Canto II del Purgatorio di Dante: testo, parafrasi e figure retoriche

Canto II del Purgatorio di Dante: testo, parafrasi, figure retoriche e commento al "canto di Casella", ambientato ai piedi della montagna del Purgatorio
Canto II del Purgatorio di Dante: testo, parafrasi e figure retoriche
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1Canto II del Purgatorio: incontrare un amico nell’aldilà

Dante, Virgilio, le anime e il canto di Casella
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Quanto Dante soffrì l’esilio, lo scopriamo proprio dai canti del Purgatorio dove lui colloca tutti i suoi amici che ha il piacere di ritrovare. E sì, nell’Inferno avevamo incontrato soprattutto i suoi nemici (politici e non), ma nel Purgatorio nella gioia della salvezza ormai vicina Dante immagina una riunione ideale con quelle persone che ha dovuto lasciare a causa della sua condanna all'esilio. 

Casella è probabilmente morto prima dell’esilio di Dante (forse nel 1299), ma è comunque rappresentante di questo sentimento nostalgico che si esprime nell’elegia di un tempo passato, nella dolcezza malinconica dei ricordi del canto II del Purgatorio.

Questi incontri speciali con gli amici sono impossibili nella vita, ma sono resi possibili dalla letteratura: Dante nel suo poema può immaginare la gioia di rivedere gli amici di un tempo e rivivere quell’età d’oro che prende il nome di giovinezza. Può essere felice e sperare che quelle anime si siano salvate e un giorno condividerà con loro la pienezza della gioia in Paradiso.

Dunque per questo il Purgatorio è la cantica dell’amicizia e della dolcezza, la cantica della musica e della poesia degli uomini pellegrini sulla terra, in cerca del fatale passaggio verso la felicità senza fine. L’amicizia è un valore chiave che Dante rimpiange nella solitudine dell’esilio: «L’amicizia, anche in terra, è un affetto ispirato dall’incorruttibile regione dell’anima, e cioè di quel che nell’uomo supera la materia ed è eterno» (Francesco Flora). Le parole che Casella e Dante si scambiano sono di assoluta purezza e risplendono nel loro più alto significato: «Qui la parola umana è restaurata nei suoi modi assoluti: e ogni nome o verbo riacquista il suo senso originario e intero». 

Il secondo canto del Purgatorio ci regala questo primo meraviglioso incontro; meraviglioso, nel senso di pieno di meraviglia e di felicità. Immaginate di ritrovare qualcuno che avevate perduto. Nel Purgatorio vediamo, come dice Flora, una società ideale dove la parola si congiunge in un coro di sentimenti comuni; non è come nell’Inferno stagliata nel rumore assordante di una pena o negli schiamazzi generali di chi è condannato per l’eternità: «In quella società mansueta del Purgatorio la parola non grida: è anch’essa come scorporata: e l’affetto profondo è verbalmente rattenuto; perciò [Dante] può esprimersi col semplice nome dell’amico, seguito, come nei più comuni discorsi, dal possessivo “mio”» (Francesco Flora, Letture Dantesche, 1964). 

Coordinate del canto

  • Tempo: le sei del mattino della domenica di Pasqua 10 aprile 1300.
  • Luogo: la spiaggia dell’isola del Purgatorio (anti-Purgatorio).
  • Personaggi: Dante e Virgilio, Casella, una schiera di anime appena giunte, Catone.

2Canto II del Purgatorio: testo

Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridïan cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto
;
e la notte, che opposita a lui cerchia,   

uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;
sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov'i' era, de la bella Aurora   

per troppa etate divenivan rance.   

Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,   

che va col cuore e col corpo dimora.
Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,   

per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra 'l suol marino,
cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,   

un lume per lo mar venir sì ratto,
che 'l muover suo nessun volar pareggia
.   

Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
l'occhio per domandar lo duca mio,   

rividil più lucente e maggior fatto.
Poi d'ogne lato ad esso m'appario   

un non sapeva che bianco, e di sotto
a poco a poco un altro a lui uscìo
.   

