Canto XII del Paradiso: testo, parafrasi, commento e figure retoriche

Testo, parafrasi, commento e figure retoriche del canto XII del Paradiso di Dante, con l'elogio di Bonaventura da Bagnoregio a San Domenico
Canto XII del Paradiso: testo, parafrasi, commento e figure retoriche
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1Canto XII del Paradiso: trama e struttura

Canto XII del Paradiso: la seconda corona di anime sagge appare a Dante nel Quarto cielo del sole. Incisione di Gustave Dore
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L'incipit del Canto inserisce subito il lettore nell'azione e lo riallaccia immediatamente al precedente, evidenziandone la continuità: il XII è il secondo dei canti gemelli del Paradiso, che sono detti così perché in essi Dante opera una sorta di chiasmo narrativo facendo raccontare nel primo la vita di san Francesco d'Assisi al domenicano san Tommaso d'Aquino, ed in questo la vita di san Domenico di Guzmán al francescano san Bonaventura da Bagnoregio.   

Il racconto del Canto comincia non appena san Tommaso ha finito di parlare: subito la corona di dodici anime beate di cui fa parte ricomincia a ruotare e ad essa si avvicina una seconda, composta di altrettante dodici anime, che la circonda cantando con voce armoniosa e ne imita i movimenti, come se si trattasse di due arcobaleni disposti in maniera concentrica e dello stesso colore.   

I due gruppi di anime si fermano all'unisono e, dal gruppo appena arrivato, se ne stacca una che comincia a parlare dicendo di essere spinta al farlo dall'ardore di Carità e che, come prima sono state tessute le lodi di san Francesco, adesso dev'essere lui a parlare del fondatore dell'Ordine domenicano: poiché hanno combattuto insieme per difendere e proteggere la Chiesa, è giusto che le loro anime splendano di uguale gloria. L'esercito cristiano appariva scarso ed incerto quando Dio decise di sostenerlo inviando sulla terra due campioni che lo guidassero.

Comincia così il racconto della vita di san Domenico di Guzmán che, come per quello di san Francesco, si apre con la descrizione del suo luogo di nascita, Calaruega, una cittadina spagnola situata nell'entroterra castigliano, non molto lontano dalla costa atlantica dove soffia lo Zefiro, il vento che viene da Occidente durante la primavera e fa fiorire l'Europa: un'allusione alla funzione vivificatrice che del santo spagnolo sull'Europa cristiana.

San Bonaventura da Bagnoregio nel suo studio (Bergamo, Accademia Carrara, XVI secolo)
Fonte: ansa

Sotto questi auspici nasce Domenico, combattente della fede cristiana, talmente pieno di virtù che ciò apparì chiaramente in sogno alla madre quando lui non era ancora nato. Con il battesimo, il bambino divenne sposo della Fede e la sua madrina, ispirata da un sogno in cui vide le future azioni del bambino, decise di dargli un nome per dire che lui era proprietà del Signore: Domenico.

Fin dall'infanzia dimostrò amore verso gli insegnamenti di Cristo, e da grande si dedicò allo studio della Teologia non per voglia d'arricchirsi, ma per amore di Dio e presto diventa un esperto teologo. Mise la sua sapienza al servizio della Chiesa chiedendo al papa di dargli l'autorità per combattere le eresie che dividevano l'esercito di Cristo; e, quando il papa glielo concesse, agì contro gli eretici soprattutto in Provenza, dove erano molto diffusi, e fu solo il primo a fare ciò, perché con le sue gesta fondò un ordine.

