Chiesa, monarchie e Impero nel Medioevo
Indice
1Organizzazione della Chiesa durante il Medioevo
Il sistema feudale europeo abbracciava l’intera società medievale. La morsa che stringeva gli uomini poteva essere forte o debole, ma tutti, direttamente o indirettamente, ne subivano le conseguenze.
Il quadro politico generale del tardo Medioevo era animato da differenti poteri che convivevano all’interno del sistema. Dagli equilibri di quei rapporti nacque l’assetto politico dell’Europa medievale che comprendeva fondamenti e caratteristiche inedite. Per comprendere la portata del fenomeno, è necessario analizzarne le caratteristiche, a partire dal potere papale.
La Chiesa era concepita come un’istituzione creata per volontà divina, di cui facevano parte coloro che erano stati battezzati, dall’imperatore all’ultimo dei contadini.
Anche se in Europa resistevano delle forme di religiosità pagana, specie nelle campagne, il cristianesimo nel XIII secolo aveva infatti “conquistato” quasi la totalità delle popolazioni. Ad eccezione degli ebrei, quasi tutti nel vecchio continente avevano ricevuto il primo sacramento dell’iniziazione cristiana. Mediante quel rito, il fedele entrava nella comunità e ne doveva seguire alcune regole che per l’uomo d’oggi, abituato a differenziare il mondo in categorie politiche, religiose e economiche, è molto difficile comprendere.
- Tutto Storia: schemi riassuntivi e quadri di approfondimento
Per conoscere e ricordare i concetti, gli eventi e i principali avvenimenti della storia dalle origini a oggi.
In sintesi, la religione diveniva qualcosa di totalizzante nelle azioni umane: l’essenza stessa della fede stava proprio nel seguire quei dettami, che servivano a meritare la vita eterna. Su questioni così elevate per l’anima, poteva pronunciarsi solo il vescovo di Roma, il papa, che era al vertice della Cristianità. Il papa era a mezza via tra Dio e l’uomo, essendone l’intermediario tra le cose terrene e il cielo. Il potere papale aveva una natura teocratica: non di origine umana, ma divina.
1.1Il rapporto tra potere spirituale e potere temporale
Da questi fondamenti del potere pontificio derivavano inevitabilmente gravi conseguenze sui rapporti tra il pontefice e le altre autorità, tra cui i sovrani. Per la concezione papale, questi erano sulla terra per debellare le illegalità, ma spettava solo al papa discernere il bene dal male. In questa visione c’era una forte connessione tra fede e diritto: confidare nella bontà divina del papa, significava accettare serenamente le sue leggi, che regolavano non solo l’esistenza delle anime, ma scandivano lo scorrere della vita in società.
Inoltre, la forza del papato stava nell’eccezionale capacità organizzativa. Il pontefice governava direttamente sui territori di Lazio, Umbria, Marche e Romagna e parte dell’Emilia. Il fondamento giuridico di quei domini risiedeva nella donazione dell’imperatore romano Costantino, un documento che si sarebbe rivelato un falso. In quanto autorità con pretese di controllo universale, il papa dirigeva una struttura complessa che aveva il suo centro nella Curia romana: il più importante collegio di questa era il Collegio dei cardinali, a cui spettava l’elezione dei pontefice dalla metà dell’anno Mille.
Tra i poteri episcopali, spiccava quello del vescovo, che controllava il territorio di competenza ed avevano un potere simile a quello dei signori laici, che andavano dall’amministrazione della giustizia alla richiesta di imposte. Erano figure così rilevanti che ‹‹il nodo stesso delle questioni pendenti fra l’Impero e il papato era costituito in massima parte dalle elezioni vescovili e dalla necessità di precisare con esattezza la dipendenza gerarchica del vescovo e la estensione dei suoi poteri›› (Raffaello Morghen, Libertas ecclesiae e primato romano nel pensiero di Gregorio VI, in Medioevo cristiano, Laterza, Bari, 1951).
Una corretta amministrazione del potere vescovile conferiva stabilità alle chiese locali, tuttavia, molto spesso, a questa solidità non corrispondeva la buona salute delle casse del pontefice, a cui il vicario di Cristo attingeva costantemente per far fronte alle ingenti spese di mantenimento dell’esercito e del personale amministrativo.
2Il potere monarchico nel Medioevo
Il potere del pontefice avrebbe presto fatto i conti con l’affermazione di una dottrina dualista che separava nettamente le logiche temporali, riguardanti la caducità delle cose terrene, da quelle spirituali che facevano riferimento al divino. Nacque così, in quella fase, un’aspra competizione tra monarchie e Chiesa; anche se, tra la monarchia teocratica e il papato c’erano diverse similitudini, soprattutto per quanto concerneva il rapporto tra sovrano e sudditi.
