Arte fiamminga e arte italiana: caratteristiche e differenze

Arte fiamminga e arte italiana: differenze e descrizione delle opere Santa Barbara di Robert Campin e Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck e Cacciata dal Paradiso di Masaccio

Arte fiamminga e arte italiana: caratteristiche e differenze
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ARTE FIAMMINGA E ITALIANA

Il rinascimento, oltre che in Italia, si sviluppa quasi contemporaneamente nelle Fiandre e, più tardi, nel resto d’Europa, ma con caratteristiche diverse. Il rinnovamento artistico fiammingo, non visibile nell’architettura, trova invece la sua massima espressione nella pittura, per la quale soprattutto si usa la definizione di rinascimento fiammingo.
Anche nelle Fiandre, come in Italia, si cerca non tanto di rendere visibile le verità divine invisibili, come nel medioevo, quanto piuttosto di studiare ciò che è conoscibile da parte dell’uomo, ossia l’ambiente nel quale egli vive.

LE DIFFERENZE

In Italia tuttavia ciò significa, umanisticamente, il dominio dell’uomo, attraverso la ragione, sulle realtà che lo circonda, e quindi la comprensione del mondo mediante la legge prospettica che incatena tutte le cose al punto di vista dell’essere umano, centro dell’universo. Nelle Fiandre si compie invece uno studio minuzioso della realtà, osservandola nei dettagli in maniera lenticolare, accostando innumerevoli elementi l’uno all’altro senza una scala di priorità e raggiungendo così, anche quando l’ambiente vuole essere sereno, una sorta di sottile angoscia che si addice a una cultura settentrionale, priva della chiarezza di origine classica sempre presente in Italia: alla sintesi fiorentina si contrappone dunque l’analisi fiamminga.
Il colore viene unito a sostanze oleose, perfezionando la tecnica ad olio, adatto al loro stile di pittura che non procede a sintesi, ma ad analisi. Sul piano dei contenuti per la prima volta vengono sviluppati autonomamente e con nuove modalità particolari generi figurativi quali il ritratto, la natura morta, il paesaggio, la scena di genere.

ROBERT CAMPIN

Il primo arista fiammingo è Robert Campin noto come Maestro di Flémalle, che inserisce temi religiosi in tranquilli ambienti borghesi, accuratamente descritti nella loro intimità. Si veda, per esempio, in Santa Barbara, come, ancor più della protagonista assorta nella lettura, sia degno di attenzione ogni dettaglio: dentro la stanza i ceppi ardenti nel caminetto, le mattonelle del pavimento, il divano con le aperture trilobe e i cuscini rossi, gli oggetti posati qua e là, ognuno con l’ombra portata; fuori dalla finestra: una torre, persone che passeggiano, un cavaliere, sullo sfondo del cielo percorso da nubi bianche.

Jan Van Eyck

Ritratto dei coniugi Arnolfini, Van Eyck
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Il maggiore esponente della pittura fiamminga, al pari di Masaccio, è però Jan Van Eyck. Egli inizia come miniaturista caratterizzando le sue opere con l’uso di una prospettiva nella quale il punto di fuga decentrato crea un movimento rapido e sfuggente, mentre le vivaci figure umane sono piuttosto piccole rispetto all’ambiente e agli stessi mobili.
In seguito rielabora e perfeziona l’antica tecnica della pittura ad olio usandola in funzione espressiva e raggiungendo una qualità cromatica e un livello di realismo tali da rendere l’arte fiamminga tra le più ricercate e collezionate del tempo.

Nel celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini, il Van Eyck inserisce i personaggi all’interno di un ambiente familiare, la camera degli sposi.

Qui la scena ha un probabile scopo simbolico, così come il cagnolino in primo piano e l’unica candela accesa nella lumiera in alto: la camera, con il letto nuziale a destra, lo scranno sul fondo e la finestra che comunica con l’esterno, è il luogo sacro dell’unione matrimoniale, mentre la finestra significa il rapporto tra la famiglia che si è formata e la società, il cagnolino è il simbolo della fedeltà e la candela lo è della vita che si consuma giorno dopo giorno. 

Posto sulla parete di fondo è uno specchio (simbolo dell’anima) dall’andamento curveggiante, accompagnato e sottolineato, per meglio evidenziarlo, dalle braccia degli sposi che si tengono per mano. Esso, in quanto convesso, riflette tutto ciò che è nella stanza e perfino due persone che stanno entrando, una delle quali è probabilmente il pittore stesso, come sembra indicare la scritta collocata sopra: Johannes de eyck fuit hic (“Jan van Eyck fu qui”). La presenza, nello specchio, delle altre due persone, ha fatto anche pensare che il quadro rappresenti la cerimonia nuziale e che esse ne fossero i testimoni.

 Al di là dei significati simbolici, al di là anche dell’indubbio virtuosismo tecnico nella rappresentazione di tanti particolari, il quadro ha un suo alto valore pittorico nell’equilibrata disposizione dei protagonisti, armonicamente coordinati allo spazio e a ogni oggetto, resi ancora più solenni ed immobili dalla luce fredda e diffusa che trascorre ed indugia sui singoli dettagli.