L'ultima parte del Canto ripete lo schema già proposto nel precedente: alla vita e alla narrazione laudatoria del fondatore di un altro ordine, il narratore fa seguire una profonda considerazione sulle condizioni e sulla corruzione del proprio. In questo caso l'elogio del fondatore dei Domenicani fa comprendere al meglio anche le virtù del santo d'Assisi: entrambi sono le ruote su cui si è mossa la biga con cui la Chiesa ha combattuto la guerra contro le eresie, ma l'ordine francescano sembra ormai essersi smarrito da tempo, al punto da andare in senso opposto al percorso tracciato dal loro fondatore. Senz'altro esistono ancora frati fedeli allo spirito originario, ma non stanno né tra i seguaci di Ubertino da Casale né tra quelli di Matteo d'Acquasparta, rispettivamente capi degli spirituali e dei conventuali, che si allontanano dal solco tracciato dal fondatore o inasprendo la Regola dell'Ordine o ammorbidendola eccessivamente.

Solo alle ultime battute del Canto il narratore si presenta come Bonaventura da Bagnoregio, grande esponente dell'Ordine francescano che, anche ricoprendo alte cariche ecclesiastiche, non ha mai messo al primo posto i beni materiali.

Passa poi a presentare le altre anime che compongono la corona di cui fa parte: Illuminato da Rieti ed Agostino d'Assisi, frati francescani tra i primissimi seguaci di Francesco; Ugo da San Vittore, Pietro Mangiadore e Pietro da Lisbona, autore dei dodici libri delle Summulae logicales; poi ci sono il profeta Natan, Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, Anselmo d'Aosta ed Elio Donato, autore di un famoso trattato di grammatica; chiudono la schiera Rabano Mauro e il calabrese Gioacchino Fiore. Tutte queste anime sono stati spinti dalla cortesia di Tommaso (cfr. Par. XI) a danzare e cantare all'unisono.

Il Canto si può quindi dividere in sei parti:

  • Vv. 1-21: Comparsa della seconda corona di anime.
  • Vv. 22-45: San Bonaventura inizia la lode di san Domenico.
  • Vv. 46-72: Descrizione dei luoghi d'origine di Domenico, racconto della nascita e delle sue nozze con la Fede.
  • Vv. 73-105: Gli studi teologici e la lotta contro le eresie.
  • Vv. 106-126: Rimprovero contro i francescani degeneri.
  • Vv. 127-145: Rassegna degli spiriti della seconda corona e conclusione del Canto. 

1.1Il secondo dei Canti gemelli

Al netto della struttura generale, che ricalca quella del Canto XI con lo schema fatto da introduzione, panegirico, racconto della vita del santo e invettiva contro la corruzione del proprio ordine, il Canto XII appare stilisticamente più complesso, composto di lunghe similitudini che si arricchiscono di perifrasi interne, e reiterazioni di metafore che, anche a distanza, vengono recuperate in diversi momenti della composizione.

Il collegamento diretto al Canto precedente emerge dai primi versi con una serie di ripetizioni che richiamano a campi semantici simili ed immagini che evocano l’idea della gemellarità. Si leggono in questo senso sia la descrizione dei due cerchi di anime beate che si muovono all’unisono (vv. 5-6) dove la reiterazione dei movimenti viene sottolineata dalla riecheggiare del v.6, “moto a moto e canto a canto”, che la loro descrizione visiva resa vivida al v. 11 con l’immagine dei due arcobaleniparalleli e concolori”.

Su un piano più ampio il Canto si innerva di piani metaforici che ritornano e lo caratterizzano, uno di questi riguarda l’ambito agricolo, che riprende l’immagine della Chiesa e della comunità cattolica come un orto di cui Domenico viene eletto agricoltore (v. 71), e che viene ripresa quando, parlando del suo Ordine, i suoi membri sono descritti come dei ruscelli che irrigano l’orto cattolico. Un’altra metafora è quella, di origine biblica, della Chiesa rappresentata come una vigna (vv. 86-87) e che viene ripresa da Bonaventura al v. 112, quando, parlando dell’esempio di san Francesco, lo paragona ad una botte trascurata dove il vino ormai marcisce.

