Canto XXX del Purgatorio di Dante: testo, parafrasi, commento e figure retoriche

Canto 30 del Purgatorio di Dante: testo, parafrasi e figure retoriche. Riassunto e analisi del canto XXX, dove si trovano le anime degli avari e dei prodighi
Canto XXX del Purgatorio di Dante: testo, parafrasi, commento e figure retoriche
getty-images

1Introduzione al Canto XXX: sintesi e schema narrativo

Apparizione di Beatrice nel canto XXX del Purgatorio
Apparizione di Beatrice nel canto XXX del Purgatorio — Fonte: getty-images

Il Canto 30 del Purgatorio di Dante rappresenta un nodo cruciale dell'intero impianto della Commedia. Le scelte lessicali, le citazioni latine ed i latinismi, i riferimenti alla cultura biblica e pagana, le metafore pervasive e quasi ermetiche, danno all'intera cantica un tono aulico che esalta la solennità dell'evento narrato: la comparsa di Beatrice, momento fondamentale dell'intero Canto. L'apparizione della donna segna il primo punto d'arrivo nel percorso di redenzione dantesca: al suo arrivo, a seguito dell'invocazione dei vegliardi, Virgilio scompare, mentre Dante va incontro al suo momento catartico, l'espiazione delle colpe attraverso il pianto con cui si chiude il Canto ed un'intera fase dell'opera, cominciata con l'ingresso del poeta nella selva oscura.   

1.1Inizio del canto

Il XXX Canto del Purgatorio si apre con la fine della processione dei sette candelabri, che aggancia la narrazione direttamente al Canto precedente quasi continuandola. Già questa prima fase (vv. 1-21) è caratterizzata da un tono teso e solenne che proseguirà pe tutto il canto e si chiude con l'invocazione di Beatrice da parte di uno dei ventiquattro anziani della processione, che inizia a cantare «Veni, sponsa de Libano», preghiera tratta dal Cantico dei cantici

I versi 22-54 raccontano la comparsa di Beatrice, un momento già preannunciato nei canti XXVII e XXIX. Questa appare tra i cori dei ventiquattro anziani e tra i lanci di fiori degli angeli; la sua stessa figura viene caricata da Dante di forti elementi simbolici e cristologici: al v. 19, la frase «Benedictus qui venis» è la stessa che si ritrova nei Vangeli (Mc 11,10 ma anche Gv 12,13; Lc 19, 38; Mt 21,9) e che viene intonata dagli abitanti di Gerusalemme quando il Cristo entra in città; il v. 21, invece, riprende il v. 882 del VI libro dell'Eneide, dove Anchise piange Marcello, il nipote di Augusto, altra citazione che accentua la carica sacrale di quella che appare come una vera e propria cerimonia. Quando finalmente appare (v.32), Beatrice ha il viso coperto ma, per una forza misteriosa, viene riconosciuta dal poeta che, turbato, si gira per trovare conforto in Virgilio che, però, è scomparso

Comincia così il rimprovero di Beatrice (vv. 55-81), che si rivolge in maniera dura e diretta a Dante: al v. 55, si legge il nome del poeta e protagonista per la prima ed unica volta nell'intero poema. La donna lo fissa con sguardo altero, rivela finalmente la propria identità e gli chiede come abbia osato arrivare fino al Paradiso Terrestre, luogo di felicità per gli uomini. Dante non riesce a sostenere lo sguardo della donna ed abbassa il suo, ma vede il suo volto riflesso nelle calme acque del Lete.

1.2Il rimprovero di Beatrice

Dante Alighieri
Dante Alighieri — Fonte: getty-images

Il quarto momento del canto (vv. 82-99) è, insieme la terzo, il nodo centrale della cantica, in cui al rimprovero di Beatrice segue il pentimento di Dante. Dopo aver duramente redarguito il poeta, Beatrice tace mentre Dante è impietrito nelle acque del Lete. Gli angeli allora iniziano a cantare il Salmo XXX «In te, Domine, speravi» col quale intercedono per lui verso Beatrice, e le lacrime del poeta, trattenute come fossero ghiaccio, si sciolgono in un pianto prorompente.