Secondo una visione del mondo comunemente accettata nel Tardo Medioevo, il popolo era stato affidato al sovrano da Dio. Tuttavia, mentre per i papi trovare un fondamento biblico per il proprio potere era relativamente semplice, per i sovrani le difficoltà erano molteplici. Non ultimo, era complicato eludere un dato di fatto: l’unzione regia, con la quale il re veniva consacrato nelle sue funzioni, era garantita dagli ecclesiastici. L’evento palesava che tra il sovrano e Dio esistevano degli intermediari, mentre tra papa e Dio non esisteva un tramite.
La funzione teocratica del sovrano medievale, pur notevole, aveva un precursore rintracciabile nel supremo signore feudale. In questo caso, non bisogna dimenticare che i rapporti feudali avevano una base contrattuale: tra il sovrano e i vassalli si stipulava un contratto a cui doveva corrispondere un rispetto reciproco, ed in cui anche la religione giocava un ruolo importante. Lo stesso sovrano doveva essere degno dell’obbedienza dei sottoposti.
La storia delle monarchie europee, durante gli ultimi secoli del Medioevo e i primi dell’età moderna, sarà segnata dal penalizzante dualismo di funzioni. Gli sviluppi saranno diversi a seconda delle realtà diverse: la monarchia inglese accentuerà l’aspetto feudale del potere, a differenza di quella francese, in cui si rafforzerà il carattere teocratico.
3Il potere dell’Impero durante il Medioevo, i rapporti tra Stato e Chiesa
L’idea che l’Europa cristiana potesse raccogliere l’eredità della Roma carolingia non tramontò con la fine dell’Impero carolingio. Nel 962, Ottone I di Sassonia, ricompose il Regno di Germania cingendo la corona del Regno d’Italia. Da imperatore ottenne dal papa il privilegio che il titolo spettasse ai principi tedeschi, segnando così il momento di fondazione del Sacro Romano Impero che scomparirà solo con l’avanzata di Napoleone Bonaparte nel 1806.
L’incoronazione imperiale legittimava le aspirazioni di un potere universale, tuttavia gli imperatori dovettero confrontarsi sul suolo tedesco con un particolarismo accentuato, mentre nella penisola italiana subirono, da una parte il crescente peso delle autonomie comunali nell’Italia centro-settentrionale, dall’altra l’ostilità della potenza normanna nel meridione.
Chiesa ed Impero avevano naturalmente visioni contrastanti per quel che concerne il potere imperiale: gli imperatori germanici si consideravano gli eredi dell’Impero romano, ma nella visione del pontefice non erano altro che semplici araldi della Chiesa. Allo stesso modo, anche gli imperatori bizantini reclamavano – con una pretesa più fondata – l’eredità romana, ricevendo in cambio un trattamento anche peggiore da parte dei pontefici, per i quali a Bisanzio regnava un re greco.
Ancor più che nelle rivendicazioni simboliche, lo scarto tra potere imperiale e papale ebbe risvolti significativi nella lotta per le investiture che riguardava il diritto o meno di attribuire dei benefici ecclesiastici. Uno degli esempi migliori è dato dalla scomunica, ad opera di Gregorio VII, dell’imperatore Enrico IV di Franconia. In quell’occasione l’imperatore fu privato dell’obbedienza dei sudditi e feudatari. A cinquant’anni da quel conflitto, il Concordato di Worms sancì il diritto dei pontefici di concedere i privilegi ecclesiastici.
In Italia invece l’investitura spirituale continuava a precedere quella laica, redendo centrale la figura del papa. La tensione ebbe manifestazioni di lotta politica accese, ad esempio nello scontro tra ghibellini (difensori dell’Impero) e guelfi (fautori della Chiesa romana). Col tempo, quelle distinzioni idealistiche, persero di significato, finendo per qualificare semplicemente due fazioni: una tipica espressione dell’Italia comunale dominata dal bipolarismo.
A fianco dei poteri monarchico, imperiale e papale, esisteva anche una forma di potere comunale che guadagnava consensi tra i membri delle comunità, affermandosi intorno all’anno Mille. L’origine del comune fu diversa per ciascuna regione europea, ma ebbe un tratto comune nella contrapposizione alle vecchie autorità feudali da parte di mercanti, artigiani e proprietari terrieri. Nelle regioni dell’Italia settentrionale, l’istituzione comunale si diffuse con particolari connotati tra cui spiccava uno spirito di fazione e una tendenza al controllo dei territori al di fuori delle mura della città.