Arte romana: periodi e caratteristiche
Riassunto sull’arte romana: periodi, caratteristiche e descrizione delle opere architettoniche più importanti della civiltà di Roma
Indice
Arte romana: periodi e caratteristiche
La storia di Roma, iniziata come una favola diventa la storia di un impero grandioso, simbolo stesso del potere e di un’unità fra culture profondamente diverse.
Nel corso di sette secoli, un piccolo centro sul colle Palatino, abitato da pastori e agricoltori, divenne infatti una delle potenze più grandi della storia: Roma, l’indiscussa capitale del mondo antico.
La storia dell’arte romana può suddividersi in tre lunghi periodi:
- Periodo monarchico: 753 - 509 a. C.
- Periodo repubblicano: 509 - 31 a. C.
- Periodo imperiale: 31 a.C. - 313 d. C.)
Il primo periodo va dalla fondazione di Roma (753 a.C.) fino alla cacciata di Tarquinio il superbo e alla fine della monarchia.
Il secondo periodo è quello della repubblica, che vede Roma affermarsi sul Lazio, sugli Etruschi, sugli altri popoli italici e sulla Magna Grecia e che conduce alla fine del I secolo a.C.
Il terzo è il periodo dell’impero (da Augusto a Costantino), durante il quale Roma organizza sotto il suo dominio popoli molto diversi ai quali offre una stessa lingua e un identico sistema di leggi.
Nell’età monarchica e in quella repubblicana, l’arte romana oscilla fra una corrente legata alla cultura italico-etrusca e la cultura figurativa greca.
Solo nei secoli imperiali si affermerà un autonomo e originale linguaggio artistico romano con una problematica formale del tutto indipendente dal mondo greco.
Il motivo fondamentale dell’arte romana, ciò che la distingue sia dall’arte greca che dal quella estrusca, è la funzionalità politica e sociale.
I romani mirano soprattutto all’organizzazione dello stato e alla sua progressiva espansione e l’opera d’arte a Roma rispecchia tutto questo: è propagandistica, è celebrativa, esalta la virtù e la grandezza della città.
Infatti il contributo romano è stato fondamentale e profondamente innovatore soprattutto nell’architettura: rispondendo ad una precisa funzione, l’architettura era più adatta ad esaltare la potenza di Roma conquistatrice e, rispetto alle arti figurative, era assai più vicina allo spirito pratico dei romani.
Arte romana, architettura: aspetti strutturali e formali
Pur attingendo all’esperienza greca, l’architettura romana elabora una propria ed originale concezione dello spazio e delle forme costruttive.
L’attività architettonica è per molti aspetti legata ad interessi pratici ed ideologici, che favoriscono il progresso delle tecniche costruttive.
Dovendo infatti risolvere problemi concreti quali fognature, condutture d’acqua, murature di sostegno, gli architetti acquisiscono un’esperienza nel settore delle tecniche costruttive che permetterà poi di affrontare problemi statici e formali estremamente complessi.
Alla base del sistema costruttivo non è come in Grecia il blocco di marmo squadrato ma un materiale povero, tenero, senza splendore come il tufo, spesso tagliato a forma di parallelepipedo e disposto a filari isodomi (di uguale altezza e spessore).
La grande scoperta è quella del cemento (opus cementicium), ottenuto impastando calce e sabbia, specie la pozzolana, sabbia vulcanica particolarmente adesiva.
Il cemento è versato alla rinfusa entro due muri laterali, formati o da pietre di forma irregolare (opus incertum) o da blocchetti piramidali le cui basi formano un disegno a reticolato (opus reticulatum).
Nell’età di Augusto (I sec. a.C. – I sec. d.C.) ha inizio anche l’uso del laterizio (opus latericium) cioè del mattone di argilla che, fin dai tempi più antichi essiccato al sole, viene adesso cotto in fornaci, uso che diventerà costante imprimendo una caratteristica inconfondibile a tutta l’architettura imperiale romana.
Il tipo di muratura che caratterizza l’architettura romana non ha certamente la nitidezza del marmo ma è leggera, elastica, flessibile: può giungere a grandi altezze, sopportare grandi carichi, cingere ampi spazi vuoti.