1.2San Domenico di Guzmán nel Canto XII

Particolare di San Domenico di Guzmán che presiede a un autodafé. Opera di Pedro Berruguete (Museo del Prado)
Fonte: ansa

Domenico di Guzmán nasce nel 1170 da una famiglia della nobiltà Castigliana. Educato in ambiente ecclesiastico, studia filosofia e teologia fino all’età di ventiquattro anni, età in cui in viene ordinato sacerdote. Nel 1201 parte per il primo di due viaggi di evangelizzazione nelle regioni del Nord Europa e, fermatosi a Roma di ritorno dal secondo, chiede a papa Innocenzo III il permesso di continuare la sua attività predicatoria. 

Il papa però lo invia in Provenza, dove all’epoca era particolarmente diffusa l’eresia catara, una confessione cristiana proveniente dalla Bulgaria dalla natura dualistica e dalle prospettive escatologiche, che criticava la Chiesa giudicandola ormai troppo ricca e corrotta. L’operato del papato e delle autorità religiose, fino a quel momento, era stato scoordinato ed improntato sulla semplice repressione, ma le torture ed i roghi degli eretici non facevano che dimostrare, agli occhi della popolazione, la corruzione della Chiesa e finivano per aumentare la forza degli eretici

Domenico, teologo dottissimo e profondo conoscitore delle Sacre Scritture, inaugurò un nuovo modo di rapportarsi con i catari improntato al confronto e al dialogo: la sua predicazione puntava a convertirli attraverso dibattiti e confronti pubblici o personali, dimostrando la fallacia delle loro idee. Oltre a ciò Domenico, che riconosceva la presenza di forti problemi e contraddizioni in seno alla Chiesa, capì che la sua attività predicatoria doveva anche fornire un concreto esempio di rettitudine e adesione alla vita evangelica, perciò decise di vivere in povertà. Con la predicazione e l’esempio, convertì un gran numero di eretici che iniziarono a seguirne le orme. 

Molti, in effetti, furono quelli che decisero di aggregarsi a lui seguendone l’esempio, e nel 1216 Onorio III approvò la fondazione dell’Ordine domenicano. Nel 1221 Domenico morì mentre preparava un nuovo viaggio missionario.

Nonostante fosse un uomo pacifico, la tradizione cattolica dipinge san Domenico come un combattente per la Fede, un’immagine che Dante riprende e che ritorna in tutto il Canto XII fin dai vv. 35-38 con una metafora militaresca in cui la comunità cattolica è “l’esercito di Cristo” (v.37) che, sbandato, viene rimesso in riga da san Francesco e da san Domenico che, “militarono” insieme (v.35).

Quando poi Bonaventura comincia il racconto della vita di Domenico lo definisce “santo atleta”, cioè guerriero, descrivendolo come benevolo con i cristiani, ma implacabile con gli eretici; ed il riferimento alla veemenza dell'azione di Domenico e all'ambito bellico prosegue anche nella descrizione delle gesta del santo, la cui predicazione viene descritta come quella di un torrente che scuote gli arbusti, cioè gli eretici, con forza (vv. 99-102), per poi ritornare, infine, ai vv. 106-108, quando viene definito come una delle ruote che hanno portato la chiesa alla vittoria nella “civil briga” (v. 108), la guerra civile contro gli eretici.

1.3Bonaventura da Bagnoregio e la crisi dei francescani

San Tommaso d'Aquino e San Bonaventura
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Nato nel 1221, fu un dotto esponente dell'Ordine francescano: insegnò alla Sorbona di Parigi, fu amico di san Tommaso d'Aquino ed autore della Legenda Maior la più importante delle tante biografie scritte sul Poverello d'Assisi. A lui Dante affida il monologo di questo Canto, con il racconto della vita di Domenico e la riflessione finale sulla corruzione dell'Ordine francescano.

Si può notare come quest'ultima parte del discorso sia maggiormente sviluppata a quella speculare del Canto precedente e ciò è dovuto, probabilmente, al fatto che la funzione antiereticale dei domenicani si fosse esaurita da tempo, poiché le dottrine catare erano state debellate da tempo; al contempo l'esempio di adesione al Vangelo di Francesco poneva l'accento sul problema della ricchezza della Chiesa.

