Riassunto su Cesare Beccaria e la pena di morte

Beccaria e la pena di morte: il pensiero del giurista e la tesi contro la pena di morte e la tortura dell'autore del saggio "Dei delitti e delle pene".

Riassunto su Cesare Beccaria e la pena di morte
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Beccaria e la pena di morte: riassunto

Beccaria e la pena di morte: riassunto
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Cesare Beccaria nacque a Milano il 15 marzo del 1738; fu giurista, economista, filosofo, letterato e il fondatore della scena criminale. Raggiunse la fama mondiale nel 1764 con la pubblicazione del libro “Dei delitti e delle pene”, in cui criticò il sistema giudiziario dominato dall’arbitrio e non rispondente al suo stesso fine. Il saggio di Beccaria ispirò Thomas Jefferson nella formazione delle leggi degli USA e attirò l’attenzione degli intellettuali illuministi che conobbe durante un viaggio in Francia. Secondo Beccaria il miglior modo per prevenire un delitto era importante avere un’efficiente magistratura e delle dignitose condizioni di vita per tutti. Fu per molto tempo funzionario del governo austriaco. Morì a Milano il 28 Novembre 1794.

Cesare Beccaria: pensiero

Cesare Beccaria sosteneva che vi fosse un rapporto tra la qualità della vita, la giustizia sociale e i delitti; questa tesi era evidente attraverso il pensiero ipotetico del ladro: questi è spinto a rubare e a compiere reati a causa della necessità e della sopravvivenza. Quindi se uno Stato avesse adeguate leggi in tutela della povertà, il numero dei crimini diminuirebbe. Beccaria aveva una visione abbastanza cinica poiché era contro la pena di morte e la tortura non tanto per la loro crudeltà, ma per il fatto che erano inutili. Se lo scopo di ogni pena era far da deterrente ai delitti, queste non producevano risultati: gli uomini nonostante tutto continuavano a commetterli.

Beccaria contro la pena di morte

Beccaria sostenne l’inutilità della pena di morte in quanto non era abbastanza efficace per scoraggiare le persone da compiere delitti. Lo scopo di una pena infatti era quello di evitare i reati; in quanto la punizione sarebbe servita da esempio. La pena di morte era ammissibile, secondo Beccaria, solo quando il condannato, (anche se in carcere) poteva ancora essere un pericolo per la società; e doveva essere lunga e dolorosa come una tortura. La prospettiva dei lavori forzati a vita poteva spaventare molto di più un condannato che una “semplice” morte in quanto essa è immediata; l’esecuzione della pena capitale diventa uno spettacolo per la maggior parte del popolo oppure un oggetto di compassione per altri, ma non il terrore che avrebbe dovuto suscitare, mentre la prospettiva di poter perdere per sempre la propria libertà faceva più paura. Riguardo alle torture l’uomo poteva solo resistere a dolori passeggeri, ma oltre un certo limite era anche disposto a confessare cose non vere pur di non soffrire più e di non perdere per sempre la propria libertà.

Beccaria ipotizzò di essere un ladro che rubava ai ricchi con il pretesto dell’ingiustizia sociale in quanto le leggi venivano emanate da uomini ricchi che non si preoccupavano dei poveri e degli innocenti; facendo così il ladro voleva attaccare l’ingiustizia alla sorgente. Se andrà in carcere ci andrà per poco tempo e poi potrà vivere felice; inoltre la chiesa cristiana professa il perdono di tutti i peccati e quindi il ladro di fronte alla morte non è minimamente preoccupato.

Un criminale era più spaventato dalla prospettiva del carcere e dei lavori forzati a vita, ed era assurdo che le leggi che condannavano l’omicidio lo attuassero esse stesse nella pena di morte: ciò rappresentava un controsenso. La storia dell’uomo era piena di condanne a morte, e la ragione che sosteneva l’inutilità della pena di morte era a favore di Beccaria.

Non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini”.

Nel testo “Dei delitti e delle pene” Beccaria ha introdotto ad ogni argomento trattato una serie di ipotesi, verificate poi mediante considerazioni scientifiche; l’autore nel brano utilizzò moltissimo l’analisi scientifica coinvolgendo nelle vicende il lettore specialmente quando si parlava del ladro invitando il lettore stesso ad esprimere una propria opinione.

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