E’ soprattutto la più adatta ad uno sviluppo formale per linee e superfici curve: infatti nell’architettura romana, a differenza di quella greca impostata sul sistema trilitico e in generale sulle linee rette, il principio formale è la curva.
La linea retta ha un inizio e una fine: il tempio greco, rettilineo, può essere contemplato, immobile come una forma perfetta, immutabile, come se vivesse in eterno, al di fuori del tempo e dello spazio.
La linea curva, il cerchio soprattutto, non ha né inizio né fine. Se dall’esterno vediamo una costruzione curva, essa ci sfugge gradualmente da ambedue i lati; se la vediamo dall’interno, essa ci avvolge continuamente.
Si ha dunque un movimento dell’architettura nello spazio e una dilatazione dal centro verso il perimetro. L’architettura romana è spaziale: centripeta, perché il cerchio si domina dal centro, centrifuga per il senso di dilatazione perimetrale.
Essa risponde alle esigenze politiche dell’impero, vastissimo e dilatato fino alle più lontane regioni periferiche ma retto unitariamente dal centro del potere, la capitale.
Arte romana: architettura dell’età repubblicana
Il periodo repubblicano, che ha una grande importanza nella formazione della società romana e ne segna l’ascesa militare e politica, non presenta dal punto di vista artistico un particolare interesse, data la scarsità delle opere.
Per quanto concerne l’architettura, abbiamo poche testimonianze ma quello che si è conservato indica l’affermarsi di tendenze legate alla cultura etrusco-italica e – con la conquista dell’Italia meridionale e la sottomissione della Grecia (146 a.C.) – alla raffinata cultura greca.
I riflessi di questo orientamento sono evidenti in due templi che sorgono nel Foro Boario, a Roma.
Il tempio di Vesta è un tempio circolare periptero: la cella cilindrica è circondata da una peristasi di 20 colonne corinzie scanalate, mentre la trabeazione e la copertura originarie sono andate perdute.
Pur essendo di origine greca, il tempio ha caratteristiche romane per l’impostazione dinamica e per la continua variazione dei rapporti prospettici dovuta alla disposizione circolare delle colonne.
Queste sono scanalate come quelle greche però la scanalatura è profonda e genera dei forti chiaroscuri confermando il carattere maestoso e romaneggiante dell’edificio.
E’ di età repubblicana anche il Tempio delle Fortuna Virile. Si tratta di un edificio ionico e pseudoperiptero: in sostanza le colonne che circondano la cella non sono distaccate come nel tempio periptero bensì sono addossate al muro.
Il tempio sorge su un podio in tufo rivestito di travertino, e di tufo sono pure la cella e le semicolonne. Esso deriva sia da precedenti greci (il prònao, la cella, le colonne) ed etruschi (il podio sul quale si innalza e la gradinata di accesso), ma il chiaroscuro ha più robustezza e le cornici, fortemente aggettanti, sono dentellate.
Le colonne, che nel pronao svolgono la tradizionale funzione statica di sostegno, in corrispondenza della cella si trasformano in semicolonne ornamentali e ritmano la parete esterna, abbracciandola interamente e movimentandone l’andamento rettilineo.
Dunque nel tempio della Fortuna Virile troviamo sia colonne portanti che semicolonne ornamentali e tale compresenza diventerà un elemento predominante in tutta l’architettura romana.
Sono frequenti a Roma e in tutte le città romane, fin dall’età repubblicana, le basiliche, edifici civili costituiti principalmente da una grande sala rettangolare, destinata all’amministrazione della giustizia e ad attività commerciali.
Le basiliche potevano essere a tre o a cinque navate ed avevano sui lati corti un abside per ogni parte (una per il magistrato, l’altra per l’addetto al commercio). La copertura fu inizialmente a soffitto e poi successivamente con volte a botte e a crociera.
Fra le basiliche più antiche ricordiamo quella di Pompei e la basilica Giulia, fatta costruire da Cesare fra il 55 e il 44 a. C.