Dopo la morte del santo di Assisi, l'Ordine francescano si divise in due correnti, quella dei Conventuali, che attenuavano la lezione di povertà del fondatore, e quella Spirituale, che predicava una radicale adesione ai principi di povertà, e che veniva tacciata di eresia dalla Chiesa ufficiale. È verosimile che, tra le due correnti, Dante avesse più in simpatia questi ultimi, ma non riuscisse a condividerne a pieno le posizioni proprio perché troppo estremiste ed in odor di eresia.

2Testo e parafrasi del Canto XII del Paradiso

Testo

Sì tosto come l’ultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
a rotar cominciò la santa mola;

e nel suo giro tutta non si volse
prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
e moto a moto e canto a canto colse;

canto che tanto vince nostre muse,
nostre serene in quelle dolci tube,
quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.

Come si volgon per tenera nube
due archi paralelli e concolori,
quando Iunone a sua ancella iube,

nascendo di quel d’entro quel di fori,
a guisa del parlar di quella vaga
ch’amor consunse come sol vapori;

e fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto che Dio con Noè puose,
del mondo che già mai più non s’allaga:

così di quelle sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande,
e sì l’estrema a l’intima rispuose.

Poi che ‘l tripudio e l’altra festa grande,
sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
luce con luce gaudiose e blande,

insieme a punto e a voler quetarsi,
pur come li occhi ch’al piacer che i move
conviene insieme chiudere e levarsi;

del cor de l’una de le luci nove
si mosse voce, che l’ago a la stella
parer mi fece in volgermi al suo dove;

e cominciò: «L’amor che mi fa bella
mi tragge a ragionar de l’altro duca
per cui del mio sì ben ci si favella.

Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:
sì che, com’elli ad una militaro,
così la gloria loro insieme luca.

L’essercito di Cristo, che sì caro
costò a riarmar, dietro a la ‘nsegna
si movea tardo, sospeccioso e raro,

quando lo ‘mperador che sempre regna
provide a la milizia, ch’era in forse,
per sola grazia, non per esser degna;

e, come è detto, a sua sposa soccorse
con due campioni, al cui fare, al cui dire
lo popol disviato si raccorse.

In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
di che si vede Europa rivestire,

non molto lungi al percuoter de l’onde
dietro a le quali, per la lunga foga,
lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,

siede la fortunata Calaroga
sotto la protezion del grande scudo
in che soggiace il leone e soggioga:

dentro vi nacque l’amoroso drudo
de la fede cristiana, il santo atleta
benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;

e come fu creata, fu repleta
sì la sua mente di viva vertute,
che, ne la madre, lei fece profeta.

Poi che le sponsalizie fuor compiute
al sacro fonte intra lui e la Fede,
u’ si dotar di mutua salute,

la donna che per lui l’assenso diede,
vide nel sonno il mirabile frutto
ch’uscir dovea di lui e de le rede;

e perché fosse qual era in costrutto,
quinci si mosse spirito a nomarlo
del possessivo di cui era tutto.

Domenico fu detto; e io ne parlo
sì come de l’agricola che Cristo
elesse a l’orto suo per aiutarlo.

Ben parve messo e famigliar di Cristo:
che ‘l primo amor che ‘n lui fu manifesto,
fu al primo consiglio che diè Cristo.

Spesse fiate fu tacito e desto
trovato in terra da la sua nutrice,
come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.

Oh padre suo veramente Felice!
oh madre sua veramente Giovanna,
se, interpretata, val come si dice!

Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
di retro ad Ostiense e a Taddeo,
ma per amor de la verace manna

in picciol tempo gran dottor si feo;
tal che si mise a circuir la vigna
che tosto imbianca, se ‘l vignaio è reo.

