Canto III Purgatorio di Dante: testo, parafrasi e figure retoriche
Indice
- Introduzione al Canto III del Purgatorio
- Canto III Purgatorio: i personaggi
- Canto III Purgatorio: sintesi narrativa
- Analisi del Canto III del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
- Parafrasi del canto III del Purgatorio
- Canto III del Purgatorio, figure retoriche
- Canto 3 Purgatorio: riassunto
- Guarda il video sul canto 3 del Purgatorio
- Concetti chiave
1Introduzione al Canto III del Purgatorio
Il Canto III del Purgatorio della Divina Commedia, ambientato nell’Antipurgatorio, mette in scena il dialogo di Dante con le anime degli scomunicati che si sono pentite in punto di morte e hanno, quindi, guadagnato il perdono di Dio, la cui misericordia è infinita e non comprensibile con la sola ragione umana. Il Canto 3 del Purgatorio può essere suddiviso in tre sezioni:
- Il dialogo tra Dante e Virgilio, in cui vengono affrontate tematiche teologiche e dottrinarie e, soprattutto, viene sottolineata la limitatezza della conoscenza umana, riallacciandosi al filone che unisce il Canto I dell’Inferno, dove la perdita di Dante nella selva oscura diventa emblema della perdizione a cui l’uomo giunge inseguendo la sola ragione, con il Canto XXVI dell’Inferno, in cui il «folle volo» di Ulisse alla ricerca del superamento dei limiti della conoscenza umana viene punito con la morte.
- L’incontro dei due poeti con le anime degli scomunicati, dimostrazione di quanto smisurata sia la misericordia di Dio.
- Il colloquio con Manfredi, figlio dell’imperatore Federico II di Svevia, la cui vicenda si trasforma in un pretesto per Dante di muovere la sua accusa contro il papato, che troppo spesso utilizza per fini politici l’arma della scomunica, tentando di prevaricare con le proprie leggi il giudizio divino.
2Canto III Purgatorio: i personaggi
2.1Manfredi
Pur prendendo parola solo alla fine, Manfredi è il protagonista del Canto III del Purgatorio. Figlio naturale di Federico II di Svevia e Bianca Lancia del Monferrato, egli nacque nel 1232. Fu educato alla corte palermitana e si distinse per cultura. Morto il padre, nel 1250, divenne reggente del Regno di Sicilia e dell’Italia Meridionale di cui lasciò poi le redini a Corrado IV, l’erede legittimo, non appena egli giunse in Italia dalla Germania. Quando questi morì, nel 1254, Manfredi si scontrò con la Chiesa per il possesso del Regno di Napoli, che il papato considerava un proprio feudo. Venne incoronato a Palermo nel 1258 e continuò, sulla scia del padre, la politica di opposizione al potere temporale del papato e di sostegno alle fazioni ghibelline italiane. Per questo motivo iniziò ad essere perseguitato: venne scomunicato una prima volta da Papa Innocenzo IV, ma fu poi perdonato e nominato vicario della Chiesa. Quando Alessandro IV salì al soglio papale, si riaccesero le ostilità: Manfredi venne scomunicato una seconda volta e riprese quindi la guerra contro la Chiesa e i comuni guelfi, apportando con i suoi ottocento cavalieri tedeschi un importante contributo alla vittoria ghibellina nella Battaglia di Montaperti del 1260 contro la Lega Guelfa. Questo inasprì ancor di più i rapporti di Manfredi con la Chiesa: Papa Clemente IV nel 1265 chiamò Carlo d’Angiò, conte di Provenza e fratello del re di Francia Luigi IX, che marciò contro Manfredi, il quale morì valorosamente nella Battaglia di Benevento del 1266.
All’interno del Canto III del Purgatorio, la figura di Manfredi svolge una triplice funzione:
- L’esaltazione dei valori cortesi, per Dante il più alto codice di comportamento civile: Manfredi è, infatti, bello, prode, di nobile discendenza e animo.
- La celebrazione della dinastia sveva e, con essa, dell’Impero (vedi paragrafo 4.3).
- La glorificazione dell’infinita misericordia divina, inconoscibile razionalmente e ben superiore al malgoverno del papato il quale, attraverso l’uso politico della scomunica, pensa di potersi sostituire a Dio nel giudicare le anime.
3Canto III Purgatorio: sintesi narrativa
Versi 1-45. Dopo i rimproveri di Catone e la subitanea fuga delle anime verso la montagna, Dante di accosta a Virgilio, consapevole che senza la sua guida non potrebbe proseguire il viaggio. Si ritrova però smarrito nel momento in cui vede, sul terreno, solo la sua ombra; la sua guida lo rincuora, spiegandogli che le anime possono provare sensazioni fisiche, ma non fanno ombra perché i raggi del sole le oltrepassano. Virgilio, allora, raccomanda agli uomini di non tentare di comprendere i misteri della fede con la sola ragione, come fecero Aristotele e Platone.