L'ultima parte del canto 30 del Purgatorio (vv. 100-145) scioglie finalmente la tensione accumulata con la solenne apparizione della donna ed il suo severo rimprovero. Beatrice risponde alla richiesta d'intercessione angelica spiegando che la sua durezza nei confronti di Dante deriva dal fatto che questi, pur avendo egli mostrato in gioventù di avere in potenza grandi virtù e capacità, in quanto favorito dagli influssi delle stelle e da una particolare grazia divina, dopo la sua morte preferì seguire altre donne, rifiutando la sua bellezza e preferendole quella di altre immagini illusorie: una scelta che, a lungo andare, lo portò a traviarsi. Per salvarlo non c'era altro modo che mostrargli l'Inferno, e così si recò da Virgilio nel Limbo per pregarlo di accompagnare Dante nel suo viaggio nei primi due regni: ma per continuare il suo viaggio Dante, ora, deve pentirsi e piangere.  

La Cantica, quindi, può essere suddivisa in cinque differenti momenti:

  1. Prima parte (vv. 1-21): introduce il canto agganciandosi alla fine del canto precedente. Questa parte prepara l'arrivo di Beatrice.
  2. Seconda parte (vv. 22-54): tra canti ed una pioggia di fiori appare Beatrice. Dante, smarrito, cerca Virgilio, che però è sparito.
  3. Terza parte (vv. 55-81): Beatrice ammonisce Dante duramente, rimproverandogli la sua presenza nel Paradiso Terrestre.
  4. Quarta parte (vv. 82-99): gli angeli intercedono per Dante presso Beatrice. Dante scoppia in lacrime.
  5. Quinta parte (vv. 100-145): Beatrice spiega che il motivo della sua severità è che, dopo la sua morte, Dante ha smarrito la strada della salvezza, al punto da rendere necessario il viaggio che sta compiendo.

2Figure retoriche e simbolismi

Il tono alto, aulico, a tratti sacrale che connota l’intera cantica si regge sull’uso continuo di figure retoriche ed immagini simboliche che rinviano ad un piano di significati diversi e complessi.

La cantica si apre con la fine del corteo dei sette candelabri (vv. 1-6) cominciata al Canto XXIX, un'immagine dall'alto valore simbolico che Dante riempie di ulteriori significati e differenti piani di lettura già a cominciare dal v.1, dove il 'settentrïon' va letto come parola di derivazione latina da septem triones, cioè 'sette stelle', che sdoppia il piano metaforico legato ai candelabri che, oltre a rappresentare i sette doni dello Spirito Santo (sapienza, consiglio, intelletto, pietà, fortezza, scienza e timor di Dio), diventano anche immagine delle sette stelle della costellazione dell'Orsa minore che guida i viaggiatori e i marinai.

Ai vv. 13-18 si trova un'altra potente similitudine, quando al canto dei ventiquattro anziani (vv.10-12) segue il sollevarsi degli angeli (v.18 'ministri e messaggier di vita etterna') che richiama lo scenario del Giudizio Universale, quando tutte le anime usciranno dai loro sepolcri cantando l'Alleluja

Lo stile del canto si nutre anche di allusioni e rimandi interni, come l'iterazione del nome di Beatrice al v. 73, che sembra rispondere e riprendere, con un ritmo più serrato, la ripetizione del nome di Virgilio nella terzina 49-51, che segna il momento in cui la figura del poeta latino scompare dalla narrazione del poema per lasciare il posto alla nuova guida.

Allo stesso modo va letta la metafora che descrive Beatrice come una madre ‘superba (v. 79) contrapposta al ‘dolcissimo patre’ (v. 50) che invece definisce Virgilio; in entrambi i casi il protagonista si dipinge come un bambino dapprima smarrito e poi avvilito dal rimprovero della severa figura materna. 

La fine della prima parte dell'invettiva di Beatrice contro Dante segna l’apice drammatico della cantica: dopo un inizio carico di tensione che prepara il solenne arrivo della donna angelicata ed il rimprovero di questa a Dante, arriva una fase di sospensione che comincia con il silenzio di Beatrice (v. 81 – 'Ella si tacque') davanti alla muta vergogna del fiorentino (vv. 76-78). Il silenzio, però, viene subito rotto dal coro angelico che intona i primi nove versi del Salmo XXX 'In te, Domine, speravi' che danno voce alla fiducia che i peccatori pentiti ripongono nel perdono di Dio: un modo per intercedere a favore del poeta presso la donna beata.

La sequenza narrativa è spezzata: il canto degli angeli si ricollega direttamente al salmodiare già incontrato nel coro dei ventiquattro anziani (v. 11) e in quelli degli angeli che preannunciavano la comparsa di Beatrice (vv. 19 e 21), e chiude questa parte del canto. 