E a la sedia che fu già benigna
più a’ poveri giusti, non per lei,
ma per colui che siede, che traligna,

non dispensare o due o tre per sei,
non la fortuna di prima vacante,
non decimas, quae sunt pauperum Dei,

addimandò, ma contro al mondo errante
licenza di combatter per lo seme
del qual ti fascian ventiquattro piante.

Poi, con dottrina e con volere insieme,
con l’officio appostolico si mosse
quasi torrente ch’alta vena preme;

e ne li sterpi eretici percosse
l’impeto suo, più vivamente quivi
dove le resistenze eran più grosse.

Di lui si fecer poi diversi rivi
onde l’orto catolico si riga,
sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

Se tal fu l’una rota de la biga
in che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,

ben ti dovrebbe assai esser palese
l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
dinanzi al mio venir fu sì cortese.

Ma l’orbita che fé la parte somma
di sua circunferenza, è derelitta,
sì ch’è la muffa dov’era la gromma.

La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
che quel dinanzi a quel di retro gitta;

e tosto si vedrà de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio
si lagnerà che l’arca li sia tolta.

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta
u’ leggerebbe "I’ mi son quel ch’i’ soglio";

ma non fia da Casal né d’Acquasparta,
là onde vegnon tali a la scrittura,
ch’uno la fugge e altro la coarta.

Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
sempre pospuosi la sinistra cura.

Illuminato e Augustin son quici,
che fuor de’ primi scalzi poverelli
che nel capestro a Dio si fero amici.

Ugo da San Vittore è qui con elli,
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
lo qual giù luce in dodici libelli;

Natàn profeta e ‘l metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
ch’a la prim’arte degnò porre mano.

Rabano è qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato.

Ad inveggiar cotanto paladino
mi mosse l’infiammata cortesia
di fra Tommaso e ‘l discreto latino;

e mosse meco questa compagnia».

Parafrasi

Non appena l'ultima parola
l'anima beata iniziò a pronunciare,
la santa corona cominciò a ruotare;

e non aveva completato il suo giro
che un'altra la circondò
e si mosse e cantò all'unisono;

un canto che vince le nostre muse,
e le nostre sirene in quei dolci strumenti,
come splende più un raggio che il suo riflesso.

Come si curvano su una tenera nuvola
due arcobaleni paralleli e dello stesso colore,
quando Giunone ordina alla sua ancella,

e quello esterno, riflesso di quello interno,
è come la voce della ninfa eterea
che l'amore fece svanire come vapore al sole,

e come gli arcobaleni assicurano la gente,
del patto che Dio fece con Noè,
di non allagare mai più il mondo:

così quelle anime beate,
si strinsero a noi come due ghirlande,
e quella esterna imitò quella interna.

Dopo che la danza e l'altra grande festa,
del canto e della bagliore
tra quelle luci piene di gioia e carità,

si acquietarono insieme e allo stesso tempo,
proprio come gli occhi che verso ciò che gli piace
insieme vanno e si chiudono e si aprono;

da una delle nuove fiamme
si levò una voce, che come un ago che punta la stella
mi fece sembrare per come mi volsi verso di lei;

ed iniziò a parlare:« L'amore che mi fa splendere
mi porta a parlare dell'altra guida
poiché del mio si parla così bene.

È giusto che, dove si parli dell'uno, ci sia anche l'altro:
E, siccome militarono insieme,
la loro gloria deve risplendere insieme.

L'esercito cristiano, che a caro prezzo
fu riarmato, dietro al suo vessillo
si muoveva lento, dubbioso e ridotto,

quando l'imperatore che regna senza fine
aiutò quella milizia, che era in pericolo,
solo per sua grazia, e non perché né fosse degna;

e, come s'è detto, soccorse la sua sposa
con due combattenti attorno a cui, per le loro azioni e le loro parole, quel popolo disperso si adunò.

