Capinera e Monaca di Monza: confronto
Capinera e Gertrude, la Monaca di Monza: confronto tra le personalità delle due religiose descritte da Giovanni Verga e Alessandro Manzoni
Indice
Capinera e Monaca di Monza: confronto
Scrivi un testo che metta a confronto Gertrude - descritta da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi - e Maria - descritta da Giovanni Verga in Storia di una capinera - soffermandoti su questi punti:
- Rapporto con il padre
- Rapporto con dio e la fede
- Rapporto con il convento
- Rapporto con il mondo esterno
- Sentimento dell'amore
È possibile proporre un confronto tra la Monaca di Monza manzoniana e Maria, la protagonista del romanzo Storia di una capinera di Verga.
Entrambe le donne sono succubi di una società in cui la figura paterna esercita il proprio volere determinando la vita dei figli che non hanno, così, la possibilità scegliere il proprio futuro. Destinate, dunque, ad una vocazione obbligata, le novizie si allontanano dal convento per un periodo prima di prendere i voti. Gertrude, perché la formazione da monaca consisteva anche nel dover trascorrere un mese presso la casa paterna prima di intraprendere la vita di clausura; Maria, invece, si era trovata costretta a rifugiarsi nella tenuta familiare in campagna sul Monte Ilice dal momento che a Catania era scoppiata un'epidemia di colera.
Rapporto con il padre
Maria ama suo padre con tenerezza, sebbene arrivi a conoscerlo con confidenza solo quando, all'età di vent'anni, torna presso la casa natia. La ragazza capisce come il “babbo” ami di più la figliastra Giuditta, a cui dona tutto il proprio affetto; ma, nonostante questo, trova conforto nell'avere accanto il suo “vecchio” quando passeggia nel bosco e ama la premura con la quale egli le si rivolge, preoccupandosi di non rimproverarla in modo tale che si possa svagare. Condividendo la vita domestica con il genitore, Maria se ne affeziona nonostante tra i due ci sia sempre una sorta di imbarazzo e, contemporaneamente, da parte della ragazza, la ricerca di protezione in ogni suo sguardo e gesto.
Quando, però, Maria è costretta a tornare in convento, logorata dal suo dissidio interiore, il padre ignora la sofferenza della figlia, a causa della sua cecità.
Il padre della monaca di Monza, invece, incarna perfettamente l'immagine del nobile secentesco, padre dispotico che tramanda l'intero patrimonio al figlio primogenito, secondo la regola del maggiorascato, mentre agli altri riserva un destino di clausura. L'uomo sottopone perciò Gertrude ad una pressione psicologica tale da renderla incapace di reagire; le bambole raffiguranti suore e le continue allusioni al futuro in convento segnano l'infanzia della ragazza. Questi gesti non fanno altro che far leva sui sentimenti infantili: il desiderio di compiacere i propri genitori, l'ossequio che si riserva nei loro confronti, il timore di errare.
Anche dopo aver trovato il coraggio di opporsi ad un destino che non accetta, Gertrude è ancora una volta costretta a mettere a tacere i propri sentimenti lasciando che il padre prevarichi infondendole ansia penosa ed incertezza. Manzoni rende esplicita la spietatezza del personaggio e la divergenza tra il principe e il padre nell'inciso: “Non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre”. L'uomo infierisce sadicamente sulla figlia: ne fa la vittima di un sacrificio cui ha dato “un'apparenza di bene” quando Gertrude, dopo la vicenda del paggio, è ormai compromessa per essere data in moglie ad un gentiluomo.
Nel momento in cui la ragazza acconsente a prendere i voti, opportunisticamente, il padre le concede una breve tenerezza che non è più fittizia ma “in gran parte sincera”, con un “giubilo” che sgorga dal cuore e fa cadere la maschera della “gravità consueta”. L'autore pone dunque in luce nel “guazzabuglio del cuore” il gioco delle contraddizioni, la mescolanza degli affetti che restano anche nelle coscienze più indurite. Così proprio all'ultimo atto, il principe può tornare per un momento ad essere padre e la sua prepotenza si muta in commozione.