LA PITTURA ITALIANA

L’orientamento che accomuna le arti, le lettere, la filosofia e la matematica nella Firenze del primo Quattrocento è il ritorno all’antico. Sul piano artistico i fondatori del movimento rinascimentale, Brunelleschi e Donatello, frequentano assiduamente Roma per studiare e analizzare edifici e statue antiche. Ciò che contraddistingue questa “imitazione” dell’arte classica è che non si ferma sull’emulazione, alla superficie, ma ricerca ostinatamente “il segreto di un ritmo, la legge di un’armonia”, “la ragione profonda di quella perfezione” che si vuol far propria, come sottolinea Eugenio Garin: non dunque modelli lontani, ma esperienze concrete e vitali. È questo approccio a permettere agli artisti rinascimentali di essere nel contempo gli eredi della tradizione antica e i fondatori della modernità, i primi rigorosi storici dell’arte e i più liberi sperimentatori, i più tradizionalisti e i più rivoluzionari.

La realtà e la sua rappresentabilità vengono regolate dalla matematica e si tenta di comprendere razionalmente lo spazio per mezzo della sua misurazione rigorosa, riconducendolo a unità di misura aritmetiche. I numeri permettono di giungere a quella proporzione, a quell’armonia che è l’anima della bellezza stessa, si tratti di corpi scolpiti nel marmo, di basiliche o di palazzi, di dipinti su tela o di affreschi.

La più rivoluzionaria innovazione apportata dai rinascimentali, che discende e nel contempo rappresenta al meglio questo nuovo approccio a un cosmo matematizzato, decifrabile e decodificabile attraverso strumenti rigorosamente geometrici e aritmetici, è la prospettiva lineare.

Con essa la terza dimensione viene trasposta su una superficie bidimensionale, ingabbiando lo spazio in una rete di linee che seguono le regole della costruzione prospettica. La scoperta viene ricondotta a un esperimento svolto da Filippo Brunelleschi per mezzo di uno specchio e di una tavoletta bucata di fronte al Battistero di Firenze.

Sono tre gli artisti che, nel giro di quattro decenni, hanno dato vita all’arte rinascimentale, spezzando i legami con l’eredità gotica e reinterpretando l’arte antica: Brunelleschi, padre dell’architettura moderna e della prospettiva lineare; Donatello, che per primo applica la scoperta dell’amico su una superficie bidimensionale marmorea e recupera la plasticità della scultura romana; Masaccio, che applica la prospettiva lineare nella pittura e ripropone l’uso del chiaroscuro antico.

Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai, detto Masaccio, a vent’anni, guidato dagli amici più anziani Brunelleschi e Donatello, spezza senza indugi i legami col passato-presente tardogotico: pur riprendendo l’eredità giottesca, scolpisce le volumetrie di corpi reali e pesanti con decisi, quasi violenti chiaroscuri, trasportandoli in spazi costruiti secondo le rigorose regole della prospettiva. È Masaccio che riesce a rappresentare la realtà come se fosse percepita “dal vero”, come se gli spettatori ne fossero diretti testimoni; è con Masaccio che lo spazio figurativo assume la consistenza di un solido tridimensionale attraversabile da figure in movimento, caratterizzate oltretutto da una straordinaria capacità espressiva e da un assoluto naturalismo; è sempre Masaccio che, nonostante muoia a soli ventisette anni, crea in un lampo la pittura moderna.

La Cacciata dei progenitori dall'Eden, Masaccio
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La sua opera a mio avviso più bella e che esprime al meglio la sua innovativa espressività dei soggetti è la Cacciata dal Paradiso. L’affresco si trova nella Cappella Brancacci e fa parte di un ciclo destinato a celebrare il ruolo della Chiesa nel piano di redenzione approntato da Dio. La narrazione è incentrata sul racconto della vita e dei miracoli di san Pietro, che rappresenta la possibilità della redenzione rispetto ai due affreschi contrapposti del Peccato originale e della Cacciata dal Paradiso appunto. La narrazione si svolge in dodici scene, dall’alto verso il basso, alternando gli episodi della parete destra con quelli della parete sinistra. Assistiamo così a tutti gli episodi evangelici più significativi dell’apostolo, dall’apprendistato e dall’obbedienza alla guida della Chiesa, fino alla morte per crocifissione.

Quanto al significato del ciclo, resta ancora da chiarire la connessione fra le storie del Vecchio Testamento, quelle di san Pietro e la sua famiglia. L’intervento di Felice Brancacci sembra essersi limitato alla scelta del tema generale degli affreschi; la presenza di san Pietro dipende forse dall’antica intitolazione della cappella al santo, e dal fatto che il ciclo vuole commemorare il progenitore della casata, Pietro Brancacci. Di certo il programma iconografico esprime con coerenza la riunificazione della Chiesa occidentale professata dall’ordine dei Carmelitani.

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