In quei luoghi da cui si alza Zefiro
per per aprire quelle nuove fronde
che rivestono tutta l'Europa,

non molo lontano della costa dell'Oceano
dietro cui, dopo un lungo percorso,
il sole talvolta si nasconde agli uomini,

ha sede la fortunata Calaruega
protetta da quel grande scudo
in cui il leone domina e soggiace:

in quel luogo nacque l'amoroso vassallo
della fede cristiana, il santo combattente
benevolo per i cristiani e implacabile contro i nemici;

e come fu creata, così fu colmata
la sua mente di vigorosa virtù,
tanto che rese sua madre profetessa, mentre era ancora in lei.

Dopo che il matrimonio fu compiuto
al fonte battesimale tra lui e la Fede,
dove si diedero in dote reciproca salvezza,

la madrina che diede l’assenso al suo posto.
vide nel sonno il meraviglioso frutto
che doveva maturare da lui e dai suoi seguaci;

e affinché fosse fedele al suo nome,
da qui si mosse un’ispirazione a chiamarlo
con il possessivo di Colui al quale apparteneva.

Fu chiamato Domenico; e io ne parlo
come dell’agricoltore che Cristo
scelse per aiutarlo nel suo orto.

Sembrò un inviato e un discepolo di Cristo:
e il primo amore che in lui si manifestò,
fu verso la prima beatitudine di cui disse Cristo.

Molte volte fu, silenzioso e sveglio,
trovato per terra dalla sua nutrice,
come se dicesse: “Io sono venuto per questo”.

Oh, suo padre fu davvero Felice!
E sua madre davvero Giovanna,
se si interpreta correttamente il suo nome!

Non per i beni terreni, per cui ora ci si affanna
dietro al cardinale d’Ostia e a Taddeo,
ma per amore della vera sapienza

in poco tempo acquistò gran conoscenza;
tanto che si mise a difendere quella vigna
che subito si secca, se il vignaio è negligente.

E a quel trono che un tempo fu più benigno verso
i poveri e i giusti, non per sua colpa,
ma per colpa di chi la occupa, che s’allontana dalla retta via,

non di dare la metà o un terzo dei beni ai poveri,
non dei benefici ecclesiastici,
non le decime, che sono per i poveri di Dio,

chiese, ma contro gli eretici
il permesso di combattere per quella Fede
da cui nacquero le ventiquattro piante che ti circondano.

Poi, unendo la volontà e la Teologia,
si mosse su mandato papale
come un torrente sprigionato dalla montagna;

ed i rovi degli eretici scosse
con la sua forza, e più forte lì
dove erano più resistenti.

Da lui si fecero poi tanti ruscelli
che irrigano l’orto cattolico,
così che le sue piante son più vive.

Se tale fu una ruota della biga
che difese la Santa Chiesa
e vinse sul campo la guerra civile,

allora dovrebbe esserti assai chiara
la virtù dell’altra, di cui Tommaso
prima del mio arrivo aveva parlato in maniera cortese.

Ma il solco fatto dalla parte più esterna
della circonferenza della ruota, è abbandonata,
ed ora c’è la muffa dove prima stava il tartaro.

Il suo ordine, che si mosse dritta
seguendo le sue orme, ha perso la strada,
ed ora cammina all’indietro;

e presto si vedrà il raccolto
di questa cattiva semina, quando il loglio
si lamenterà di non essere messa nel granaio.

Ben inteso, chi sfogliasse pagina per pagina
il libro del nostro ordine, ancora troverebbe carte
dove leggere “Io sono rimasto fedele alla virtù francescana”;

ma non sarebbe né quella di Ubertino né quella di Acquasparta,
da cui vengono frati che la Regola francescana
o la rifuggono o la irrigidiscono.
Io sono l’anima di Bonaventura
da Bagnoregio, che nei grandi incarichi
ho sempre messo trascurato i beni mondani.

Illuminato ed Agostino son qui,
che furono tra i primi poverelli scalzi
e che nel saio francescano si fecero amici a Dio.