Lo mio maestro ancor non facea motto,   

mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,
gridò: "Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.   

Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani
.   

Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,   

trattando l'aere con l'etterne penne,   

che non si mutan come mortal pelo".
Poi, come più e più verso noi venne   

l'uccel divino, più chiaro appariva:   

per che l'occhio da presso nol sostenne,
ma chinail giuso
; e quei sen venne a riva   

con un vasello snelletto e leggero,
tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.   

Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e più di cento spirti entro sediero.   

"In exitu Isräel de Aegypto"   

cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto.   

Poi fece il segno lor di santa croce;   

ond'ei si gittar tutti in su la piaggia:   

ed el sen gì, come venne, veloce.   

La turba che rimase lì, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia
.   

Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, ch'avea con le saette conte
di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,
quando la nova gente alzò la fronte
ver' noi, dicendo a noi: "Se voi sapete,
mostratene la via di gire al monte
".
E Virgilio rispuose: "Voi credete
forse che siamo esperti d'esto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che lo salire omai ne parrà gioco
".   

L'anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte.   

E come a messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,   

così al viso mio s'affisar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi oblïando d'ire a farsi belle
.   

Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi, con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.   

Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!   

tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto
.   

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;   

per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch'io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.
Rispuosemi: "Così com'io t'amai
nel mortal corpo, così t'amo sciolta:
però m'arresto; ma tu perché vai?
".   

"Casella mio, per tornar altra volta
là dov'io son, fo io questo vïaggio
",   

diss'io; "ma a te com'è tanta ora tolta?".
Ed elli a me: "Nessun m'è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m'ha negato esto passaggio;
ché di giusto voler lo suo si face:   

veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.
Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto   

dove l'acqua di Tevero s'insala,
benignamente fu' da lui ricolto.   

A quella foce ha elli or dritta l'ala,
però che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala
".
E io: "Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l'amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie
,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
l'anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!".   

"Amor che ne la mente mi ragiona"
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona
.   

Lo mio maestro e io e quella gente
ch'eran con lui parevan sì contenti,   

come a nessun toccasse altro la mente.   

Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: "Che è ciò, spiriti lenti?
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch'esser non lascia a voi Dio manifesto
".   

Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,
se cosa appare ond'elli abbian paura,
subitamente lasciano star l'esca,
perch'assaliti son da maggior cura;
così vid'io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
com'om che va, né sa dove rïesca
;   

né la nostra partita fu men tosta. 

3Parafrasi del canto II del Purgatorio

Canto II del Purgatorio di Dante: l'arrivo dell'angelo nocchiero
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Il sole si era già levato sull'orizzonte il cui meridiano sovrasta Gerusalemme con il suo più alto punto; e la notte, che gira opposta al sole, sorgeva dal Gange congiungendosi con la Bilancia, cosa che non accade quando la sua durata eccede quella del giorno; così le guance bianche e vermiglie (rosse) della bella Aurora, là dove mi trovavo io, diventavano arancioni per lo scorrere del tempo. Noi eravamo ancora sula spiaggia, come qualcuno che pensa al cammino con il proprio cuore, ma indugia con il corpo.