Opere architettoniche dell’età imperiale
Il periodo che va dalla fine del II° sec. a. C. a tutto il I° sec. a. C. è caratterizzato dalle guerre di espansione ma anche dalle terribili lotte di potere – le lotte fra Mario e Silla, la congiura di Catilina e la riforma dei Gracchi.
E’ il periodo della dittatura di Cesare e della sua morte violenta, del secondo triumvirato e della lotta fra Marco Antonio e Ottaviano, il nipote di Cesare. Con Ottaviano si giunge alla fine della guerra civile ma anche alla fine della repubblica.
Nel 27 a.C. Ottaviano viene proclamato Augusto e dà un nuovo impulso alla vita sociale, culturale ed artistica di Roma. Sorgono in questo periodo molti archi di trionfo, costruzioni onorarie edificate per onorare e glorificare l’imperatore.
In onore di Augusto vennero eretti ben 17 archi di trionfo, fra cui ricordiamo l’Arco di Augusto a Rimini.
E’ un arco a un solo fornice, a tutto sesto, e i pilastri sono ornati da due semicolonne corinzie scanalate, che formano con il timpano sovrastante quasi una grande incorniciatura di contenimento. La parte superiore merlata è un’aggiunta medioevale.
La volta è alta da terra poco più della larghezza della base, ciò le toglie snellezza ma le conferisce maestà. L’Arco di Augusto a Rimini esprime infatti quella grandezza, quella solennità e quella forza equilibrata che caratterizzano la politica di Augusto.
Lo schema semplice dell’arco affiancato da semicolonne addossate ai pilastri, che sarà tipico di tutta l’architettura romana, viene sviluppato in un altro edificio inaugurato nell’età augustea: il Teatro di Marcello.
Esso venne iniziato da Giulio Cesare e completato da Augusto, che lo dedicò al nipote Marcello, morto nel 23 a.C. E’ il più antico esempio di teatro in pietra a Roma e ci consente di cogliere le differenze fra il teatro romano e quello greco.
Mentre i greci costruivano i loro teatri addossandoli alle colline per sostenere il peso delle gradonate, i romani li costruivano isolati, quindi anche in pianura, utilizzando l’arco, che scarica le forze lungo direttrici predeterminate.
Non cambia la forma interna, con la cavea (gradonata semicircolare), ma si ha un modo diverso di concepire l’esterno. Questo è ad andamento curvo ed è caratterizzato da una serie di arcate sovrapposte.
L’arcata crea un moto che culmina nel vertice e si contrappone al riposo del pilastro. Dunque la successione di arcate alterna moto e riposo, generando un movimento continuo, lento se le arcate sono ampie, veloce se sono alte e strette.
Nel teatro di Marcello, la serie di arcate è duplice e ai pilastri sono addossate delle semicolonne, che sono tuscaniche al piano inferiore e ioniche a quello superiore.
L’ordine corinzio, che originariamente si sovrapponeva ai due inferiori, è scomparso perché è stato inglobato nelle strutture costruite in seguito. Questa sovrapposizione degli ordini architettonici, dal più massiccio in basso al più leggero in alto, diventerà una norma fondamentale nell’architettura romana.
Sotto Vespasiano, che fu proclamato imperatore nel 69 d.C. riuscì a ristabilire l’ordine dopo la fine della gens Iulia, l’arte romana raggiunge una completa autonomia di linguaggio.
Intorno al 70 d.C., Vespasiano dà inizio alla costruzione dell’Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo sia per le sue dimensioni colossali sia perché nei suoi pressi era collocato il Colosso di Nerone, una statua di grandi dimensioni che rappresentava appunto Nerone.
Malgrado l’origine greca della parola “amphitheatrum” (teatro tutt’intorno), non è greca né la funzione né la forma. In Grecia lo spettacolo ha finalità religiosa, educativa, a Roma invece lo scopo è il divertimento di grandi folle.
E non è greca la forma, perché se è vero che edifici circolari si trovano anche in Grecia, sono i Romani che adottano sistematicamente la pianta curvilinea per le loro costruzioni.
