Come formare un paradigma latino
Come si forma un paradigma latino: ecco quali sono le cinque voci verbali del paradigma, spiegate in modo dettagliato con degli esempi
Indice
Introduzione
La grammatica italiana è di certo molto complessa, caratterizzata da desinenze diverse a seconda del genere e del numero, nonché in base all'immensa varietà di tempi verbali.
Per quanto riguarda la grammatica latina, dalla quale discende quella italiana, il tutto è complicato ulteriormente dalla presenza di desinenze diverse in base al caso grammaticale (cui si può risalire solo tramite l’analisi logica) e dalla presenza dei paradigmi verbali.
In grammatica, per paradigma si intende un modello di declinazione o di coniugazione verbale, la cui regola di formazione è solitamente offerta dai manuali linguistici.
A parte per alcune eccezioni, il paradigma latino è costituito da cinque voci (prima e seconda persona singolare dell’indicativo presente, prima persona dell’indicativo perfetto, supino e infinito presente), tutte accomunate dalla medesima radice grammaticale.
Mentre in italiano sul vocabolario va individuato l'infinito del verbo cercato, nel caso del latino va cercato proprio il suo paradigma.
In questa guida sarà analizzato nel dettaglio come si forma un paradigma latino.
Indicativo presente
Il paradigma di ogni verbo latino presenta le prime due persone del presente indicativo in forma attiva. In effetti, quando si cerca un verbo latino sul vocabolario è necessario cercare prima di tutto la prima persona verbale del presente indicativo.
Nel caso del verbo latino “amare”, la prima voce del paradigma sarà “amo” e sarà quella maggiormente in evidenza sul vocabolario.
Essa sarà seguita dalla seconda persona singolare ovvero “amas”.
Alcuni vocabolari riportano solo la desinenza -as, dando per scontato che la radice am- venga aggiunta di volta in volta a tutte le altre voci del paradigma.
Indicativo perfetto
La terza voce del paradigma è quella dell'indicativo perfetto, ovvero quello che in italiano è tradotto tipicamente con un passato remoto o un passato prossimo.
Esso va formato a partire dalla radice dell'indicativo presente, alla quale va aggiunta la consonante “v”, preceduta dalla vocale tematica della coniugazione.
Per esempio, nel verbo “amare”, la vocale tematica è “a”, poiché si tratta di una prima coniugazione in -are. In questo caso avremo dunque am-a e infine la consonante “v”.
Quest'ultima è seguita nel paradigma dalla vocale “i” per formare la prima persona, ma il perfetto è costituito dalla forma amav- cui segue una desinenza diversa in base alla persona.
Supino e infinito
Le ultime due voci paradigmatiche sono dei verbi indefiniti, ovvero non caratterizzati dalla coniugazione in base alle persone (come accade in italiano per l'infinito, il participio e il gerundio).
Il supino, ovvero quello che in italiano ha le stesse funzioni del participio passato, è costituito dalla radice e dalla vocale tematica (in questo caso am- e -a quindi ama-), cui va aggiunta la desinenza -tum.
Quindi avremo la voce “amatum”.
Per l'infinito, con le stesse funzioni dell'infinito presente attivo della lingua italiana, va invece aggiunta la desinenza -re, formando così l'ultima voce del paradigma ovvero amare.
Eccezioni
Il verbo amare in latino, proprio come in italiano, è un verbo regolare che avrà dunque come paradigma "amo amas amavi amatum amare".
Per i verbi irregolari, però, non è possibile estendere le medesime regole fin qui riportate.
Esistono verbi irregolari caratterizzati da voci con radici grammaticali completamente diverse, come nel caso del verbo “portare” il cui paradigma in latino è "fero fers tuli latum ferre".
Oppure esistono verbi irregolari cui mancano voci paradigmatiche e al tempo stesso non vi sono temi fissi, come nel caso del verbo “volere” il cui paradigma è "volo vis volui velle".
Infine, è possibile anche imbattersi in verbi costituiti da voci paradigmatiche composte come nel caso del vero “diventare”: fio, fis, factus sum, fieri.
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