Ed ecco, come quando Marte, velato dalla mattina, splende rosso si scioglie nei densi vapori verso ovest sulla superficie del mare, così mi apparve (e mi sembra ancora di vederla!) una luce proveniente dal mare, tanto veloce a muoversi quanto nessun uccello è capace con il suo volo. Non appena smisi di guardarla per chiedere informazioni al mio maestro, la rividi subito più splendente e più grande. Poi su ogni suo lato mi parve di vedere un biancore diffuso, e poco a poco al di sotto un altra luminescenza ancora apparve. Il mio maestro non disse nulla, almeno fin quando fu chiaro che il primo biancore erano delle ali; riconosciuto il nocchiero, mi gridò: «Su, su, piega le ginocchia. Ecco l'angelo di Dio: giungi le mani in preghiera; da adesso in poi vedrai ministri di questo tipo. Guarda come fa a meno degli strumenti umani, niente remi, né altra vela che non siano le sue ali, pur in luoghi così lontani. Vedi come tiene dritte le ali verso il cielo, fendendo l'aria con le piume eterne che non cadono come penne mortali». Dunque, quando l'uccello divino ci fu più vicino, apparve più chiaramente: i miei occhi non potevano sostenerne lo sguardo così da vicino, così fui costretto a tenerli bassi; e quello giunse alla riva con una navicella stretta e leggera, che neanche affondava un poco nell’acqua. Il divino timoniere stava a poppa, così bello da rendere beati al solo descriverlo; più di cento spiriti sedevano dentro la barca. Tutti insieme cantavano a una voce il Salmo «Nella fuga di Israele dall'Egitto», anche con i versi seguenti. Poi fece loro il segno della croce ed essi scesero tutti sulla spiaggia; e se andò, veloce come era venuto. Il gruppo di anime lì rimaste sembrava inesperto del luogo, e si guardava intorno come chi sperimenta una novità. Il sole spandeva il giorno in ogni dove, avendo già cacciato con le frecce infallibili la costellazione del Capricorno dal punto mediano del cielo, quando i nuovi arrivati si rivolsero a noi, e ci dissero: «Se voi la sapete, mostrateci la via per arrivare al monte». E Virgilio rispose loro: «Forse voi ci credete esperti di questo luogo; in verità siamo pellegrini come voi. Siamo appena arrivati, appena prima di voi, attraverso un'altra strada che fu talmente difficile che la salita al monte in confronto ci sembrerà piuttosto facile». Le anime, accortesi che io ero vivo poiché respiravo, sbiancarono per lo stupore. E come una bella folla si raduna intorno al messaggero che porta il rametto dell’ulivo (segno di pace), e tutti fanno a gara ad accalcarsi, allo stesso modo quelle anime fortunate si assieparono tutte intorno al mio viso, dimentiche di essere giunte lì per purificarsi. Vidi una di loro avanzare per abbracciarmi, con tale affetto da spingermi a ricambiare. Ah, ombre inconsistenti, tranne che nell'aspetto! Tentai tre volte di abbracciarla con le mani, e altrettante volte ritrovai le mani vuote al mio petto. Dovetti restare molto stupito; allora l'ombra mi sorrise e si tirò in disparte, e io seguendola mi sporsi ancora oltre. Con dolcezza mi disse di fermarmi; allora lo riconobbi e lo pregai di fermarsi almeno un po’ a parlarmi. Mi rispose: «Come ti ho amato da vivo, così ti amo ora che sono un'anima: per questo mi fermo, ma tu come mai sei qui?» Io dissi: «Casella mio, faccio questo viaggio per tornare ancora qui dove sono adesso; ma come mai tu giungi soltanto ora?» Rispose: «Non ho ricevuto alcun torto, se langelo – il quale prende quando e chi vuole – più volte mi ha negato di salire a bordo; il suo volere è conforme a quello divino: tuttavia da tre mesi ha accolto sulla barca tutti quelli che hanno voluto salirci, senza opporsi. Allora io, rivolto al mare dove il Tevere diventa salato, fui con favore accolto da lui. Ora si sta dirigendo verso quella foce, dato che tutte le anime non destinate all'Inferno si raccolgono sempre lì». E io: «Se una nuova legge non ti priva della memoria o dell'abitudine al canto d’amore che soleva placare tutti i miei desideri, ti prego con quello di consolare un poco la mia anima, che venendo qui con nel corpo si è tanto stancata». Allora Casella cominciò a cantare “Amor che ne la mente mi ragiona” così dolcemente, che la dolcezza di quel canto ancora risuona dentro di me. Il mio maestro e io e quelle anime che erano con lui sembravamo tutti così contenti, dimenticando qualunque altro affanno. Eravamo tutti intenti alla musica, quando ecco arrivare il vecchio austero gridando: «Che significa questo, spiriti pigri? che negligenza, che indugio è questo? Correte al monte a levarvi la scorza del peccato che vi impedisce di vedere Dio». Come quando i colombi, beccando biada o loglio, radunati per il pasto, tranquilli e senza mostrare il consueto orgoglio, se appare qualcosa che li spaventa lasciano subito il cibo perché assaliti da una preoccupazione maggiore; così io vidi quelle anime appena giunte lasciare il canto, e correre verso la montagna alla rinfusa; e anche la nostra fuga non fu meno precipitosa.

