Canto 1 Purgatorio: riassunto e analisi
Canto 1 Purgatorio: riassunto e analisi, con spiegazione della simbologia cristiana e richiami all'ultimo canto dell'Inferno di Dante Alighieri
Indice
Canto 1 Purgatorio: riassunto e analisi
Il primo canto della seconda cantica della Divina Commedia, quella del Purgatorio, presenta al lettore l’approccio di Dante al secondo regno dei morti, dopo l’Inferno.
È importante ricordare come Dante, accompagnato da Virgilio, sia giunto all’alba del 10 aprile del 1300 (la domenica di Pasqua) nella spiaggia che precede l’ingresso al monte del Purgatorio.
Lo scrittore-personaggio, sempre con l’immancabile guida del sommo maestro Virgilio, aveva terminato nella notte il suo viaggio attraverso i gironi infernali fino al lago ghiacciato, il Cocito, dove sono ospitati i peggiori traditori di sempre, come Giuda, Bruto e Cassio, per concludere con Lucifero.
Ed è proprio arrampicandosi sull’enorme corpo dell’angelo decaduto che Dante e Virgilio attraversano il centro della Terra e si ritrovano nell’emisfero australe dove, seguendo un corso d’acqua, escono dalla cavità infernale fino a “riveder le stelle”. Dante si ritrova quindi all’aperto mentre la notte sta svanendo nell’alba (sono le quattro/cinque di mattina) e le prime luci si alzano all’orizzonte.
Canto 1 Purgatorio: introduzione
L’introduzione del canto è una vera e propria invocazione alle Muse, nella quale Dante chiede loro aiuto, in particolare a Calliope, famosa (nelle Metamorfosi di Orazio) per il canto melodioso con il quale sconfisse le “Piche misere”, ossia le nove Pieridi (figlie del re di Macedonia) che avevano sfidato le Muse in una competizione canora, ritenendosi superiori alle dee. In questo richiamo mitologico si esprime la superbia, a causa della quale le Piche vennero poi trasformate in gazze dalle Muse. L’inserimento del mito è un richiamo per il cristiano all’umiltà e alla presa di coscienza della propria posizione di subordinazione a Dio. Solo con il riconoscimento dei propri limiti l’uomo può giungere a vedere le quattro stelle del cielo del Purgatorio, allegoria delle virtù cardinali (fortezza, temperanza, giustizia e prudenza), che soltanto Adamo ed Eva poterono vedere all’alba dei tempi. Va ricordato che la superbia è anche il peccato principale di cui Dante si accusa nei suoi scritti. Nei primi sei versi del canto si ha la protasi, ossia la presentazione dell’argomento, che ovviamente è più tranquillo rispetto al precedente (l’Inferno). Il proemio riprende l’impostazione delle opere classiche romane, con le già citate protasi e invocazione delle Muse. Questo conferisce alla cantica del Purgatorio un registro formale più alto rispetto a quello con cui Dante aveva descritto l’Inferno, che poi salirà ulteriormente varcando le porte del Paradiso.
Descrizione del cielo
Dopo l’introduzione, Dante prosegue descrivendo il cielo che, dopo la lunga discesa agli Inferi, è tornato a contemplare. Scorge il pianeta Venere nel cielo azzurro, nella parte orientale, quella della costellazione dei Pesci. Questi dettagli sono importanti: sottolineano infatti come la predisposizione delle costellazioni sia favorevole al suo viaggio (secondo i codici dell’astrologia medievale). Dante si accorge poi di altre quattro stelle, che solo Adamo e Eva, prima della cacciata dall’Eden, poterono vedere.
