Artemisia Gentileschi: vita e opere
Indice
1Artemisia Gentileschi: formazione
La città di Roma esce trasformata dall’epoca di papa Sisto V, che ne cambia il centro urbano creando la via Sistina, sulla quale sorgono nuove chiese da decorare; gli artisti confluiscono da tutta Italia per lavorare nei nuovi edifici che sorgono su questa strada.
Artemisia nasce qui nel 1593 da Orazio, celebre artista di origine pisana, e Prudenzia Montone o Montoni, che muore quando la ragazzina ha appena 12 anni, lasciandola orfana ad occuparsi dei fratelli più piccoli. La casa di Orazio è frequentata dai maggiori artisti del periodo, tra cui Caravaggio, almeno fino alla sua precipitosa fuga da Roma nel 1606.
Anche se la sua famiglia non ha grandi mezzi e non può pagarle un vero e proprio apprendistato (essendo donna, quest’idea è praticabile solo perché il padre stesso è un artista), Artemisia è dotata di talento precoce e il padre ne cura personalmente la formazione artistica nei primi anni, poi da adolescente le procura insegnanti fra i suoi colleghi, tra gli altri come maestro di prospettiva pittorica la fa seguire da Agostino Tassi.
2Artemisia Gentileschi: lo stupro e il processo
Agostino Tassi era quello che oggi definiamo un sex-offender: perseguita Artemisia impedendo che altri uomini le facciano la corte, facendola pedinare e cercando pretesti per visitarla in casa al di fuori delle lezioni per mesi, prima di riuscire a violentarla. Il disonore dello stupro e la speranza di un matrimonio riparatore trattengono Artemisia dalla denuncia, spingendola a continuare le lezioni con Tassi, ma il padre Orazio scopre tutta la vicenda, a causa forse dei commenti dei suoi apprendisti o di quelli ascoltati fuori dalla bottega, anche perché il Tassi si vanta apertamente di quanto commesso.
Il processo iniziato nel 1612 dura 7 mesi e tra gli imputati, oltre all'aggressore, vengono accusati anche Cosimo Quorli suo amico, e Tuzia, locataria della famiglia Gentileschi. La protezione di Papa Innocenzo X salva Tassi da una condanna pesante: viene giudicato colpevole ma gli viene permesso di scegliere tra l’esilio o cinque anni di prigione. Il pittore sceglie la prigione dove in realtà non resterà a lungo, grazie agli appoggi politici di cui gode, mentre Artemisia deve lasciare la capitale per salvaguardare il proprio onore e la sua carriera appena avviata.
3Artemisia Gentileschi a Firenze
Poco dopo la conclusione del processo, Artemisia si sposa con un uomo scelto dal padre, un pittore fiorentino di dieci anni più vecchio di nome Pierantonio Stiattesi, e va a vivere a Firenze, dove resta fino al 1620 e dove nascono i suoi figli.
L’ambiente artistico fiorentino è molto più rilassato di quello romano: sotto la protezione di Cosimo II de’ Medici gli artisti collaborano in maniera amichevole, intrecciando relazioni e allenze. Ad Artemisia è concesso di lavorare come artista perché il marito è egli stesso pittore, gode inoltre della benevolenza della famiglia di lui e della protezione della sua madrina Artemisia Capizucchi e del prozio Aurelio Lomi.
A Firenze ha l’occasione di conoscere Galileo Galilei e di stringere amicizia con Michelangelo Buonarroti il giovane, per il quale dipinge l’Allegoria dell’inclinazione; grazie anche a lui e agli stimoli dell’ambiente intellettuale impara a scrivere e si dedica ad attività come ballo e poesia.
Tenta di mantenere un contatto almeno epistolare con il padre ma ottiene solo l’autorizzazione a presentare la candidatura all’Accademia delle arti del Disegno nel 1616, nella quale entra grazie anche a opere come quella di Giuditta e Oloferne, della quale deve eseguire una copia per il granduca ma con la Giuditta vestita di giallo e un’espressione persino più decisa di quella della prima versione.
In quello stesso anno muoiono due suoi figli; nel 1620 ottiene l’autorizzazione a tornare brevemente a Roma con marito e figlia, ma nello stesso mese muore il granduca Cosimo II rendendo il ritorno a Firenze svantaggioso per vendere le proprie opere.
4In cerca di lavoro
A Roma deve convivere con i pettegolezzi ma ormai è un’artista affermata; il marito, pittore appena mediocre, non tollera più il suo successo e se ne va. L’unico ostacolo lavorativo è il clima dettato dal nuovo papa Barberini Urbano VIII, più incline a lavori su larga scala, impensabili da affidare a una donna.
Nel 1621 si sposta a Genova per raggiungere il padre che si trova lì per lavoro, poi torna a Roma dove intreccia una relazione con l’ambasciatore di Spagna da cui ha una bambina; poco dopo si lega a Nicholas Lanier, agente incaricato dal re d’Inghilterra di acquistare opere d’arte in territorio italiano.
Dal 1627 al 1630 vive a Venezia dove le commissionano molti quadri e collabora con Nicholas per valutare le opere da acquistare per conto del suo sovrano; alla fine della sua missione diplomatica chiede ad Artemisia di accompagnarlo in patria ma lei rifiuta perché Nicholas è già sposato.