4Canto II del Purgatorio: sintesi narrativa

vv. 1-36: Il sole si trova sull'orizzonte di Gerusalemme, all'estremo occidente della terra, e la notte è sul Gange, all’estremo orientale; perciò agli antipodi, nel purgatorio, il bianco dell'alba e il rosso dell'aurora si confondono ormai nel colore dorato del primo mattinoI due poeti sono ancora sulla riva del mare, e pensano alla via da percorrere, quando, simile all'immagine di Marte quando rosseggia sul mare a ponente, per la densità dei vapori che lo circondano, velato dalla luce del mattino, appare un lume che si avvicina velocissimo sulle onde: nel breve tempo in cui Dante ne distoglie lo sguardo per interrogare Virgilio, esso è già diventato più grande e più lucente; poi comincia a vedersi ai due lati e al di sotto di questo lume qualcosa di bianco; poi ancora si capisce che ciò che biancheggia ai lati sono le ali di un angelo. A quel punto Virgilio fa inginocchiare Dante, dicendogli che quello è il primo degli angeli che egli incontrerà nel purgatorio, e mostrandogli come quello navighi senza remo né vele, ma col solo aiuto delle ali che tiene diritte verso il cielo, e sono eternamente incorruttibili.

vv. 37-75: Avvicinandosi, l'angelo diviene sempre più splendente, tanto che l'occhio di Dante non ne sostiene più la vista, e si abbassa; e l'angelo approda con una navicella svelta e leggera, che non affonda minimamente in acqua. L'angelo è a poppa, immagine di beatitudine; più di cento spiriti si trovano a bordo, cantando tutti insieme il salmo In exitu Israel de Aegypto, e quando l'angelo fa loro il segno della croce si gettano tutti sulla spiaggia, mentre quello riparte velocemente com'è venuto. Mentre il sole, ormai alto sull'orizzonte, ha già sospinto il Capricorno oltre il meridiano, le anime sulla spiaggia mostrano di non conoscere il luogo e, visti i due poeti, chiedono loro quale sia la via da seguire. Virgilio risponde spiegando la condizione di loro due e la via che hanno percorsa, tanto difficile e dolorosa che proseguire sembrerà ora un gioco. Intanto le anime si sono accorte che Dante è vivo, perché respira, e, impallidendo per la meraviglia, gli si accalcano come intorno a un messaggero che porta un ramo d'olivo in segno di buone notizie, quasi dimenticando di andare verso la loro purificazione. 