La seconda si apre, come la prima, con una lunga metafora (vv. 85-93): Dante, mortificato dal rimprovero di Beatrice, resta immobile, ma l'ascolto del dolce canto angelico scioglie le lacrime del poeta che gli erano rimaste dentro, quasi fossero ghiacciate come la neve sugli appennini durante l'inverno. Anche questo passaggio può essere letto su più livelli, il più evidente dei quali è quello meramente narrativo: il pianto dirotto del protagonista, che resta in silenzio fino alla fine, apre la strada alla seconda parte del rimprovero di Beatrice, che spiega il motivo della sua severità verso di lui, avviando così il canto alla sua conclusione. Ma su un piano letterario rappresenta la prosecuzione di questa sorta di dramma sacro che racconta il travaglio psicologico di Dante, reso attraverso una similitudine naturalistica che rende, con un'immagine vivida, il suo evolversi sia su un piano emotivo che nella sua traduzione fisica.

La colpa, il peccato e la vergogna si sciolgono in un 'pentimento' (v. 145) che deve esprimersi attraverso le lacrime in ossequio ad un decreto divino la cui inosservanza impedirebbe il passaggio del Lete e la prosecuzione del viaggio (vv. 142-145).

In questo momento Dante è tanto protagonista della sua vicenda di personale redenzione quanto di quella collettiva dell’umanità, assolvendo, all’interno di questo Canto, come del resto in tutta la Commedia, al ruolo dell’everyman, protagonista di una vicenda esemplare per l’intera umanità.

3Beatrice tra realtà e stilnovo

Dante e Beatrice Portinari (La sua musa)
Dante e Beatrice Portinari (La sua musa) — Fonte: getty-images

Nella realtà storica Beatrice è Bice, figlia di Folco Portinari nata a Firenze nel 1266, sposa di Simone de’ Bardi, uno dei protagonisti della vita politica fiorentina dell’epoca. Muore nel 1290, all’età di soli ventiquattro anni. Nella storia letteraria, però, è diventata immortale come la donna amata da Dante

La poetica stilnovista, corrente di cui il giovane Dante era partecipe, rielabora il concetto letterario della donna-angelo già a partire da Guido Guinizzelli (cfr. Canto XXVI del Purgatorio) operando un’identificazione tra la donna e la bellezza che scaturisce da Dio, di cui la donna stessa diventa tramite, quasi come fosse un angelo la cui mediazione ha effetti benefici sul cuore degli uomini. Le donne stilnoviste non sono perciò da intendersi come figure individuali, né vengono raccontate come tali, esse sono invece descritte attraverso i sentimenti che suscitano negli uomini in quanto figure intermediarie della Grazia divina: in questo senso il sentimento amoroso viene inteso come uno strumento di perfezionamento interiore, mentre centrale diventa il tema del saluto della donna come gesto salvifico. 

Dante porta alla massima maturità espressiva tutti questi concetti attorno alla figura di Beatrice, che compare per la prima voltanella Vita Nuova, la prima opera attribuibile a Dante, una raccolta di liriche e prose in cui il poeta narra del suo amore per lei, che già dal nome, Beatrice, rivela la capacità di ‘rendere beati’. L’opera, che la critica divide tradizionalmente in tre parti, racconta dell’amore del giovane Dante verso Beatrice fino alla di lei morte; a seguito di quest’evento il poeta sembra trovare un nuovo amore in un’altra donna, ma poi la ragione lo induce a proseguire il suo primo amore, poiché solo attraverso di lei potrà giungere a Dio.  

3.1Beatrice nel simbolismo della Commedia

La Vita nuova, dunque, si conclude con il sonetto Oltre la spera che più larga gira che annuncia il ritorno di Dante all’amore per Beatrice di cui il poeta promette di «dicer di lei quello che mai non fue detto», frase che in molti leggono come un preludio alla Commedia. In effetti, quando Beatrice appare nel Canto XXX del Purgatorio, ci si pone davanti una figura complessa e densa di significati, annunciata e presentata da una serie di rimandi che si intrecciano e agiscono su una molteplice quantità di piani interpretativi. 