La pianta del Colosseo è ellittica, molto vicina al cerchio; un edificio circolare, se visto all’interno, ci avvolge continuativamente: nel Colosseo questa sensazione si accentua perché la curva si ripete, nella cavea, di gradino in gradino, in ellissi progressivamente più ampie dal basso verso l’alto, con un ritmo sempre più grandioso.
All’esterno, come nel teatro di Marcello, all’andamento convesso e quindi al moto continuo, si aggiunge un altro movimento ritmico, quello delle arcate sovrapposte e delle semicolonne che le incorniciano addossandosi ai pilastri e sovrapponendosi con la solita scansione, solo che qui l’ordine dorico è sostituito dal tuscanico.
Al di sopra del terzo livello, le cui semicolonne sono corinzie, è situato l’attico in muratura continua, suddiviso da semipilastri corinzi in spazi alternativamente occupati da finestre quadrate.
I corridoi interni, che assicuravano l’afflusso e il deflusso del pubblico, sono coperti da volte a crociera in opus caementicium. Dunque l’arco e la volta, esteticamente e tecnicamente, sono gli elementi dominanti del Colosseo.
A due terzi circa dell’altezza dell’attico, delle mensole sporgenti costituivano la base d’appoggio per dei pali di legno che avevano la funzione di sorreggere il velario: era questa una grande copertura di stoffa che proteggeva gli spettatori dalla pioggia e dal sole.
La vasta cavea era divisa in tre settori in senso orizzontale, detti gallerie; l’ultima di esse aveva le gradinate in legno per ridurre la spinta delle volte sulla parete dell’attico e, al di sopra dell’ultima galleria, un ampio corridoio con balconata offriva solo posti in piedi.
In senso verticale le scalinate dividevano la cavea in spicchi detti cunei. Due ingressi ai due lati opposti lungo l’asse maggiore davano accesso all’arena, dove si svolgevano gli spettacoli.
Dell’età flavia è anche l’Arco di Tito, eretto per celebrare le vittorie dell’imperatore Tito e di suo padre Vespasiano nella guerra giudaica.
L’arco, ad un fornice, è sostenuto da due grossi pilastri appoggiati su un'alta base. Agli angoli dei pilastri, troviamo quattro semicolonne:due sono scanalate e due sono lisce.
Rispetto agli archi augustei, vi è un maggior senso costruttivo nella robusta presenza della massa verticale (i pilastri) e orizzontale (l’attico che corona l’intero monumento).
Inoltre vi è anche un’articolazione volumetrica molto diversa dal linearismo degli archi augustei, che testimonia una sensibilità architettonica più matura e decisa nel rendere evidente il risalto plastico degli elementi curvilinei.
In questo arco compare per la prima volta il capitello composito, composto appunto dalle volute del capitello ionico e dalle foglie di acanto del capitello corinzio.
All’interno del monumento, sulle pereti laterali, vi sono due pannelli raffiguranti il Trionfo dell’imperatore: questo modo di narrare la gloria dei vincitori ha un’antica tradizione a Roma.
Durante i trionfi infatti, i romani portavano tavole dipinte con la rappresentazione dei fatti bellici salienti in modo tale che il popolo potesse averli davanti agli occhi, sceneggiati come le vicende dei cantastorie. I rilievi dell’Arco di Tito sono dunque storici perché narrano fatti di grande importanza nella storia romana.
Ma i fatti non sono semplicemente narrati, bensì sono collocati nello spazio e nel tempo; l’anonimo scultore è riuscito ad esprimere il movimento (tempo) entro un determinato ambiente (spazio).
Ciò è visibile soprattutto nel pannello che rappresenta il “Trasporto del bottino dal tempio di Gerusalemme”.
Mentre nell’Ara Pacis le figure occupano l’intera superficie della lastra, qui, al di sopra di esse, restano zone libere, entro cui si collocano gli oggetti trasportati: esiste un cielo, esiste uno spazio che è elemento indispensabile per la presenza dei volumi, quindi per la presenza delle cose e degli uomini, resa evidente dall’intensità del rilievo, dai contrasti fra luci ed ombre.