Dante si inchina all'arrivo dell'angelo nocchiero
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vv. 76-117: Il canto di CasellaDante vede farglisi incontro in atto di abbracciarlo una di quelle anime, con tanto affetto da indurlo a fare lo stesso; ma per tre volte stringe invano le braccia in quel gesto, perché l’ombra non ha corpo. Sorridendo per la Meraviglia che gli vede dipinta in volto, l'anima gli dice dolcemente di desistere, egli parla, cosicché Dante riconosce in essa l'amico Casella, che gli manifesta lo stesso affetto che nutriva per lui quand'era in vita: gli spiega allora la ragione del suo viaggio, e gli chiede perché, pur essendo morto qualche tempo prima, giunga solo ora alla spiaggia del purgatorio. Casella risponde che non gli si è fatto alcun torto, se l'angelo ha negato più volte di trasportarlo sulla sua navicella, perché egli sceglie secondo la sua volontà, che è la volontà stessa di Dio; ma da tre mesi egli accoglie tutte le anime (grazie all’indulgenza del Giubileo), e così ha accolto anche lui, che si trovava alla foce del Tevere. Là sta ora ritornando l'angelo: quello è il punto dove si raccolgono tutte le anime che non sono dannate. Dante prega allora l'amico, se nessuna legge divina gliene toglie la memoria o la facoltà, di confortarlo dell'asprezza del viaggio con il canto, come con il canto lo confortava in vita: e Casella si mette a cantare la canzone di Dante Amor che ne la mente mi ragiona con tanta dolcezza che Virgilio e Dante stesso e tutti gli spiriti presenti rimangono così estatici nel canto, come se non pensassero più a nient'altro.  

vv. 118-133: Mentre tutti sono così rapiti nell'ascolto del canto di Casella, sopraggiunge Catone, che li rimprovera aspramente della loro negligenza, e ordina loro di correre verso il monte per purificarsi dalla scorza del peccato che impedisce loro di vedere Dio. Come i colombi raccolti quietamente a beccare biada o loglio, se appare qualcosa che li spaventi, fuggono velocemente abbandonando il cibo, così Dante vede fuggire le anime verso la costa del monte, sebbene non sappiano dove andare; e i due poeti si allontanano altrettanto velocemente. 

5Personaggi del canto II del Purgatorio

Dante Alighieri
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Casella: musico e cantore (sec. XIII), morto prima della primavera del 1300, protagonista del secondo canto del Purgatorio (vv. 76-117). La figura è certamente storica, anche se nulla di preciso si sa della sua vita. Designato per primo dall'Ottimo "finissimo cantatore" che "già intonò delle parole dello Autore", è ritenuto fiorentino da Benvenuto, Buti, Chiose Cassinesi, Landino, Vellutello; l'Anonimo lo ritiene invece pistoiese.

Il D'Ancona notò che nei registri della Biccherna di Siena (vol. LXXVII, c. 1) risulta che in data 13 luglio 1282 fu pagata una multa "a Casella homine curiae quia fuit inventus de nocte post tertium sonum campanae Comunis". Dato che negli stessi registri, in una carta successiva, risulta che venne pagata una multa "a Scarsella de Florentia homine curiae qui fuit inventus de nocte post tertium sonum campanae Comunis", per il D'Ancona "è probabile che Scarsella sia una persona stessa con Casella, e ambedue designino l'amico di Dante". Ma da alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Bologna, studiati dal Papa, si ricava che in quella città soggiornò un C. fiorentino nel 1284 e nel 1290; anzi, forse v'era fin dal 1277 (in quell'anno infatti un suo figlio stipula un atto). Il Papa opina pertanto che il documento ricavato dai libri della Biccherna si riferisca non a C. ma a uno Scarsella. In ogni caso, alla professione di C. manca il minimo accenno.

L'unico riferimento attendibile al C. dantesco è invece costituito da un'annotazione a un madrigale contenuta nel codice Vaticano 3214: "Lemmo da Pistoia. Et Casella diede il sono". Il che non deve però mutuare in senso stretto l'ipotesi che C. musicasse canzoni dantesche, anche se, come vedremo, intona in Pg II 112 l'incipit della seconda canzone del Convivio

C. fa parte della schiera di anime giunte sul vasello dell'angelo, che D. incontra sulla spiaggia dell'Antipurgatorio. Appena riconosce D., corre per abbracciarlo, inducendo il poeta a far lo somigliante; ma l'abbraccio sarà vano perché la figura del musico è ormai solo un'ombra. 

