Asch e Milgram: esperimenti e condizionamento sociale
Indice
1Biografia di Solomon Asch
Solomon Asch è un noto psicologo sociale. Nacque a Varsavia nel 1907; a 13 anni abbandonò con la sua famiglia la Polonia e si trasferì negli Stati Uniti. Studiò al College of the City of New York e nel 1932, presso la Columbia University, portò a termine il suo dottorato in psicologia.
Ebbe una brillante carriera accademica: insegnò psicologia allo Swarthmore College e in seguito affiancò l’attività di docente a quella di direttore presso l'Institute of Cognitive Studies alla Rutgers University di Newark. Ebbe modo di frequentare diverse altre università come visiting professor (tra le quali Harvard e il Massachusetts Institute of Technology). Nel 1957 diresse la sezione di psicologia sociale e della personalità presso l’American Psychological Association.
Il suo riferimento teorico principale è rappresentato dalla psicologia della Gestalt. Nel 1952 pubblicò il suo testo Psicologia sociale.
Morì a Haverford, in Pennsylvania, nel 1996.
2Lo studio sul conformismo: l’esperimento di Asch
Nel 1951 Asch condusse un esperimento, il piò noto tra quelli che realizzò, che divenne un punto di riferimento per gli studi sull’influenza sociale. L’esperimento prevedeva di sottoporre a un gruppo di sette giovani uomini, studenti al College, un test che avrebbe dovuto essere di percezione visiva. Gli individui, seduti tutti insieme attorno a un tavolo, erano chiamati a rispondere individualmente, uno per volta e secondo un ordine prestabilito, davanti agli altri a una serie di quesiti. Di fronte a loro erano stati posti dei grafici: in uno compariva una linea, detta linea standard; in un altro, apparivano tre linee di lunghezze diverse, le linee di confronto. Solo una linea di queste tre aveva la stessa lunghezza della linea standard. I soggetti dovevano dichiarare quale delle linee di confronto avesse la medesima lunghezza della linea standard.
Il gruppo era sottoposto a numerose valutazioni. Dopo le prime due valutazioni in cui la risposta era stata libera, i cinque individui interpellati per primi cominciarono a rispondere in maniera sbagliata al quesito posto.
Infatti, l’esperimento prevedeva che al tavolo fossero seduti dei complici di Asch: questi dovevano recitare un copione e dare tutti la medesima risposta sbagliata. Il soggetto che doveva rispondere dopo i primi cinque era tenuto all’oscuro, era effettivamente convinto di partecipare a un test sulla valutazione delle percezioni visive ed era il vero oggetto di studio. In totale, i soggetti non complici di Asch che parteciparono all’esperimento furono 123.
2.1I risultati dell’esperimento
- Il 37% dei soggetti sperimentali, quindi dei volontari reali, rispose conformandosi alla maggioranza, dando una risposta sbagliata.
- Il 75% dei soggetti rispose come la maggioranza almeno una volta durante le varie prove.
- Alcuni risposero sempre in maniera corretta, ma la media complessiva è che una risposta su tre ripeteva la risposta errata data dalla maggioranza.
- Quando le risposte venivano fornite senza la presenza di altri individui, le risposte sbagliate ammontavano solamente all’1%.
2.2Le considerazioni finali
L’esperimento permise ad Asch di elaborare alcune considerazioni:
- in generale, si può evincere come la tendenza a rispondere come la maggioranza, anche se questa sta commettendo un errore, sia una azione che almeno una persona su tre realizza;
- il soggetto sperimentale si trovava in una situazione di disagio: scisso tra la consapevolezza di ciò che egli vedeva e ciò che sosteneva la maggioranza;
- per un terzo dei soggetti, tale situazione di disagio portava a un ragionamento e a un conseguente cambio di giudizio che si uniformava con quello espresso dalla maggioranza.
Al centro del suo esperimento vi è dunque il concetto di conformismo, definibile come il mutamento di un giudizio o di un comportamento che si realizza quando il singolo è posto di fronte a una norma sociale implicita, quindi non espressa, ma ricavabile a partire dall’osservazione delle azioni altrui.
La tesi sostenuta da Asch è che proprio in nome del conformismo e del bisogno di sentirsi inclusi all’interno di un gruppo, le persone tendono a esprimere un comportamento che si adatti e sia uniforme a quello del gruppo o della maggioranza.
3Biografia di Stanley Milgram
Stanley Milgram nacque a New York nel 1933. Il padre era ungherese, la madre rumena. La forte identità ebraica, il timore per parte della famiglia che viveva in Europa sotto la minaccia prima del nazismo, poi della guerra e della Shoah furono fattori che influenzarono moltissimo gli interessi di Milgram.
Dopo aver frequentato il Queens College di New York, egli conseguì il dottorato in psicologia sociale a Harvard. Fu poi ricercatore e professore presso questa università, a Yale e alla City University di New York.
I suoi interessi nell’ambito della psicologia sociale furono molteplici (il conformismo, la psicologia della vita urbana, i processi comunicativi). Milgram morì nel 1984, a soli cinquantuno anni.
