Cino da Pistoia: biografia, poesie, opere
Indice
1Cino da Pistoia: introduzione
Non è facile essere poeti tra Duecento e Trecento, quando operano giganti della poesia dal calibro di Guido Cavalcanti e soprattutto di Dante. Se il secondo è riconosciuto – e giustamente – come padre della nostra moderna letteratura, a cui fanno seguito altri due geni come Petrarca e Boccaccio, si può pensare (erroneamente) a tutti i poeti loro contemporanei come dei minori, di poco conto. Tuttavia essere meno noti al grande pubblico non vuol dire essere insignificanti o meno bravi, perché magari questi autori sono stati capaci di mostrare punti di vista e soluzioni inedite: essi hanno magari aperto strade e prospettive che magari non sono state percorse o magari sono state portate a compimento da altri.
Cino da Pistoia (1270 ca.-1336 o 1337), uno dei poeti e giuristi di maggior rilievo di questo periodo, si mostra capace di rielaborare lo stilnovismo dantesco in modo originale (i due furono amici e corrispondenti), ma anche all’occorrenza di saper accogliere influenze di Guittone d’Arezzo, e di anticipare a suo modo anche la successiva esperienza lirica di Petrarca «soprattutto per il caratteristico personalismo e nella musicalità delicata del dettato poetico» (Eugenio Ragni, Dizionario critico della Letteratura Italiana, p. 589, sub voc. Cino da Pistoia).
2Vita e opere di Cino da Pistoia
Non sono moltissime le notizie a proposito di questo poeta: di ricca famiglia feudale militante dei guelfi neri. Studiò legge a Bologna, come Dante, e furono questi anni universitari ad aprirlo alla poesia e al «dolce stile» che Guinizzelli aveva inaugurato.
Dopo un soggiorno in Francia e nuovamente a Bologna (1297-301), nell’anno successivo tornò a Pistoia, sua città natale, e subì nel 1303 l’esilio, da cui rientrò nel 1306. Questo accadde sebbene Cino avesse cercato di mantenersi lontano dalle lotte di fazione.
Come Dante ripose molte speranze nella discesa di Arrigo VII, e infatti ne pianse amaramente la prematura morte nella canzone Da poi che la natura, di cui ti riporto la parte iniziale (vv. 1-9). Era l’abbandono delle speranze di un nuovo e più stabile equilibrio dell’Italia e dei comuni toscani in particolare.
Da poi che la natura ha fine ’mposto
Al viver di colui, in cui virtute
Com’in suo proprio loco dimorava,
Io prego lei che ’l mio finir sia tosto,
Poi che vedovo son d’ogni salute:
Che morto è quel per cui allegro andava,
E la cui fama ’l mondo alluminava,
In ogni parte, del suo dolce lome.
Rïaverassi mai? non veggio come.
Questo accadimento lo spinse a dedicarsi con ancora più fervore agli studi giuridici in cui eccelse: nel 1314 completò la Lectura in codicem, commento ancora oggi imprescindibile ai primi nove libri del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano.
Ottenuto il dottorato a Bologna, insegnò successivamente a Siena (1321-1323 e 1324-1326); a Perugia (1326-1330 e 1332-1333); a Napoli (1330-1331), chiamato da Roberto d’Angiò.
Nel 1324 era diventato poi cittadino onorario di Firenze. La sua lunga vita terminò nella sua amata Pistoia, dove ormai anziano, aveva scelto di ritirarsi. È ancora oggi visibile nella Cattedrale di San Zeno la sua ricca tomba.
2.1La tomba di Cino da Pistoia
La tomba di Cino da Pistoia è una tomba monumentale scolpita nel XIV secolo, attribuita a lungo a un generico maestro senese e poi ad Agnolo di Ventura, ma ora assegnata ad Agostino di Giovanni.
L’esecuzione della tomba, ordinata al capomastro dei lavori del Camposanto di Pisa Cellino di Nese, fu probabilmente da questi affidata al maestro senese che vi lavorò a partire dal 1331 mentre Cino è ancora in vita. L'autore conclude nel 1336 l’opera, che viene collocata l'11 febbraio 1337 e saldata il 27 dicembre 1339 sulla parete destra nella cattedrale di San Zeno a Pistoia.