Pregato di cantare, C. intona Amor che ne la mente mi ragiona. Ma mentre D., Virgilio e le altre anime sono attente ad ascoltare, interviene Catone che rampogna aspramente gli spiriti lenti, incitandoli a correre verso il luogo della purificazione, e la masnada fresca lascia il canto e fugge ver' la costa. 

6Analisi del canto II del Purgatorio

6.1Temporalità e spazialità

Dante e Virgilio
Fonte: ansa

Le descrizioni del paesaggio sono quanto di più bello ci sia nel Purgatorio. Alla fine del canto precedente Dante aveva descritto l’alba sulla riva del mare che circonda l’isola-montagna. Il canto secondo comincia con il trascolorare dell’aurora (che Dante personifica in Aurora, l’antica Eos greca) dal bianco al rosso al dorato. Il sole infatti è all’orizzonte e si sta alzando rapidamente e nell’altro emisfero sta invece tramontando: Dante si prodiga in queste perifrasi astronomiche per fissare il tempo che passa poiché sul Purgatorio vige il tempo terrestre, cronologico, fatto di giorni e di notti, di anni, di secoli, in attesa dell’incontro fatale con Dio.

Il viaggio sta cominciando nella mattina presto, come cominciano tutti i viaggi: sono sicuro che anche tu, anche solo per partire in vacanza, ti sei alzato di buon’ora e hai magari visto sorgere l’alba davanti a te con la promessa del grande viaggio che ti aspetta. L’umanità con cui Dante registra questo dato psicologico è davvero commovente: Dante-personaggio e Virgilio, senza parlarsi, guardando lo spettacolo del cielo che si colora, pensano al lungo viaggio che li attende senza parlarsi: «Noi eravam lunghesso mare ancora, / come gente che pensa a suo cammino, / che va col cuore e col corpo dimora» (vv. 12-14).

Mentre si soffermano su questi pensieri, l’angelo nocchiero arriva dall’orizzonte rosseggiando come Marte: sta portando sulla sua leggerissima navetta i pellegrini penitenti.

6.2Cosa accade dopo la morte di un (quasi) giusto?

Questo canto riflette in parte il canto III dell’Inferno. Lì Dante-personaggio apprende che tutte le anime morte nel peccato si raccolgono sulla riva dell’Acheronte in attesa di essere portate a cospetto di Minosse ed essere condannate. L’elemento fluviale c’è anche per il Purgatorio: le anime di chi è stato lento a pentirsi, di chi è stato giusto ma non troppo, si raccolgono sulle rive del Tevere in attesa che l’angelo nocchiero arrivi a prenderle. Decide lui quando ciascuna salirà.

Potrebbe esserci anche una necessità narrativa nel decidere teologicamente questo aspetto: Dante vuole incontrare Casella nel Purgatorio, e forse proprio all’inizio; ma il suo amico musicista era morto già da alcuni anni e quindi avrebbe già dovuto da tempo cominciare il suo percorso di purificazione. È lo stesso Casella a spiegare al Dante-personaggio come si arriva in Purgatorio e perché è arrivato solo dopo alcuni anni e precisamente nel 1300 anno del giubileo in cui c’è stata un’amnistia generale per le anime in attesa di essere prese. Quest’accenno è importante anche per la datazione dell’opera.

6.3Si può abbracciare un’anima?

Impalpabili o no, le anime descritte da Dante? Nell’universo dantesco la fisionomia delle anime cambia di continuo. Nell’inferno le anime sono particolarmente corporee: sanguinano, soffrono, piangono, urlano. Esistono in quanto corpo, basti ricordare che Brunetto Latini prende Dante per il lembo della sua veste e che Dante lo accarezza in viso. O anche che il poeta strappa dalla testa di Bocca degli Abati diverse cicche di capelli. L’esempio più importante è però quello di Virgilio che prende Dante per mano, che lo prende sulle spalle, che lo cinge con il giunco.