Ugo da San Vittore è qui con loro,
e Pietro Mangiatore e Pietro da Lisbona,
che sulla Terra risplende per i suoi dodici libri;

il profeta Nathan e il vescovo Giovanni
Crisostomo e Anselmo d’Aosta e quell’Elio Donato
che fu degno scrittore di grammatica.

È qui Rabano, e splende al mio lato
l’abate calabrese Gioacchino,
dotato di visione profetica.

Per lodare un tale guerriero
mi spinse la calorosa cortesia
di frate Tommaso e il suo chiaro discorso;

mi affiancò questa compagnia».

3Canto XII del Paradiso: figure retoriche

  • Vv. 7-8, nostre muse … nostre serene ... dolci tube: metafora per intendere la poesia ed i canti terreni, mentre le dolci tube sono le anime beate.
  • V.12, iube: si tratta di un latinismo che proviene dal latino iubet, cioè ordina, dal verbo Iubere, ordinare.
  • Vv. 19-20, sempiterne rose … due ghirlande: perifrasi per indicare i cerchi composti dalle anime beate.
  • V.22, tripudio: si tratta di un latinismo dal latino tripudium, cioè danza.
  • Vv. 26-27, pur come … levarsi: in questa similitudine il movimento simultaneo delle anime beate è paragonato a quello degli occhi.
  • Vv. 29-30, che l'ago … al suo dove: altra similitudine che paragona l'attenzione all'ago di una bussola che punta al Nord.
    V.34, induca: latinismo derivato dal verbo inducere, mettere in scena.
  • V.38, 'nsegna: perifrasi per indicare il Cristo stesso.
  • V.40, 'mperador che sempre regna: perifrasi per indicare Dio.
  • Vv. 37-43, L'essercito di Cristo ... soccorse: lungo discorso metaforico in cui la Chiesa è descritta come la sposa di Dio ed il popolo dei fedeli come la sua milizia.
  • Vv. 46-51, In quella … nasconde: lunga perifrasi per indicare la Spagna, estremità occidentale dell'Europa da cui nasce il vento di Zefiro, ed il golfo di Guascogna, nella parte settentrionale del Paese.
  • V. 55, drudo: si tratta di un germanismo proveniente dal germanico drud, cioè fedele.
  • V.58, repleta: si tratta di un latinismo derivato dal latino replere, cioè colmare.
  • V.63, u’ : si tratta di un latinismo derivato dal termine ubi, dove.
  • Vv. 71-72, l’agricola … aiutarlo: metafora con cui si intende la Chiesa.
  • Vv. 86-87, la vigna … è reo: metafora che riprende Mt, XX, 1-16, per cui la Chiesa, intesa anche come la comunità dei fedeli, è descritta come la vigna del Signore; il vignaio negligente è il papa. Al v. 86 circuir è un latinismo ripreso dal verbo latino omologo.
  • V. 88, la sedia: perifrasi per indicare la sede papale.
  • V. 9, colui che siede: perifrasi per intendere il papa.
  • Vv. 95-96, lo seme … piante: metafora in cui la Fede è il seme che ha permesso il germogliare delle ventiquattro anime che ora circondano Dante e Beatrice.
  • Vv. 103-105, Di lui … più vivi: continua la metafora che descrive Domenico come un torrente, da cui poi nascono tanti ruscelli, e della comunità cattolica come un orto, vivificata da quei ruscelli.
  • V.108, civil briga: metafora che descrive la lotta alle eresie come una guerra civile interna alla cirstianità.
  • Vv. 112-114, Ma l’orbita … la gromma: metafora abbastanza complessa che riprende quella della biga con due ruote, Domenico e Francesco, precisando che il solco tracciato dalla ruota francescana è ormai abbandonato, ed ora c’è la muffa invece della gromma, cioè dello strato di tartaro che si forma nelle botti piene di vino buono, ma che ammuffisce se la botte non viene curata.
  • Vv. 119-120, quando il loglio … sia tolta: metafora che riprende la parabola della zizzania che si ritrova in Mt XIII, 24-30.

4Guarda il video sul Canto 12 del Paradiso