Sui lati del cenotafio corre un bassorilievo con fondo piatto sul quale si stagliano Cino mentre tiene lezione e gli allievi che vi assistono alla lezione, lo stile è gotico cortese.
Da atti di archivio risulta che nel 1624, nel rifare le fondamenta dell'altare di un dipinto all’interno della cattedrale, vengono ritrovate le ossa di Cino che sono poi collocate sotto il cenotafio.
3Stile poetico
Cino da Pistoia si pone tra lo Stilnovo e Petrarca. Abbiamo detto nell’introduzione che Cino da Pistoia è amico di Dante ed è riconosciuto da quest’ultimo come un grande ed eccellente poeta, al punto da essere inserito dal nostro sommo autore nel De vulgari eloquentia in termini sempre molto positivi.
Cito un estratto del grande dantista Mario Marti a tal proposito: Dunque non sembrerà strano che tanta attenzione sia stata da lui dedicata all'amico C., che vi è ricordato più volte e con giudizi talora estremamente lusinghieri. E non solo per motivi strettamente tecnici, come quando, per es., D. inserisce il suo nome fra quelli dei poeti che usarono l'endecasillabo ad apertura di canzone (II V 4), o che i loro componimenti ornarono di costrutti eccellentissimi (II VI 6), notazioni insomma non ancora impegnative sul piano di un giudizio critico integrale; ma anche per farne in senso assoluto uno dei più grandi poeti moderni. Cino è compreso nella sparutissima schiera dei toscani che conobbero l'eccellenza del volgare: scilicet Guidonem, Lapum et unum alium, Florentinos, et Cynum Pistoriensem, quem nunc indigne postponimus, non indigne coacti (I XIII 3); egli e D. stesso sono i soli dei quali si afferma chedulcius subtiliusque poetati vulgariter sunt (I X 4); e che liberandolo dalla sua rozzezza resero, in grazia del loro magistero linguistico, il volgare tam egregium, tam extricatum, tam perfectum et tam urbanum (I XVII 3), cioè sostanzialmente in grazia del loro magistero poetico e stilistico.
Questa amicizia poetica risente di una preziosa affinità elettiva tra i due che furono accomunati dall’esperienza dell’esilio e che trovarono con mutuo scambio di idee il modo di affrancarsi dalla rigidità e dall’intellettualismo della poesia di Guido Guinizzelli, il padre dello stilnovo secondo Dante.
Ma questa comunione d’affetti e di programma poetico, per così dire, fu notata anche tra Cino e Petrarca: Francesco De Sanctis il nostro grande storico della letteratura ritiene, infatti, Petrarca un suo «grande discepolo» (almeno per quanto riguarda la produzione in volgare, si intende). In particolare possiamo notare nella produzione ciniana il ricorrere di un tema centrale variato in infiniti toni e misure, proprio come nel Canzoniere di Petrarca in cui l’amore per Laura rappresenta il tema ossessivo dell’intera opera: «La sua è una storia che rinasce all’inizio di ogni singola composizione e che, condotta il più delle volte sul registro drammatico (domande angosciate, esclamazioni, appelli) si conclude con l’ultimo verso senza esigere ulteriori svolgimenti; si tratta di abilissime, quasi sempre affascinanti e musicali variazioni sullo stesso tema» (Eugenio Ragni, Dizionario critico della letteratura italiana, p. 590, sub voc. Cino da Pistoia).
Dunque, ripeto, la posizione critica più affermata pone Cino tra lo Stilnovo e Petrarca, che, tra l’altro, scrisse un sonetto per la morte del poeta pistoiese «Piangete amanti» (Canzoniere XCII), come segno di gratitudine al poeta.
3.1Ciò ch'i' veggio di qua m'è mortal duolo
Questo sonetto è un chiaro esempio di come alcune tematiche presenti in Cino da Pistoia anticipino la poesia di Petrarca. L’uomo è solo e non è interessato a nessun contatto umano, pensa costantemente al luogo della donna amata, sospirando in modo sommesso per non farsi scorgere da chi non è degno. La lontananza, il cuore dell’amato che fugge lontano, sono due elementi fondamentali della poesia stilnovistica.