Già dal v. 9 si vedono i ventiquattro vegliardi, rappresentanti gli altrettanti libri del Vecchio Testamento (cfr. Canto XXIX, vv. 82-83), rivolgersi al carro simboleggiante quella Chiesa di Cristo ch’essi avevano profetizzato, e dal quale sorgerà Beatrice, che iniziano a cantare ‘Veni, sponsa, de Libano’ (v.11) un versetto del Cantico dei Cantici in cui l’esegesi biblica tradizionalmente individua un appello di Cristo alla Chiesa. 

Nello stesso ambito di significati vanno collocate le due invocazioni riportate direttamente in latino presenti ai vv. 19 e 21: il ‘Benedictus qui venisrivolto dai gerosolimitani al Cristo al suo ingresso in città, e che si ricollega direttamente all’altra citazione biblica al v.11, viene qui rivolto a Beatrice poco prima della sua apparizione; la citazione virgiliana al v.21 va intesa invece come un omaggio alla purezza di Beatrice che, in quanto personificazione della Teologia, merita l’omaggio dei gigli simboleggianti la purezza. 

Beatrice appare ai vv. 31-32: il capo coperto d’un velo bianco e cinto d’ulivo, albero sacro della dea Minerva, e vestita d’un abito rosso acceso e d’un manto verde. Questi tre colori, il bianco, il verde e il rosso, corrispondono a quelli delle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. 

Le prime parole della donna angelicata (v. 55 e sgg) e la prima parte del suo rimprovero a Dante ci presentano una figura estremamente lontana da quella della donna distante, muta ed eterea della Vita Nuova

Quella della Commedia è, invece, una figura concreta, dura, severa al punto di essere paragonata ad un ‘ammiraglio’ (v. 58) e capace di brandire ben ‘altra spada’ (v. 57) per far piangere il poeta. Da qui in avanti la figura di Beatrice si muove su un filo doppio, da una parte è la persona storica la cui dimensione reale viene riproposta e ricordata in diverse occasioni: quando ella ‘per occulta virtù’ si fa riconoscere da Dante come colei che ebbe amato in gioventù (vv. 37-42), o quando la stessa Beatrice intima al poeta di guardarla e riconoscerla (v. 73) o, infine, quando ancora lei fa esplicito riferimento alla sua morte (v. 125). 

L’altro filo, invece, è quello puramente simbolico che vede Beatrice come allegoria della Teologia. Nel percorso redentore di Dante la sua comparsa comporta la scomparsa di Virgilio (v. 49), che invece raffigura la ragione naturale la filosofia, incapace di proseguire il viaggio oltre la soglia del Paradiso Terreste e che, perciò, deve cedere il passo alla Teologia rivelata. Ma questa funzione allegorica si esplicita con la ripresa del rimprovero a Dante che inizia al v. 103 e si protrae fino alla fine della cantica, in una lunga arringa in cui Beatrice accusa Dante di aver seguito, dopo la sua morte, una ‘via non vera’ ed immagini false ed illusorie (vv. 121-132). La chiave di lettura allegorica suggerisce che qui Beatrice rimproveri a Dante l’aver fatto per troppo tempo affidamento alle filosofie e alle speculazioni umane trascurando lei, cioè la Teologia: un atteggiamento, quello di affidarsi troppo alla filosofia e al puro intelletto che, alla lunga, lo avrebbe condotto in un errore talmente tanto grave da non essere redimibile se non con il viaggio che Dante sta affrontando (vv. 136-138). 

4Canto XXX del Purgatorio: testo e parafrasi

Testo

Quando il settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d’altra nebbia che di colpa velo,

e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come ’l più basso face
qual temon gira per venire a porto,

fermo s’affisse: la gente verace,
venuta prima tra ’l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace;

e un di loro, quasi da ciel messo,
’Veni, sponsa, de Libano’ cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso.

Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando,

cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messagger di vita etterna.

Tutti dicean: ’Benedictus qui venis!’,
e fior gittando e di sopra e dintorno,
’Manibus, oh, date lilïa plenis!’.

Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l’altro ciel di bel sereno addorno;

e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l’occhio la sostenea lunga fïata:

così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,

sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.

E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch’a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,

sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d’antico amor sentì la gran potenza.

Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di püerizia fosse,

volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quand'elli è afflitto,

per dicere a Virgilio: ’Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l’antica fiamma’.

Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’ mi;

né quantunque perdeo l’antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre.

"Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada
".

Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l’incora;

in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra,

vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa,
drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.

Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,

regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e ’l più caldo parlar dietro reserva:

"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui è l’uom felice?
".

Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.

Così la madre al figlio par superba,
com’ella parve a me; perché d’amaro
sente il sapor de la pietade acerba.

Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito ’In te, Domine, speravi’;
ma oltre ’pedes meos’ non passaro.

Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d’Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,

poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;

così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;

ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
lor compartire a me, par che se detto
avesser: ’Donna, perché sì lo stempre?’,

lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto.

Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia:

"Voi vigilate ne l’etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;

onde la mia risposta è con più cura
che m’intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d’una misura.

Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,

ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine,

questi fu tal ne la sua vita nova
virtüalmente, ch’ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.

Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
quant’elli ha più di buon vigor terrestro.

Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto.

Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.

Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
fu’ io a lui men cara e men gradita;

e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.

Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse!

Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.

Per questo visitai l’uscio d’i morti,
e a colui che l’ ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti.

Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto

di pentimento che lagrime spanda".

Parafrasi

Quando le sette stelle dell’Empireo,
che non conobbero mai né alba né tramonto
né altra nebbia se non quella del peccato,
e che lì indicava a ciascuno
il suo dovere, come fa l’Orsa minore
ai timonieri che devono andare in porto,
si fermò: gli anziani portatori di verità,
presentatisi tra il grifone ed i candelabri,
si volsero al carro come fonte di pace;
e uno di loro, come fosse inviato dal cielo,
Vieni, mia sposa, dal Libano” cantò
tre volte a voce alta, e gli altri dietro di lui.
Come i beati all’ultima chiamata
usciranno veloci dal loro sepolcro,
cantando l’alleluja di nuovo nel loro corpo,
allo stesso modo sul carro divino
si alzarono cento, per la voce del vegliardo,
angeli messaggeri della vita eterna.
Tutti dicevano: «Benedetto colui che viene»,
e gettando fiori sulle loro teste e intorno,
«Spargete gigli a piene mani».
Io vidi in terra l’inizio del giorno
e la parte orientale divenir rosa,
e l’altra parte del cielo vestirsi d’azzurro;
e la faccia del sole nascere in ombra,
stemperata dai vapori del mattino
e si poteva guardarla anche a lungo:
velata da una nuvola di fiori
che saliva dalle mani angeliche
e ricadeva in giù dentro e fuori,
su di un candido velo e cinta d’olivo
una donna mi apparve, sotto un verde manto
vestita di un colori di fiamma viva.
Ed il mio spirito, che già da tanto
tempo era stato senza provare meraviglia
alla sua presenza, né stupore, fremito o logorìo,
senza poterla vedere con gli occhi,
per un suo misterioso potere,
sentì la gran potenza dell’antico amore.
Appena mi colpì la vista
il nobile sentimento che già mi aveva preso
prima che uscissi dalla fanciullezza,
mi guardai a sinistra con l’ansia
con cui il bimbo guarda la madre
quando ha paura o è preoccupato,
per dire a Virgilio: «Meno di una goccia
di sangue m’è rimasta che non trema:
riconosco i segni dell’antico amore».
Ma Virgilio non aveva lasciato traccia
di sé, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio cui m’ero affidato per la mia salvezza;
e tutto ciò che perse l’antica madre
non impedì che le mie guance pulite dalla rugiada
di tornare a sporcarsi di pianto.
«Dante, per la partenza di Virgilio,
non piangere ancora, non piangere ancora,
perché presto piangerai per colpi più duri».
Come un ammiraglio che da poppa a prora
va a vedere gli equipaggi che guidano
le navi minori, e l’incoraggia a far bene;
sul lato sinistro del carro,
quando mi girai al suono del mio nome,
che qui si ricorda solo per necessità,
vidi la donna che prima mi apparve,
velata dalla festa angelica,
guardare verso di me che ero da questa parte del fiume.
Sebbene il velo che le scendeva dalla testa,
cerchiato dalle foglie dell’albero di Minerva,
non la facesse apparire chiaramente,
con atteggiamento nobilmente altero
continuò come colui che parla tranquillamente
lasciando per ultimo gli argomenti più scottanti:
«Guardami bene! Sono io, proprio io Beatrice.
Come hai osato salire fino all’Eden?
Non sapevi è un posto solo per l’uomo felice?».
Abbassai gli occhi nel fiume limpido;
ma vedendovi la mia immagine, guardai l’erba,
tanta era la vergogna che m’appesantì la fronte.
Nel modo in cui una madre appare severa al figlio,
così lei sembrò con me, perché si amareggia
del sapore della pietà severa.
Lei tacque; e li angeli cantarono
subito “In te, o Signore, ho sperato”;
ma non andarono oltre “i piedi miei”.
Come la neve tra i rami
si congela sul dorso d’Italia,
soffiata e schiacciata dai venti dell’est,
poi, goccia a goccia, scava nel suo stesso strato di ghiaccio
al soffio della terra dove l’ombra scompare,
come fa il fuoco che consuma la candela;
così fui senza lacrime e sospiri
prima del canto di quelli che s’intonano sempre
seguendo le note delle armonie celesti;
ma poi compresi le dolci armonie
con le quali mi compativano, come se avessero
detto: «Signora, perché lo avvilisci?»,
il gelo che mi s’era stretto al cuore,
si fece aria e acqua, e con angoscia
uscì dal petto attraverso occhi e bocca.
Ella, pur rimanendo ferma su quel
lato del carro, ai pii spiriti
poi cominciò a parlare:
«Voi vegliate nella luce eterna,
e né notte né sonno vi distolgono
dal cammino che fa il mondo per le sue strade;
per cui la mia risposta è per farmi
capire da colui che piange al di là del fiume,
perché il dolore e la colpa siano della stessa misura.
Non solo per opera dei cieli,
che indirizzano ognuno al proprio destino
in base alla propria costellazione,
ma per generosità della Grazia divina,
che piove da nubi così alte,
che le nostre viste non possono avvicinarsi,
costui nella sua giovinezza ebbe tali virtù
in potenza, che ogni buona inclinazione
avrebbe prodotto in lui risultati ammirevoli.
Ma molto più cattivo e selvatico
si fa il terreno con il seme cattivo incolto,
tanto più esso è fertile e vigoroso.
Per qualche tempo lo sostenni col mio viso:
mostrandogli i miei occhi di giovinetta,
seguiva il mio sguardo rivolto alla retta via.
Ma non appena fui sulla soglia
della mia adolescenza e cambiai vita,
egli smise di seguirmi, e si diede ad altre.
Quando trascesi da corpo a spirito,
aumentando sia in bellezza che in virtù,
a lui divenni meno gradevole e cara;
e i suoi passi imboccarono strade false,
che non mantengono nessuna promessa.
Né servì l’aver ottenuto per lui sante ispirazioni,
con cui sia in sogno che in altro modo
lo richiamai: così poco a lui importò!
Cadde tanto in basso, che tutti i rimedi
per la sua salvezza erano inefficaci,
tranne che mostrargli i dannati.
Per questo visitai il limbo,
e a colui che l’ha condotto fin qui,
porsi, piangendo, le mie preghiere.
La gran volontà di Dio sarebbe violata,
se passasse il Lete e un tal cibo
gustasse senza pagare alcun prezzo
di pentimento che faccia spargere lacrime».