Quando Dante riconosce Casella prova ad abbracciarlo ma finisce con l’abbracciare il vuoto, in una citazione rinnovata del VI libro dell’Eneide di Virgilio in cui Enea aveva provato ad abbracciare il padre Anchise: “Tre volte allora volle gettargli al collo le braccia, tre volte, invano afferrata, sfuggì dalle mani l’immagine, pari ai venti impalpabili, simile al sogno alato” (VI, 700-702). Dunque Casella è impalpabile, eppure ben presto conoscerà la sofferenza e sarà una sofferenza del corpo secondo le leggi del contrappasso già viste nell’Inferno. Il purgatorio, in fondo, è un inferno a tempo.

Dunque le anime si possono toccare, abbracciare, accarezzare? Sì. No. Entrambe le risposte vanno bene e così ci troviamo davanti a contraddizioni e incoerenze davvero evidenti. Non dispiaceva a Dante e di sicuro non dispiace a noi lettori, perché le ragioni della poesia hanno portato il poeta in vie sempre nuove in cui l’universo da lui immaginato finisce con il rimodularsi. Una bella riflessione ci è regalata da Francesco Flora:

In quella ritrovata apprensione della luce, che non è più l’indiretta e lugubre vista dell’inferno, il poeta si stupisce della vanità del corpo di Casella, come le ombre si sono stupite dello spirare di lui, Dante. Le anime maravigliando erano diventate smorte, Dante pensa di essersi dipinto di maraviglia, e l’espressione deve anch’essa indicare se non un pallore, certo un moto, un atteggiamento in cui si rivela l’interna sospensione e contrarietà, d’istinto più che di riflessione. Le due meraviglie si rispondono per una spontanea relazione: hanno un punto in comune dal quale si divaricano perché, nel medesimo fondo, la meraviglia delle anime si rivolge alla corporeità di Dante e qella del poeta alla loro incorporeità rivelatagli dall’«ombra» fisicamente intangibile di quell’anima che s’è mossa per abbracciarlo” (Francesco Flora, Letture dantesche, 1964).

6.4Casella e la lirica dantesca

Il tema della musica è al centro del canto sottolineato dalla presenza del musicista Casella. Dante aveva appena proclamato nel proemio del Purgatorio che la poesia morta sarebbe risorta e che in questa cantica avrebbe trionfato la dolcezza della lirica; con questa espressività Dante avrebbe cantato la natura e l’amicizia, la speranza e l’attesa che permeano tutto il secondo regno. Dunque Casella ha un ruolo prolettico, cioè anticipa l’atmosfera musicale che sentiremo per tutto il Purgatorio con i cori di preghiere dei penitenti e infine in Paradiso dove ci sarà l’eterna armonia di Dio e i cori degli angeli e il riso angelico dei beati.

Dante vuole sentire il canto “amoroso” del suo amico musicista, una notazione (amoroso) che ha un intento probabilmente tecnico poiché riferibile alle melodie che Casella componeva sulle poesie amorose e non su altre: erano melodie monodiche (cioè con un sola linea melodica) il cui stile derivava dalla tradizione provenzale. Amoroso però è anche il termine dell’affetto, il quale ricorda quanto lo affascinasse la voce del suo amico.

Casella sceglie di cantare una delle canzoni più belle di Dante, “Amor che ne la mente mi ragiona”, poesia utilizzata nel Convivio: si tratta quindi di una auto-citazione di Dante, ma anche di un suggerimento importante. Le canzoni di Dante – forse alcune non tutte – erano musicate.

Noi siamo abituati a pensare le poesie di Dante lette ad alta voce da una voce narrante, facciamo più fatica a immaginarle cantate come una moderna canzone. Invece era proprio così. È un po’ come scoprire che la antiche statue greche erano dipinte, mentre noi le avevamo sempre immaginate bianche. In base a questo possiamo dedurre che la gran parte della poesia antica era musicata e che Casella e Dante si sono divisi quello che in antichità era forse un ruolo unitario: quello del cantastorie, giullare, poeta. Dante componeva le parole, Casella la musica.

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