Al tempo stesso le figure più arretrate appaiono quasi confuse ed acquistano lontananza. Questo senso di profondità è determinato in gran parte dalla luce che non investe i pannelli frontalmente ma lateralmente, creando effetti di luce radente che esalta i diversi spessori delle sporgenze.
Concludendo, ricordiamo che l’Arco di Tito nella sua forma attuale è il risultato del restauro compiuto nel 1822 dal Valadier, il quale riuscì a distinguere le parti autentiche da quelle rifatte in modo da non creare un “falso” storico ed impostando così il restauro secondo una mentalità scientifica moderna.
Il successore di Traiano, Elio Adriano, imprime una svolta nello sviluppo dell’architettura romana: questo imperatore colto, raffinato, ammiratore della Grecia, cerca di dare alla cultura figurativa del proprio tempo un carattere decisamente classico.
Sotto il suo impero (117- 138 d.C.), viene realizzata un’opera di grande rilevanza nel campo dell’edilizia militare, il famoso Vallo di Adriano, una lunga muraglia difensiva che correva dalla costa occidentale a quella orientale della Britannia, dividendo la parte romanizzata dell’isola, quella meridionale, da quella settentrionale, la Caledonia (Scozia).
Presso Tivoli, Adriano fa costruire la famosa Villa Adriana, la più grande villa che sia mai stata costruita, progettata forse dallo stesso imperatore come luogo dove far rivivere nostalgicamente le esperienze compiute e i luoghi visitati durante i suoi viaggi.
Il vasto complesso, destinato per lo più alla rappresentanza e allo svago, comprende edifici i cui nomi alludono a luoghi celebri del mondo antico, fra i quali ricordiamo:
- il Canopo, un lungo canale concluso da una grande fontana e ornato da colonne e statue,
- il Pecile, un triportico ateniese allietato da una piscina,
- la Piazza d’oro, un vasto cortile porticato concluso da un enorme salone coperto a pianta mistilinea.
Il centro del complesso è costituito dal Teatro marittimo, una sorta di villa nella villa, uno scenografico edificio a pianta circolare, racchiuso da un muro e porticato al suo interno: il portico si affacciava su un canale anch’esso circolare che rendeva la villa un’isola artificiale.
Il teatro marittimo era probabilmente la residenza personale dell’imperatore e per questo doveva essere completamente isolabile.
Fra le opere architettoniche più importanti del periodo adrianeo ricordiamo una delle più alte manifestazioni artistiche della romanità: il Pantheon.
Dedicato a tutti gli dei o, forse, alle sette divinità planetarie, fu fatto ricostruire da Adriano intorno al 126 a.C., dopo che un incendio aveva danneggiato la precedente costruzione di età augustea.
Nel Pantheon, Adriano si propose di fissare la forma ideale del tempio rotondo: esso è infatti caratterizzato da una pianta circolare, sormontata da una cupola emisferica ed ha un’altezza totale pari al diametro di essa. Si tratta dunque di una forma geometrica semplice: una mezza sfera sovrapposta ad un cilindro di pari altezza e pari raggio.
L’architettura romana, in quanto spaziale, è architettura di interni; perciò anche nel Pantheon l’interno esprime più coerentemente questa concezione, alla quale sono funzionali perfino l’illuminazione e la decorazione della cupola.
Al vertice della calotta si apre un grande oculo, da cui scende uniforme una luce diffusa che si allarga fino a raggiungere il muro perimetrale, dopo aver sfiorato la superficie interna della cupola.
Su questa si trovano dei lacunari trapezoidali, più larghi dall’alto in basso, le cui cornici colpite dalla luce nella parte superiore, sono in ombra in quella inferiore.
Da questa alternanza nasce un ritmo che va allargandosi, via via che si discende, dal centro alla periferia. In basso, oltre all’abside arcuata che è collocata di fronte all’ingresso, si aprono sei nicchie architravate, ciascuna con al centro due colonne corinzie.