Ciò ch'i' veggio di qua m'è mortal duolo,
perch'i' so' lunge e fra selvaggia gente,
la qual i' fuggo, e sto celatamente
perché mi trovi Amor col penser solo:
ch'allor passo li monti, e ratto volo
al loco ove ritrova il cor la mente,
e imaginando intelligibilmente,
me conforta 'l penser che testé imbolo.
Così non morragg'io, se fie tostano
lo mio reddire a star sì ch'io miri
la bella gioia da cui son lontano:
quella ch'i' chiamo basso ne' sospiri,
perch'udito non sia da cor villano
d'Amor nemico e de li soi disiri.
3.2Parafrasi
Quello che io vedo nel luogo in cui mi trovo, mi procura un dolore mortale, perché sono lontano e fra gente scortese, che io fuggo, e resto nascosto in modo che Amore mi trovi con il solo pensiero: allora io passo le montagne, e volo rapidissimo al luogo dove la mente ritrova il cuore e immaginando con la mente mi conforta il pensiero che adesso nascondo. Così non morirò, se sarà rapido il mio ritorno alla contemplazione di quella bella gioia da cui sono lontano: colei che io invoco a fior di labbra sospirando, perché il suo nome non sia udito da cuore villano, nemico d'amore e dei suoi desideri.
4Poesie di messer Cino da Pistoia
Partiamo da questo sonetto per dare prova di quanto detto finora:
Testo
Veduto han gli occhi miei sì bella cosa,
che dentro dal mio cor dipinta l'hanno,
e se per veder lei tuttor no stanno,
infin che non la trovan non han posa,
e fatt'han l'alma mia sì amorosa,
che tutto corro in amoroso affanno,
e quando col suo sguardo scontro fanno,
toccan lo cor che sovra 'l ciel gir osa.
Fanno li occhi a lo mio core scorta,
fermandol ne la fé d'amor più forte,
quando risguardan lo su' novo viso;
e tanto passa in su' desiar fiso,
che 'l dolce imaginar li daria morte,
sed e' non fosse Amor che lo conforta.
Parafrasi
La lode della donna amata è uno dei temi più cari dello Stilnovo, ereditato dalla poesia siciliana, a sua volta ripresa da quella provenzale: l’amore che passa per gli occhi e che giunge fino al cuore (pensa che solo al sonetto di Cavalcanti Voi che per li occhi mi passaste ‘l core).
La bellezza della donna è tale che il suo sguardo – passato attraverso la vista – tocca il cuore che osa “gire”, cioè andare, fino al cielo, tanto è felice. Gli occhi fanno scorta per il cuore, soffermandolo nella sua fede amorosa al punto da fissarsi nel nuovo viso della donna.
L’amore è, come sempre, da lontano e si accresce nell’immaginazione e allora ecco che giunge Amore a consolare il poeta.
Proprio l’ultimo verso anticipa una soluzione di un sonetto petrarchesco molto famoso: Solo et pensoso, il quale termina con questi tre versi: «Ma pur sí aspre vie né sí selvagge / cercar non so ch’Amor non venga sempre / ragionando con meco, et io co’llui». È un finale molto simile, se ben guardiamo, in cui l’Amore interviene a parlare con il poeta: nel caso di Cino per consolarlo, in Petrarca per tormentarlo (è una visione più esistenziale e sofferta, quella di Petrarca).
4.1La donna cantata da Cino da Pistoia
Come Dante per Beatrice, o Laura per Petrarca anche Cino da Pistoia scriveva dell’amore per la donna tanto amata, uno dei temi più ricorrenti e cari dello Stilnovo. Per Cino da Pistoia la donna cantata era Selvaggia dei Vergiolesi nobildonna vissuta fra il 1200 e il 1300. Tale Selvaggia è presente in numerosi componimenti del poeta toscano che ha così tramandato la sua storia nella tradizione popolare e letteraria nel corso del tempo. Selvaggia ha vissuto nell’epoca in cui a Pistoia infuriava la lotta tra guelfi e ghibellini, fazione di cui faceva parte la famiglia della giovane donna. Per sfuggire alle violenze dei rivali, Selvaggia dovette rifugiarsi per molto tempo nella Rocca di Poggio di Marco, vicino a Piteccio. Dopo un assedio la rocca fu abbandonata e data alle fiamme. La donna riuscì a scappare raggiungendo prima il castello di Batoni e poi quello di Sambuca, dove morì nel 1313.
Leggiamo un’altra poesia, il sonetto II:
Testo
Tutto mi salva il dolce salutare
che vèn da quella ch'è somma salute,
in cui le grazie son tutte compiute:
con lei va Amor che con lei nato pare.
E fa rinovellar la terra e l'âre,
e rallegrar lo ciel la sua vertute;
giammai non fuor tai novità vedute
quali ci face Dio per lei mostrare.
Quando va fuor adorna, par che 'l mondo
sia tutto pien di spiriti d'amore,
sì ch'ogni gentil cor deven giocondo.
E lo villan domanda: «Ove m'ascondo?»;
per tema di morir vòl fuggir fòre;
ch'abbassi li occhi l'omo allor, rispondo.
Parafrasi
Questa poesia è invece, come potrai notare più simile a un’altra che conosci bene: Tanto gentile e tanto onesta pare, contenuta nella Vita nova di Dante e dedicata a Beatrice. Qui il tema è la «salute» che giunge dal saluto della donna, che si accompagna all’Amore, e che rigenera tutto quanto è intorno a lei, come la terra e l’aria e il cielo, mostrando il miracolo di Dio: «giammai non fuor tai novità vedute / quali ci face Dio per lei mostrare». Dante aveva scritto: «E par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare». Suona familiare, vero? Quindi possiamo ribadire il concetto: Dante ritiene Cino un grande poeta e lo elogia nel De vulgari eloquentia; lo indica come esempio di eleganza e raffinatezza stilistica in volgare; anche da un punto di vista tematico si scorgono affinità; in più alcune soluzioni formali e il dedicarsi alla poesia d’amore in modo esclusivo anticipano la sensibilità di Petrarca.
5Lectura in codicem: un glossario della giurisprudenza antica
Cino da Pistoia fu l’iniziatore della scuola dei commentatori proprio grazie al suo commento sui primi nove libri del Corpus iuris civilis. Cino in Francia aveva studiato alla scuola di Pierre de Belleperche e si era appunto specializzato in quell’opera somma della giurisprudenza antica. Il commento seguiva una serie di passaggi molto rigorosi:
- si inizia con una premessa per delimitare i confini dell'argomento da affrontare e si definiscono bene le fonti;
- si procede con un'analisi del testo che sarà diviso nei suoi elementi fondamentali;
- si ricompone il testo nella sua unità;
- si offrono degli esempi così da rendere agevole il passaggio dalla teoria alla pratica;
- si rilegge attentamente;
- si cerca la ratio della norma, cioè perché è stata creata e quali obiettivi si pone;
- il commentatore segnala le sue annotazioni personali, magari operando dei collegamenti con altri passi;
- si affrontano le obiezioni preparando un’interpretazione per quanto possibile univoca.
Queste operazioni furono poi esemplificate secoli dopo nel distico dell’umanista Matteo Gribaldi Mofa, un importante giurista italiano: «Praemitto (1), scindo (2), summo (3), casumque figuro (4),/ perlego (5), do causas (6), connoto (7) et obiicio (8)».
In quest'opera, l'autore offre un'interpretazione e un'analisi giuridica dei testi del Codice, che regolavano il diritto civile romano. La Lectura in codicem è un esempio di lavoro tipico dei glossatori e dei commentatori medievali, che cercavano di spiegare e adattare le leggi dell'antica Roma alle esigenze del loro tempo.
Cino da Pistoia combina l'approccio tecnico del giurista con elementi di filosofia e teologia, cercando di conciliare la tradizione giuridica romana con i principi del diritto comune medievale. La sua opera fu particolarmente influente nella formazione del diritto civile europeo e contribuì alla diffusione della cultura giuridica romana nel Medioevo.
6Conclusione
Molti letterati italiani saranno iniziati giovani agli studi di giurisprudenza prima di dedicarsi alla letteratura: su tutti possiamo citare l’esempio di Petrarca. Presto questi poeti abbandonano la giurisprudenza per abbracciare totalmente la letteratura. Cino è tra i pochissimi che aveva primeggiato in entrambe le discipline, mostrandosi come un intellettuale straordinario e un grande uomo dotto. Ma in lui, cosa più importante, è una genuina e geniale vena poetica, capace ancora oggi di stupirci per bellezza, armonia ed eleganza.