4.1Figure retoriche del Canto XXX del Purgatorio

  • Vv. 1-7, Quando… s’affisse – Lunga perifrasi che indica la fine del sacro corteo iniziato nel Canto XXIX.
  • V. 11, Veni, sponsa, de LibanoParafrasi del versetto del Cantico dei Cantici.
  • V. 15, revestita voceMetafora per indicare la resurrezione delle anime il giorno del Giudizio Universale.
  • Vv. 31-33, sovra … presenza – Beatrice è vestita dei tre colori che, con un’allegoria, rimandano alle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità.
  • Vv. 49-51, Ma Virgilio… die’ mi – Prima iterazione che prepara quella successiva di Beatrice.
  • V. 58, Quasi ammiraglioSimilitudine che descrive il piglio di Beatrice come militaresco.
  • V. 73, Guardaci … Beatrice – Seconda iterazione che rimanda a quella dei vv. 49-51.
  • Vv. 109 - 111, Non pur … son compagne – Altra perifrasi in cui s’intende che la costellazione dei Gemelli, sotto la quale era nato Dante, favorisce l’attitudine alla letteratura e alla scienza.

5Guarda il video sulla Divina commedia

    Domande & Risposte
  • Dove si svolge il canto 30 del Purgatorio? 

    Nella quinta cornice, dove si trovano le anime degli avari e dei prodighi

  • Chi incontra Dante nel canto 30 del Purgatorio? 

    Beatrice.

  • In quanti momenti principali può essere divisa la cantica?

    In 5 diversi momenti principali.