Gli effetti di luce sono intensi e ricercati: dalla penombra della sala, si passa ai giochi chiaroscurali creati dai cassettoni della cupola, per approdare alla luce piena che penetra dall’oculo.
Alla compiuta coerenza dell’interno non corrisponde l’esterno: l’andamento rettilineo del pronao octastilo non si collega organicamente con la struttura curvilinea dell’intera costruzione: il raccordo fra le due parti è costituito da un parallelepipedo, sul cui fondo si dispone il partito angolare del timpano, evitando così lo scontro ex-abrupto degli elementi rettilinei con la linea curva del tamburo e della cupola.
Ciononostante, si tratta più di un espediente che di un’effettiva soluzione architettonica. La forma del pronao è greca, e dimostra la formazione classicista e filoellenica dell’imperatore Adriano, però è romano lo spirito con cui è stato costruito: largo, possente, con le cornici dentellate e con il forte chiaroscuro generato dal contrasto fra la luminosità del fusto liscio delle colonne corinzie e l’ombra del profondo spazio retrostante.
L'arte romana alla fine dell’impero
Dopo Adriano e Marco Aurelio, l’impero romano si avvia verso la decadenza, tuttavia Roma rimane il centro del potere.
Le province orientali, di antica cultura e civiltà, pur ricevendo dalla capitale un linguaggio artistico unitario, lo adattano, lo trasformano e lo restituiscono, in un continuo scambio culturale destinato a modificare profondamente la tradizione romana.
L’influenza asiatica determina in architettura l’affermarsi di un indirizzo baroccheggiante, che trasforma la tradizionale circolarità planimetrica romana in un maestoso contrasto di masse in movimento.
Con Diocleziano (284-305 d.C.) si avrà un tentativo di una nuova organizzazione dell’impero: constatata l’impossibilità di tenere unito un impero così vasto, Diocleziano decide di dividerlo in due parti, Occidente e Oriente, con due imperatori (gli Augusti) e due successori designati (i Cesari), istituendo la tetrarchia.
Fallita anche la tetrarchia, dopo Massenzio, il potere passa nelle mani di Costantino che, con l’editto di Milano (313), concede libertà di culto ai cristiani, i quali cominciano così a costruire i primi edifici consacrati al loro culto.
Sotto il dominio di Diocleziano (284-305 d.C.), si costruiscono due edifici caratteristici della tarda romanità: le Terme e il Palazzo di Diocleziano a Spalato.
Le terme a Roma erano complessi edilizi adibiti a bagni pubblici: la struttura di base era caratterizzata dalla sequenza di alcune sale: frigidarium, tepidarium, calidarium, mentre ai lati di quest’asse si trovavano locali di servizio, palestre, biblioteche, giardini con ninfei.
Le terme erano inoltre arricchite con statue e decorazioni musive a rivestimento di pareti, volte e pavimenti. Le terme di Diocleziano erano le più grandi del mondo antico: erano costituite da un corpo centrale circondato da una corte con esedra e varie sale intorno.
La grande esedra serviva come cavea per assistere agli spettacoli. Agli angoli ovest e sud vi erano due sale circolari. Nel corpo centrale si susseguivano una piscina, un salone centrale, il tepidario, il calidario, e poi ai due lati le palestre e gli spogliatoi.
Il salone centrale fu trasformato da Michelangelo nella chiesa di S. Maria degli Angeli, dove ancora si conservano le colonne composite e le volte a crociera della copertura. Dalla grande esedra è stata invece ricavata la moderna piazza che ne conserva forma e nome.
Vicino alla città natale di Salona, in Dalmazia, Diocleziano si fece costruire un immenso palazzo, noto come il palazzo di Diocleziano a Spalato (Croazia).
E’ un palazzo molto diverso dai palazzi romani o dalle ville suburbane come l’estrosa Villa Adriana, ma è simile piuttosto ad una fortezza, con una tipologia che non avrà più riscontro nell’architettura domestica.
Di forma rettangolare, chiuso da una poderosa muraglia su tre lati della quale si aprivano altrettante porte, il palazzo si ingentiliva nella fronte prospiciente il mare, caratterizzata da una galleria ad archi nella parte superiore.