Sceglie invece di andare a Napoli, dove era diventato viceré il duca di Alcalà, l’ambasciatore con cui aveva avuto una relazione: lui le chiede un autoritratto e lei si dipinge come Allegoria della pittura, dove rappresenta sé stessa mentre è intenta a lavorare, una figura priva di idealizzazione con una fisicità salda e potente.
5Il soggiorno in Inghilterra e il ritorno a Napoli
Il padre Orazio aveva lavorato a Genova fino a che il lavoro era calato in favore del rivale Anton Van Dyck; aveva poi viaggiato a lungo fino ad accettare nel 1628 l’invito a recarsi alla corte d’Inghilterra ma era ormai anziano e stanco. Nel 1638 Carlo I invita a corte anche Artemisia per aiutare il padre, malato e depresso, a completare gli affreschi del palazzo.
Dopo la morte del padre nel 1639 e con lo scoppio della guerra civile nel 1642, Artemisia è costretta a tornare in Italia e sceglie Napoli dove vive, ormai sposata, con sua figlia Prudenzia. Scrive spesso al suo amico cardinale, don Antonio Ruffo, per chiedere aiuto economico: prestiti generici, sollecitazioni nel collocare le sue opere presso compratori prestigiosi, ma la vena artistica si è affievolita e la pittrice inizia a fare copie delle sue opere invece di creare soggetti originali. Muore a Napoli tra il 1652 e il 1653.
6Artemisia Gentileschi: stile pittorico
All’epoca le poche pittrici conosciute non potevano dipingere soggetti che non fossero nature morte e ritratti, anche se con risultati eccellenti. Artemisia sviluppa la propria arte sulla scia di quella di Orazio ma, al contrario del realismo idealista di stampo toscano del padre, il suo stile è fortemente realista e teatrale.
Predilige temi dell’Antico Testamento dove la protagonista non è tanto la vendetta della donna contro la prepotenza maschile, ma la ricerca di giustizia ad opera di una donna, anzi di donne: il suo tema più famoso è Giuditta e Oloferne, in due copie quasi identiche. Un’altra opera famosa è Susanna e i vecchioni, il suo primo capolavoro, dove la pittrice si prende la libertà di rendere la scena oltremodo sgradevole, riducendo la distanza fisica tra la ragazza e i due uomini, a sottolineare la mancanza di morale e scrupoli dei due.
Le donne che rappresenta sono lontane dai canoni dell’epoca, dove la donna poteva avere solo due aspetti: distaccato e angelico o terreno e corrotto. Anche quando subiscono un’ingiustizia, le sue donne sono soggetti attivi, nel reagire o nel mostrare apertamente lo sdegno e il giudizio morale, invitando lo spettatore a farsi giudice dell’affronto rappresentato nel quadro.
Per Artemisia talento e rigore sono stati abbastanza per rimanere nella storia ma non sufficienti per conoscere in vita la fama che le riconosciamo oggi: precocissima ma limitata allo studio paterno per formarsi, subisce violenza e una parziale giustizia per quanto le capita e deve lottare tutta la vita per affermare le proprie opere e ricavarne prestigio e sicurezza economica.
6.1Giuditta che decapita Oloferne
Una delle opere più famose di Artemisia Gentileschi è senza dubbio “Giuditta che decapita Oloferne”, un dipinto olio su tela oggi conservato a Napoli nel Museo nazionale di Capodimonte. Una seconda versione di dimensioni maggiori, con la Giuditta vestita di giallo, è invece esposta alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Nell’opera si nota l'influenza di Caravaggio col dipinto evocatore non solo nella crudezza della decapitazione ma nella postura stessa dell'eroina biblica. A differenza dell’opera di Caravaggio però in quella della Gentileschi si nota la collaborazione fra i due personaggi femminili che insieme sconfiggono il comune nemico.
7Curiosità su Artemisia Gentileschi
Uno dei pochi vantaggi che le vengono dall’essere una donna, è la possibilità di dipingere nudi femminili dal vero e acquisire una naturalezza nella rappresentazione del corpo femminile; riesce così a realizzare la maggior parte dei suoi capolavori prima di compiere 25 anni e ottenere il primato di essere ammessa, prima donna in assoluto, all'Accademia di Arte del Disegno di Firenze.
Ingegnosa oltre che ricca di talento, realizza un congegno con due specchi montati sui due lati per realizzare il suo Autoritratto come Allegoria della pittura e per potersi rappresentare in maniera realistica.
Ma la sua bravura non le risparmia critiche e compromessi: la figura dell'Inclinazione realizzata a casa di Buonarroti il Giovane inizialmente viene dipinta nuda ma poi viene rivestita all’altezza del busto con un drappo.
Giuditta e Oloferne, il suo dipinto più celebre realizzato per Cosimo II, venne tenuto nascosto a lungo perché ritenuto troppo truculento.
7.1Ascolta il podcast su Artemisia Gentileschi
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Domande & Risposte
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A quale corrente pittorica appartiene Artemisia Gentileschi?
Al caravaggismo, corrente pittorica dell'epoca barocca caratterizzata da forte teatralità.
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Quando è morta Artemisia Gentileschi?
E' morta a Napoli tra il 1652 e il 1653.
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Quali temi affronta nelle sue opere Artemisia Gentileschi?
Temi biblici rappresentati con stile drammatico ed espressivo.