Versi 46-66. Dante e Virgilio, intanto, giungono ai piedi del monte del Purgatorio; la parete è decisamente ripida e sembra essere impossibile da scalare. Virgilio non conosce la via che possa consentire una salita più agevole; mentre si interroga, da sinistra Dante scorge un gruppo di anime a cui chiedere aiuto.
Versi 67-102. Le anime sono quelle degli scomunicati; esse, dopo essersi accorte della presenza dei due poeti, inizialmente si addossano alle rocce. Virgilio allora ne approfitta per chiedere loro di mostrargli la salita più agevole. Poi la schiera inizia ad avvicinarsi ai due, ma si arresta nel momento in cui si accorgono dell’ombra proiettata da Dante. Virgilio allora gli confessa che il suo assistito è vivo, ma non è contro il volere divino che cerca di scalare il monte. Le anime, allora, dicono ai due di tornare indietro e di procedere davanti a loro.
Versi 103-145. Una delle anime si rivolge quindi a Dante: si tratta di Manfredi che, rivelando il proprio nome, chiede al poeta di raccontare alla figlia Costanza che egli è salvo, e non dannato all’Inferno. Manfredi, infatti, si è pentito in punto di morte dei suoi gravissimi peccati, guadagnandosi il perdono da parte di Dio che è misericordia infinita. Racconta, inoltre, che il suo corpo è stato disseppellito dal vescovo di Cosenza e abbandonato lungo il fiume Garigliano. Spiega, infine, che le anime degli scomunicati dovranno attendere nell'Antipurgatorio un tempo superiore trenta volte al periodo trascorso nella scomunica, a meno che tale tempo non venga abbreviato dalle preghiere dei vivi.
4Analisi del Canto III del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
4.1La colpa: la scomunica
Pur essendo già salve, le anime giunte in Purgatorio devono espiare le colpe commesse in vita per ascendere al Paradiso. Nel Canto III del Purgatorio ci troviamo di fronte, nello specifico, alle anime scomunicate e poi pentitesi in punto di morte, di cui Manfredi, unico spirito a prendere parola, è rappresentante. Esse, dal momento che in vita furono ribelli verso la Chiesa, si ritrovano ora a procedere mansuetamente come pecorelle (vv. 79-84): si tratta di un contrappasso per analogia. Queste anime, inoltre, devono attendere fuori dalla porta del Purgatorio un tempo pari a trenta volte quello che hanno vissuto nella scomunica.
Dietro la salvezza delle anime scomunicate e poi pentitesi in punto di morte c’è inoltre un monito, da parte di Dante, alla Chiesa e agli esseri umani: la prima non deve pensare di poter prevaricare, con le proprie leggi, l’infinita misericordia di Dio; i secondi, invece, devono tenersi lontani dal formulare giudizi affrettati sulla condotta degli altri, perché nessuno è in grado di conoscere quel che accade all’interno della coscienza dell’uomo.
4.2L’insufficienza della ragione
Un’attenzione particolare, all’interno del Canto III del Purgatorio, è posta alla figura di Virgilio. Egli, non trovandosi più in un regno di cui ha conoscenza diretta – com’era per l’Inferno – è sottoposto, esattamente come le anime, a un processo di maturazione. Egli si troverà, qui e più avanti, a doversi scontrare con problemi a cui non riesce a trovare immediata soluzione: è il limite della ragione umana, condizione necessaria ma non più sufficiente per ascendere verso il Paradiso. C’è bisogno, infatti, anche della Grazie divina, della comunione con i fedeli e dell’aiuto sacramentale della Chiesa per proseguire nel viaggio di redenzione.
È in quest’ottica che si pone il nascosto rimprovero di Dante auctor, per bocca di Virgilio, a quelle anime – Platone, Aristotele, ma anche lo stesso autore dell’Eneide e gli altri dannati del Limbo – che seppur colme di saggezza hanno invano creduto di poter giungere alla completa conoscenza dei misteri divini attraverso la sola ragione umana e sono state, quindi, escluse dalla salvezza. Da qui si può ben comprendere l’atteggiamento malinconico che assume, all’interno del terzo Canto del Purgatorio, Virgilio: è il turbamento di chi è eternamente escluso dalla conoscenza di Dio.
