La Cina e la grande rivoluzione culturale: storia e caratteristiche
Indice
1La Cina di Mao ed il fallimento del “grande balzo”
L’avvio della destalinizzazione in Unione Sovietica favorì una maggiore autonomia della Repubblica popolare cinese. All’atto della sua proclamazione, nel 1949, la Repubblica popolare contava mezzo milione di abitanti e quattro quinti di essi erano contadini; anche per una questione d’arretratezza quindi, almeno nei primi passi, la Repubblica non poteva che essere strettamente legata al paese guida del comunismo internazionale.
I nuovi margini nella libertà d’azione non coincisero con dei successi immediati, ma sfociarono in una fase d’assestamento politico caratterizzata da un agognato rilancio dell’economia, le cui difficoltà sono state ricostruite dal politologo Stuart Schram in un volume del 1966: ‹‹In questo campo, come nella sfera della politica agraria, [i dirigenti del Partito] stavano avviandosi a liberare le forze individualiste latenti in una società precapitalista e a usarle per distruggere le basi di questa società, prima di procedere a un ulteriore stadio della collettivizzazione. I progressi furono lenti in tutti e due i campi, con una resistenza particolarmente forte nella sfera dei rapporti famigliari›› (S. Schram, Mao Tse-tung e la Cina moderna).
- Tutto Storia: schemi riassuntivi e quadri di approfondimento
Per conoscere e ricordare i concetti, gli eventi e i principali avvenimenti della storia dalle origini a oggi.
Quel tentativo fu successivamente rilanciato con alcune parole d’ordine: il “grande balzo in avanti”. L’espressione, coniata nel 1958, fissava l’ambizioso progetto del raddoppio annuale della produzione agricola e industriale. Il programma includeva dei cambiamenti sociali di portata non indifferente: le cooperative rurali furono sostituite dalle comuni di popolo, amministrate da un organo elettivo e autonomo che regolava l’azione delle brigate di produzione e delle squadre di base. Le comuni avevano una caratteristica unica nel genere:
- erano composte da contadini di uno stesso villaggio,
- i lavoratori erano retribuiti in base agli obiettivi di produzione ottenuti dalla squadra.
Le comuni divennero ben presto delle unità amministrative che gestivano industrie e comprendevano servizi: istruzione e sanità soprattutto, per un numero di abitanti che in alcuni casi toccò la quota di 100.000. Il modello pianificato si rivelò però fallimentare, anche a causa dei cattivi raccolti nelle annate tra il 1958 e il 1960. La produzione crollò e la prima conseguenza fu un’accentuata mortalità per denutrizione; si calcola che morirono circa 20 milioni di persone per malattie correlate alla scarsissima alimentazione.
Il Partito comunista aveva rafforzato il proprio potere attraverso le comuni ma, complice un rigido settarismo, aveva sostenuto un livellamento verso il basso della qualità di produzione, provocando un immobilismo sociale tale da aver ridotto l’economia ad un sistema dominato dagli scambi di sussistenza.
Al fallimento delle ricette economiche si aggiunse il contrasto sempre più aspro con l’URSS che tra ’59 e ’60 richiamò a Mosca i tecnici economici sovietici infliggendo un colpo durissimo alla già provata economia cinese. Come se non bastasse, Mosca rifiutò qualsiasi aiuto nel campo nucleare, il che non impedì ai cinesi di elaborare una propria programmazione atomica, culminata nell’esplosione di un ordigno nucleare nel ’64.
2La “rivoluzione culturale”: caratteristiche e protagonisti
Il dissidio tra URSS e Cina, che avrebbe provocato dei piccoli scontri armati lungo il fiume Ussuri ai confini fra Siberia e Manciuria (1969), fu alla base dei cambiamenti che avvennero in Cina tra ’66 e ’68. Il fallimento del “grande balzo” aveva infatti generato un terremoto interno al Partito, dando spazio alle componenti più moderate che facevano capo a Liu Shao-chi, uno dei rivali del grande timoniere, guida della Repubblica popolare, Mao Zedong.