Rapporto con Dio e con il convento
L'avvicinamento forzato a Dio di entrambe le ragazze fa in modo che esse abbiano un rapporto piuttosto interlocutorio con la propria fede e, soprattutto, non autentico e sincero. Maria ama il Signore, ma nel suo cuore desidera intensamente dedicare tutto il proprio amore al signor Nino, affascinante ragazzo che aveva conosciuto presso la tenuta del padre. Il pensiero dell'amato non abbandona mai Maria, la quale si tormenta sentendosi colpevole e irrispettosa verso l'unico a cui dovrebbe dedicare il proprio cuore: Dio. La ragazza perde il senno, le preghiere non risultano efficaci, nonostante per un periodo sembra che la situazione migliori. Maria tenta di raggiungere Dio con la ragione, imponendosi di desiderare null'altro al mondo, ma il suo totalizzante sentimento d'amore è irreversibilmente indirizzato verso signor Nino. Invece, Gertrude, una volta diventata monaca non sa ricorrere alla fede per trovare la pace interiore e continua a sperare in una vita diversa. La giovane non ha la forza di rifiutare il male. Come afferma Manzoni, è possibile subire il male senza volerlo, ma non è mai possibile compierlo senza esserne responsabili. La monaca, oltre a non accettare pienamente la vita religiosa, vive la menzogna, il delitto ed il peccato di amare un uomo, in un luogo destinato alla fede. In esso, sebbene sia trattata come una principessa poiché proveniente da una nobile famiglia, non stringe relazioni profonde con le consorelle e si isola.
Rapporto con il mondo esterno
Il ritratto che ne dipinge Manzoni, languidamente appoggiata alla grata della finestra, rende perfettamente lo stato d'animo della ragazza che si sente intrappolata in quel vestito nero che ha stretto in vita, tra quelle mura che disprezza. Al contrario, Maria non nutre il medesimo sprezzo di Gertrude ma, paragonata da Verga ad una capinera in gabbia, si sente privata della propria libertà di amare. Teme di diventare come la suora pazza che aveva vissuto nella sua stanza, è quasi il suo alter ego, ma non lo accetta, nonostante si renda conto di non poter sopportare l'oppressione della clausura. Maria desidera vivere in quella natura spettacolare della campagna del Monte Ilice, con la sua famiglia, con suo padre, con il signor Nino. Ma dalla sua finestra può vedere solamente nel salotto della casa di fronte, dove sua sorella vive sposata con il signor Nino e può solo sperare si intravedere la figura dell'amato dietro le tende, sapendo di non poterlo avere.
L'amore di Gertrude, invece, è solamente influenzato dalla scelta obbligatale dal padre: farsi suora.
La donna diventa quindi ribelle e sempre più riluttante nei confronti delle idee del padre. Il carattere indomabile di Gertrude è sottolineato anche nella descrizione del suo aspetto fisico negletto. La donna prima subisce, poi viene travolta dalle passioni che la porteranno al peccato. Manzoni le attribuisce un carattere peccaminoso e ribelle, simbolo di ideali anti-cristiani. L'amore della monaca è violento ed irrazionale. Questa agisce come se le sue azioni rispecchiassero una vedetta nei confronti del genitore, ma il suo amore passionale è peccato. È appunto l'essere irrazionale che la porta fuori strada compiendo azioni non dettate dall'amore, ma dall'odio. Il sentimento di Maria è, invece, autentico. Ella è in conflitto con sé stessa, proprio perché non è in grado di contenere la propria passione che la strugge e le dilania l'anima. La sua sofferenza implode, distruggendo la ragazza che, priva di forze, si abbandona alla morte.
La storia di Gertrude, la Monaca di Monza: ascolta la puntata del podcast
Se vuoi conoscere meglio la storia di Gertrude, la Monaca di Monza, ascolta la puntata del nostro podcast sui Promessi Sposi, che riassume i capitoli 9 e 10 del libro:
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