4.3La dinastia sveva
Attraverso la figura di Manfredi, Dante nel Canto III del Purgatorio celebra la dinastia sveva, depositaria – nel Duecento – dell’idea di Impero, istituzione portatrice di ordine e giustizia e, secondo il poeta, di pari dignità rispetto al papato. Già nel De Vulgari Eloquentia (I, XIII, 4), l’autore della Commedia aveva indicato Manfredi e suo padre Federico II come gli ultimi veri principi italiani.
Se, però, Manfredi nomina con orgoglio sua nonna Costanza d’Altavilla, presentandosi degnamente come suo «nepote» (v. 113), egli non fa cenno a suo padre. Dietro questa scelta c’è una una motivazione teologica: se Costanza – come vedremo nel Canto III del Paradiso – è beata nel Cielo della Luna, tra gli spiriti difettivi per inadempienza di voto, Federico II è invece dannato nel sesto Cerchio dell’Inferno, tra gli epicurei (come abbiamo visto nel Canto X dell’Inferno).
La dinastia sveva si estende così sulle tre cantiche della Commedia, mostrando così le diverse sfaccettature dell’utilizzo del potere.
4.4Ascolta l'audio lezione sul terzo canto del Purgatorio
Ascolta su Spreaker.5Parafrasi del canto III del Purgatorio
Testo
Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare’ io sanza lui corso?
chi m’avria tratto su per la montagna?
El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t’è picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l’onestade ad ogn’atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,
lo ‘ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi ‘l viso mio incontr’al poggio
che ‘nverso ‘l ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m’era dinanzi a la figura,
ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio.
Io mi volsi dallato con paura
d’essere abbandonato, quand’io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;
e ‘l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
Vespero è già colà dov’è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,
non ti maravigliar più che d’i cieli
che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch’etternalmente è dato lor per lutto:
io dico d’Aristotile e di Plato
e di molt’altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che ‘ndarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
«Or chi sa da qual man la costa cala»,
disse ‘l maestro mio fermando ‘l passo,
«sì che possa salir chi va sanz’ala?».
E mentre ch’e’ tenendo ‘l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,
da man sinistra m’apparì una gente
d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
e non pareva, sì venian lente.
«Leva», diss’io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».
Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio».
Ancora era quel popol di lontano,
i’ dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
com’a guardar, chi va dubbiando, stassi.
«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
ditene dove la montagna giace
sì che possibil sia l’andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace».
Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
timidette atterrando l’occhio e ‘l muso;
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e quete, e lo ‘mperché non sanno;
sì vid’io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l’andare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l’ombra era da me a la grotta,
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo ‘l perché, fenno altrettanto.
«Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che ‘l lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete».
Così ‘l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna.
E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se’, così andando, volgi ‘l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
Quand’io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo ‘l petto.
Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ‘l vero a lei, s’altro si dice.
Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde,
dov’e’ le trasmutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l’etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
in sua presunzion, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m’hai visto, e anco esto divieto;
ché qui per quei di là molto s’avanza».
Parafrasi
6Canto III del Purgatorio, figure retoriche
v. 14, «viso»: sineddoche per indicare lo sguardo
v. 55, «viso»: sineddoche per indicare lo sguardo
vv. 79-84, «Come le pecorelle escon del chiuso / a una, a due, a tre, e l’altre stanno / timidette atterrando l’occhio e ‘l muso; // e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, /addossandosi a lei, s’ella s’arresta, / semplici e quete, e lo ‘mperché non sanno»: similitudine
v. 87, «pudica in faccia e ne l’andare onesta»: chiasmo
v. 120, «quei che volontier perdona»: perifrasi per indicare Dio
7Canto 3 Purgatorio: riassunto
Nel canto 3 del Purgatorio, Dante e Virgilio si trovano nell'Antipurgatorio. In questo canto il poeta e la sua guida incontrano le anime degli scomunicati che hanno guadagnato la misericordia di Dio perché si sono pentite in punto di morte. Dante e Virgilio dialogano e affrontano tematiche teologiche e riflettono sui limiti della conoscenza umana.
L'incontro con le anime degli scomunicati per Dante altro non è che la dimostrazione dell'immensa misericordia di Dio. Tra queste anime c'è anche Manfredi, figlio dell'imperatore Federico II di Svevia con cui Dante si ferma a parlare. Manfredi racconta la sua storia e questo personaggio è per il poeta un pretesto per muovere la sua accusa contro il papato che spesso utilizza per scopi politici la scomunica.
8Guarda il video sul canto 3 del Purgatorio
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Domande & Risposte
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Dove si svolge il canto III del Purgatorio?
Nell’Antipurgatorio.
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Quando si svolge il canto I del Purgatorio?
Sono le 7 di mattina del 10 aprile o 27 marzo del 1300.
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Chi sono i protagonisti del canto I del Purgatorio di Dante?
Manfredi di Svevia, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla.