel corso del convegno Pearson Ognuno è speciale – Includere, valorizzare i talenti, gestire la classe, dedicato proprio all'inclusione a scuola.

Attraverso laboratori pratici nelle classi, il professore mette in pratica, verificandone l'efficacia, le teorie sull'educazione alla prosocialità: "Puntiamo a una prevenzione universale verso scuola, bambini e ragazzi. È importante rivolgersi a tutto l’insieme del target prima che si stabilizzino dei fattori di rischio, ed educare alla prosocialità attraverso il rispetto dell’altro e la condivisione".

Generalmente, gli interventi della scuola sui ragazzi identificati come bulli sono sempre in chiave punitiva. La modalità che suggerisce il professore è invece positiva, relazionale, inclusiva. Ma come fare a renderla tale, nella pratica?

CHI È IL BULLO

Per capirlo, occorre fare un passo indietro: da dove ha origine il comportamento del bullo?

"Il bullismo non è un fenomeno individuale: dipende anche dal clima della classe, della scuola, dai valori di cui il ragazzino è portatore" spiega il professor Vecchio. Ci sono alcuni comportamenti riconoscibili, del tutto trasversali alle classi sociali di appartenenza, e quindi universali:

  • Bisogno di prevaricare l’altro;
  • Comportamenti strumentali per avere benefici concreti;
  • Aggressività proattiva intenzionale (in altre parole, non ci si difende da un attacco, ma si offende l'altro intenzionalmente);
  • Atteggiamento positivo nei confronti della violenza (che può derivare dal quartiere o anche dalla famiglia, non necessariamente in senso fisico, ma anche psicologico).

Il bullismo può trovare terreno fertile anche in presenza di docenti poco attenti o, al contrario, di una scuola particolarmente repressiva. In tutti i casi "è manifestazione di un disagio che spesso non viene compreso", continua Vecchio.

BULLISMO, PSICOLOGIA

Di fronte a situazioni del genere, lavorare in classe è estremamente importante, soprattutto perché consente di smontare non solo i comportamenti, ma anche il contesto in cui il bullismo si viene a creare: "Il bullo crea proseliti e dà messaggi del tipo: Sono il più forte" spiega il professore. "Attorno a lui ci sono osservatori indifferenti o suoi sostenitori attivi". Per questo è importante intervenire sul gruppo: "Il bullo ha scarsa empatia e considerazione del vissuto delle altre persone. Si può lavorare su questi aspetti: le competenze empatiche, la capacità di mettersi nei panni dell’altro".

Questo laboratorio sull'empatia esiste: è uno dei laboratori che il professore dirige all'interno di alcune scuole di Roma, e funziona. Nel laboratorio si ricreano delle situazioni che chiedono ai ragazzi di mettersi nei panni dell'altro e prendere una decisione. Un esempio? A un ragazzo viene chiesto di tagliare lo zaino di un amico, sapendo che al suo interno ci sono delle biglie.

Il gesto viene presentato come uno scherzo, che probabilmente però metterebbe in difficoltà e imbarazzo chi lo riceve. Il ragazzo a questo punto si trova di fronte a un dilemma: cosa fare?

"In questi laboratori vengono indagati gli aspetti comunicativi dell’assertività: come dico di no quando una cosa non mi sembra giusta? Per farlo si usano situazioni che capitano davvero nelle classi" spiega Vecchio. I ragazzi partecipano volentieri a questi laboratori, soprattutto perché il picco di questo tipo di comportamenti si riscontra alle scuole medie: "più fisico per i maschi, più relazionale per le femmine" spiega il professore. I risultati di questo lavoro sono però evidenti già a distanza di mesi: "Alla fine del laboratorio notiamo tre cose: innanzi tutto vediamo una riduzione drastica dei comportamenti aggressivi, per cui conflittualità normali si smorzano" spiega il professore. "Il laboratorio manifesta anche un'autoefficacia sociale, ovvero la capacità della classe di mantenere delle relazioni positive. Infine, cosa più importante, i ragazzi vanno anche meglio a scuola".

Uno dei punti cardine per rendere davvero efficace il lavoro con i ragazzi passa naturalmente dal coinvolgimento delle famiglie: "Quando le famiglie partecipano c’è un’unità di intenti ed è un optimum. In alcuni casi purtroppo è l’anello mancante" spiega Vecchio. Molto dipende anche dalla formazione specifica degli insegnanti: "Nella scuola secondaria rispetto alla primaria i docenti non hanno una formazione di tipo pedagogico e relazionale" ricorda il professore. "Questo accade in una fascia d’età peraltro critica, che dovrebbe sostenere le sfide dei ragazzi".

Ma c'è un aspetto ancora più importante, che passa invece dalle scuole: "Sull'educazione alle emozioni quello che manca è un quadro generale: manca la consapevolezza che nelle scuole questo non è un aspetto complementare" continua Vecchio. "Le ricerche lo dimostrano: stare bene a scuola conviene a tutti, anche agli insegnanti, perché crea un contesto positivo".

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