Dalla porta Nord, la Porta Aurea, partiva una via, il cardo, che in una piazzetta incontrava il decumano proveniente dalle porte est ed ovest. La pianta rispecchia fedelmente l’impianto dell’accampamento militare, il castrum.
La Porta Aurea è ornata in alto da una serie di archetti pensili: due di questi archetti comprendono una nicchia, in corrispondenza di altre due sottostanti. La porta è sormontata da un’apertura a semicerchio, alla cui base si trova un architrave a piattabanda.
Tutto esprime robustezza, severità di forme, senso della massa muraria, come vedremo vari secoli dopo nell’architettura medioevale.
Studiando l’architettura romana, abbiamo osservato come la colonna raramente funge da sostegno: ridotta a semicolonna, essa si addossa con scopo ornamentale al pilastro sul quale grava l’arco.
Nella corte d’onore del palazzo di Diocleziano, invece, l’arco si appoggia direttamente sulle colonne corinzie, come sarà poi nell’architettura cristiana, mentre il lato meridionale, sotto una trabeazione a timpano, viene tripartito da colonne aggettanti raccordate da architravi e da un arco centrale.
Di grande interesse è il Mausoleo dell’imperatore, che si affaccia sulla corte d’onore, poi trasformato in chiesa cristiana ed oggi Duomo di Spalato.
E’ un edificio a pianta centrale, come tutti i mausolei, secondo la concezione romana: è ottagonale all’esterno e circolare all’interno con sette nicchie radiali alternativamente rettangolari e semicircolari.
Si ripropone qui l’idea del moto dilatatorio dello spazio centralizzato, con il superamento del limite del muro, penetrato mediante le nicchie. Ma tutto ciò diventa fastoso, barocco, e per la scarsità di luce anche cupo pur nell’esuberante ricchezza.
Ai lati di ciascuna nicchia è addossata una colonna corinzia spogente sormontata da un dado e da un’architrave molto sporgente, il che determina un forte dinamismo architettonico.
In questa solenne grandezza si esprime la concezione superumana dell’imperatore divinizzato, non per superiorità interiore come Augusto ma per virtù soprannaturale, magica.
Il palazzo di Diocleziano rappresenta dunque un complesso architettonico fondamentale nel passaggio dall’arte romana a quella cristiana, dalla concezione positiva, realista e razionale dell’Occidente alla concezione mistica, spirituale ed astratta dell’Oriente.
Un nuovo impulso edilizio si ebbe a Roma sotto l’imperatore Massenzio ( 306 – 312 d. C.) che promosse la costruzione di grandiose costruzioni, fra cui occorre segnalare la Basilica di Massenzio.
A Roma le basiliche erano luoghi destinati all’amministrazione della giustizia e dove si riunivano i cittadini per trattare gli affari. Le più grandi erano divise in cinque navate ed avevano nei due lati corti un’abside per parte (una per il magistrato, l’altra per l’addetto al commercio).
La copertura fu inizialmente a soffitto e successivamente con volte a botte e a crociera. Iniziata da Massenzio e terminata da Costantino, la basilica di Massenzio era costituita da tre navate, la centrale sormontata da tre volte a crociera, le laterali da tre volte a botte perpendicolari all’asse principale: nove organismi strutturalmente autonomi, ma coordinati dal gioco curvilineo delle differenti coperture.
L’edificio riceveva luce da grandi finestre ad arco ma, data la complessità delle strutture architettoniche interne, l’illuminazione doveva essere contrastata, riflessa dalla ricca ornamentazione in marmo, interrotta dalle colonne e dai molteplici elementi decorativi.
L’ingresso era su uno dei lati brevi, mentre sul lato opposto si trovava una grande nicchia. Costantino aprì un altro ingresso su uno dei lati lunghi, facendo costruire di fronte una nuova nicchia.
Questa basilica, che da secoli rappresenta la più ricca fonte di ispirazione di organismi architettonici, è oggi un imponente rudere del quale sopravvivono tre grandi arcate della navata laterale e gli attacchi delle volte a crociera della navata centrale.