4Lo studio sull’obbedienza: l’esperimento di Milgram
Il rispetto delle norme e dei divieti e il riconoscere a un leader il potere di esprimere ordini a cui obbedire sono tra i principi che permettono alle società di funzionare. L’obbedienza può essere definita come l’esecuzione di un ordine, la disponibilità a realizzare ciò che prescrive una norma esplicita.
L’interesse di Milgram era volto ad analizzare le reazioni degli individui ai quali è dato un ordine immorale o crudele. Il contesto del secondo dopoguerra e in particolare il dibattito sorto intorno al processo ad Adolf Eichmann, tenutosi a Gerusalemme nel 1961, influirono in maniera decisiva sugli interessi di Milgram e sulla volontà di indagare la sfera dell’autorità e dell’obbedienza per cercare di illuminare le ragioni che spingono all’esecuzione di ordini riprovevoli. Egli realizzò così nel 1963 un famoso esperimento, la cui realizzazione è descritta nel suo testo Obbedienza all’autorità (1974).
4.1La realizzazione dell’esperimento
Milgram reclutò 40 volontari tra i 20 e i 50 anni. Si dichiarava loro che avrebbero partecipato a un esperimento per valutare l’efficacia del rinforzo negativo (le punizioni) nei processi di apprendimento.
I partecipanti a ogni singolo esperimento, ripetuto più volte con altri volontari, erano tre:
- il vero e unico volontario, tenuto all’oscuro di tutto, doveva assumere il ruolo dell’“insegnante”;
- il primo complice, lo sperimentatore. Aveva l’incarico di coordinare l’esperimento, recitare il copione previsto, impartire gli ordini.
- il secondo complice, un finto volontario che in realtà conosceva l’artificiosità della situazione. A lui era assegnato il ruolo dell’“allievo”.
L’allievo, condotto insieme all’insegnante in una stanza, era legato a una sedia e degli elettrodi venivano applicati sulle sue braccia. L’insegnante si recava poi in un’altra camera, dove si trovava lo sperimentatore. In questa stanza – dalla quale l’allievo poteva essere ascoltato, ma non visto –l’insegnante era posto di fronte a una macchina la cui funzione dichiarata era quella di inviare scosse elettriche all’allievo. Sulla macchina vi era anche una serie di leve sulle quali era segnato il corrispondente voltaggio, dai 15 volt a 450 volt. In realtà, la macchina non somministrava alcuna scossa, ma serviva alla realizzazione dell’esperimento. L’insegnante, convinto di partecipare al test sull’apprendimento, doveva porre delle domande all’allievo. L’allievo volutamente sbagliava nel rispondere e, a quel punto, lo sperimentatore ordinava all’insegnante di somministrare delle scosse elettriche. L’intensità delle scosse doveva essere aumentata gradualmente ad ogni errore commesso dall’allievo. Questi doveva iniziare a lamentarsi e ad urlare. Nel copione creato da Milgram, ad un certo momento, l’allievo doveva dichiarare di essere cardiopatico e di non riuscire più a sopportare il dolore. Dopo una determinata scarica elettrica, doveva addirittura smettere di reagire, fingendo di essere privo di sensi.
L’esperimento era considerato concluso in due casi:
- l’insegnante aveva dato tre scosse al massimo voltaggio;
- l’insegnante non intendeva più obbedire allo sperimentatore e interrompeva l’attività.
4.2I risultati dell’esperimento
- Gli insegnanti manifestarono segni di disagio e di contrarietà, ma tutti, almeno fino a un certo punto, obbedirono agli ordini dello sperimentatore.
- Pur non essendo costretti, tutti arrivarono a somministrare scosse da 210 volt.
- Il 62,5% somministrò le scariche con il massimo voltaggio.
4.3Le considerazioni finali
I risultati quantitativi portarono Milgram a formulare una prima considerazione, di carattere generale:
- ochiunque è in grado di eseguire un ordine immorale, distruttivo e nocivo impartito da una autorità.
Milgram cercò allora di interrogarsi sul perché l’uomo sia portato a ubbidire. Egli individuò alcune ragioni che motivano l’obbedienza:
- l’obbedienza è un principio che è insegnato all’uomo sin da quando è bambino, sia in famiglia che a scuola;
- l’uomo vive, nella sua esperienza con l’autorità, in un sistema che dispensa premi e castighi a seconda che si ubbidisca o meno;
- l’essere disponibili a obbedire permette il mantenimento dell’organizzazione sociale e il funzionamento di una società organizzata per gerarchie;
- colui che impartisce ordini è considerato meritevole di fiducia e competente;
- nell’esecuzione di un ordine, colui che ubbidisce non si sente responsabile dell’azione che svolge. La responsabilità viene fatta ricadere su colui che ordina;
- si è portati ad obbedire a un ordine che impone l’esecuzione di un atto crudele o violento quando l’azione da realizzare è graduale e da svolgersi in un prolungato intervallo di tempo.