Come già ricordato, le stelle rappresentano simbolicamente le quattro virtù cardinali, fondamento del comportamento umano e strettamente collegate alla capacità di autocontrollo: solo ponendosi al di sopra delle passioni l’uomo può agire secondo la fede ed essere davvero libero. Ovviamente, con ciò si intende la libertà cristiana, ossia quella libertà morale che consente di esprimere autonomamente la propria volontà. La libertà dell’animo è, per Dante, un requisito fondamentale per poter recuperare quella strada, da lui “perduta”, della felicità terrena (nel canto I dell’Inferno l’ascesa al monte di Dante era stata ostruita dalle tre fiere, simboleggianti quei mali dell’animo umano che Dante ha conosciuto a fondo nell’Inferno e che ora sono più un pericolo per lui). I requisiti per salire sul monte del Purgatorio sono perciò due: umiltà e libertà d’animo.
L'arrivo di Catone Uticense
Il canto, dopo la sequenza descrittiva, introduce l’arrivo di un vecchio venerando che, non riconoscendo Virgilio e Dante, chiede loro di presentarsi e di spiegare come siano potuti uscire dalla cavità infernale. Il nuovo personaggio è Catone Uticense, custode del Purgatorio. In vita egli fu un pagano, originario di Utica, dove nel 46 a.C. si suicidò per non doversi sottomettere all’esercito di Giulio Cesare. Il suo suicidio politico viene interpretato da Dante come una difficile ma necessaria decisione consapevole di anteporre la propria libertà politica e personale alla propria vita. Solo per questo Dante non lo colloca nell’Inferno, nella selva di coloro che si tolsero la vita. Catone è un simbolo di libertà, non solo politica, ma anche interiore: in seguito, dalle risposte che egli dà a Virgilio, si comprende come, in pieno spirito stoico, si sia scientemente liberato dalle passioni. Catone, benché sia pagano, si trova nel Purgatorio perché, quando Cristo discese agli Inferi dopo la sua morte in croce, salvò dal Limbo coloro che erano degni di conoscere Dio e la sua magnanimità, tra cui anche Catone. È chiaro come Catone sia una figura idealizzata da Dante su un fondo di verità storiche documentate, utile ai fini del suo poema. Catone, dopo il giorno del Giudizio Universale, potrà conoscere Dio e verrà elevato al Paradiso, avendo adempiuto ai suoi doveri di custode del Purgatorio. Nel dialogo tra Virgilio e Catone, si fa anche riferimento implicito alle vicende politiche di Dante, il quale, nella sua ricerca per la libertà, rimarca i passi di Catone Uticense.
La richiesta di concedere il passaggio per il Purgatorio viene posta da Virgilio con grande abilità retorica, secondo l’arte della captatio benevolentiae, invocando il nome della moglie defunta di Catone, Marzia (che si trova nel Limbo). La risposta di Catone fa intendere come il suo suicidio-martirio l’abbia elevato a una reale condizione di libertà e pace interiore: afferma che il loro passaggio non avviene per Marzia, ma per grazia della donna che da lassù li protegge (Beatrice, ma il suo nome non viene mai pronunciato).
Prima di cedere il passo, chiede però a Virgilio di lavare il viso a Dante e cingergli la vita con un giunco. Questi due gesti richiamano l’attenzione sull’atmosfera mistico-religiosa del canto e la sua simbologia cristiana, a partire dalla costellazione dei Pesci, antico simbolo di Cristo, passando per l’inginocchiarsi di Dante di fronte a Catone, per finire al rito iniziatico dello stesso Dante. Il cerimoniale si svolge su una spiaggia in riva al mare (evoca l’immagine del Mar Rosso, il mare per antonomasia per i credenti), nella completa solitudine e nel silenzio caratteristici dei riti sacri. Virgilio toglie la caligine infernale con la rugiada formatasi sull’erba nella notte e coglie un giunco in riva al mare, che ricresce subito, per cingere la vita di Dante.
I gesti rappresentano la purificazione necessaria per salire fino al Paradiso, raggiungibile sopprimendo le passioni che conducono al peccato e ricoprendosi di umiltà e di pentimento cristiani. Da notare il silenzio di Dante, che nel canto non apre mai bocca: nel percorso di redenzione infatti il discepolo può solo ascoltare il maestro, imparare e purificarsi dai peccati.
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