Quest’ultimo, consapevole di non avere il controllo assoluto del Partito, predispose una forma di lotta politica inedita nella storia cinese, anche grazie al sostegno del ministro della Difesa Lin Piao: spinse le generazioni più giovani ad una ribellione contro i “vecchi” del Partito che furono accusati di aver intrapreso la “via capitalistica”. Quella mobilitazione è ricordata come la “rivoluzione culturale”: una rivolta dai caratteri apparentemente spontanei, ma in realtà guidata dalle alte sfere del Partito.
Nei luoghi di lavoro o istituzionali, come ad esempio le scuole, professionisti e professori vennero posti sotto accusa dalle guardie rosse, in maggioranza studenti, che impugnando il Libretto rosso, denunciavano le attività di migliaia di individui che furono, non di rado, internati nei “campi di rieducazione”.
L’obiettivo dei maoisti era di innescare un cambio della mentalità collettiva come primo passo di un’autentica rivoluzione comunista. Sull’esempio cinese, anche nell’Europa occidentale molti movimenti giovanili teorizzavano un cambiamento radicale, mentre nella Repubblica popolare le contestazioni si esaurirono in due o tre anni. Era il tempo necessario a Mao per sbarazzarsi dei nemici più in vista, come Liu Shao-chi, suo rivale, che morì a seguito di una dura prigionia.
3Ritorno all’ordine
A partire dal 1968, lo stesso Mao impose un arretramento al movimento da lui ideato, che aveva provocato la morte – secondo stime recenti – di circa un milione di persone. Naturalmente, i costi umani non erano la principale motivazione del passo indietro richiesto dal leader comunista, che era invece preoccupato per le spaccature interne al Partito. Le guardie rosse furono a quel punto allontanate dai centri urbani nel tentativo di evitare il caos economico.
In quella nuova fase riguadagnarono posizioni alcuni dirigenti di Partito che si erano esposti con attenzione durante i momenti più duri della rivolta; tra questi spicca Chou En-lai, che aveva ricoperto la carica di primo ministro, nonché di rappresentante della Cina nello storico incontro internazionale di Bandung.
Fu una conferenza dei paesi non allineati, in cui le nazioni afroasiatiche avevano affermato con forza in un manifesto programmatico che ‹‹tutti i popoli devono godere del diritto di autodecisione, e la libertà e l’indipendenza devono essere accordate senza indugio a tutti quei popoli che ne sono privi. Tutte le nazioni dovrebbero avere il diritto di scegliere liberamente i loro sistemi politici e economici e il loro modo di vita in conformità agli scopi e ai princìpi della Carta delle Nazioni Unite›› (G. Vedovato, Decolonizzazione e sviluppo).
Non a caso, fu proprio Chou En-lai, l’uomo del dialogo, a dare inizio nel ’70 ad un’apertura diplomatica considerata necessaria visto l’isolamento in cui Pechino era nuovamente caduta. Visto che i rapporti con l’Urss restavano tesi, fu avviavo un dialogo con l’altra potenza egemone: gli Stati Uniti.
L’esempio migliore del nuovo scenario è certamente il viaggio in Cina del presidente USA Richard Nixon, suggellato dall’ammissione della Repubblica popolare all’ONU a discapito del nemico storico della Cina comunista: la Repubblica nazionalista di Taipei (Taiwan) di cui era capo Chiang Kai-shek, il generale che aveva guidato la fazione nazionalista sconfitta contro i comunisti durante la guerra civile (1927-1949).
Nell’autunno 1971 il maresciallo Lin Piao, erede designato di Mao, scomparve in un incidente avvolto nel mistero e su di lui fu successivamente architettata una campagna per screditarne la figura. Con questo episodio, ancora oggi avvolto da nubi, si chiuse la rivoluzione culturale.
La Cina intraprese un nuovo percorso con la morte di Mao e di Chou En-lai (1976) e con Deng Xiaoping furono varate riforme interne che il nuovo leader riassunse al meglio in poche frasi: pianificazione e forze di mercato non rappresentano l'essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c’è una pianificazione anche nel capitalismo; l'economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell'attività economica (John Gittings, The Changing Face of China).
Quella nuova strada diede dei risultati ottimi (con altissimi costi umani) sotto l’aspetto degli indici economici, ma non coincise in alcun modo con una reale democratizzazione del sistema.