Apologia di Socrate: trama, spiegazione e analisi
Indice
1Apologia di Socrate: introduzione
L’Apologia di Socrate, composta probabilmente tra il 399 e il 388 a.C. è generalmente considerato uno dei primi scritti letterari e filosofici di Platone, esplicitamente dedicato alla figura eccezionale del suo maestro Socrate. L’opera riporta per esteso i discorsi tenuti da Socrate in propria difesa (apologia) nel corso del processo che lo condannò a morte nel 399 a.C..
Attraverso la ricostruzione narrativa, Platone ci presenta un ritratto umano e filosofico di Socrate, sottolineando l’esemplarità morale della scelta di vita portata avanti dal suo maestro, riassumibile nella celebre frase: «Una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta dall’uomo» (38a).
L’Apologia di Socrate mette in scena in maniera drammatica quel conflitto tra politica e filosofia, Stato e filosofo, che farà da sfondo a tutto il pensiero successivo di Platone e che lo poterà a immaginare nella Repubblica (Politeia) una città diversa, governata dalla saggezza dei filosofi.
Sebbene Socrate sia il protagonista di quasi tutti i dialoghi scritti da Platone, l’Apologia ha qualcosa di speciale: è l’unico testo a riportare nel titolo stesso il nome di Socrate. In quasi tutti gli altri scritti di Platone, infatti, il titolo è dato dal deuteragonista con il quale solitamente Socrate dialoga (ad esempio: Fedone, Menone, Teeteto, ecc.).
A detta di molti studiosi, proprio questa differenza sarebbe un indizio importante per inquadrare il significato dell’Apologia. Seguendo un procedimento letterario classico, negli altri dialoghi Platone ricorre a Socrate come personaggio narrativo per sostenere le proprie teorie filosofiche. Nell’Apologia di Socrate, invece, Platone intende dare parola al suo maestro in carne e ossa, dando una testimonianza storicamente attendibile del processo.
1.1L’accusa a Socrate
Oltre a essere un’opera letteraria e filosofica, l’Apologia è quindi anche un documento storico relativo al processo a Socrate. L’antefatto del processo è noto e riportato anche nel dialogo.
All’età di settanta anni, dopo aver vissuto tutta la sua vita ad Atene, Socrate viene accusato da Meleto, un giovane poeta di scarso successo, di empietà e corruzione dei giovani. Il testo integrale dell’accusa mossa a Socrate, conservato nell’archivio di Stato di Atene, detto Metroo, ci è stato riportato da Diogene Laerzio: «Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece, presentò questa accusa e la giurò: Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèi che la Città rispetta e di introdurre nuove divinità; è colpevole anche di corrompere i giovani. Pena richiesta: la morte» (II, 40).
1.2L’Apologia di Socrate e la verità storica
Nell’accusare pubblicamente Socrate, però, Meleto non si era mosso da solo. Secondo diverse fonti storiche, Meleto sarebbe stato una pedina nelle mani di altri più potenti, politici e retori, interessati a incastrare Socrate, dopo aver messo in giro delle calunnie sul suo conto, rese celebri da Le Nuvole, commedia di Aristofane nella quale Socrate viene sbeffeggiato.
Due in particolare sarebbero state le figure chiave dietro al processo contro Socrate: il politico Anito e il retore Licone, entrambi vittime dell’ironia socratica. Diogene Laerzio racconta che «Anito […] mal sopportò la canzonatura di Socrate e prima attirò contro di lui Aristofane e i suoi amici, poi indusse Meleto a intentargli processo, sotto l’accusa di empietà e di corruzione dei giovani […]; tutti i preparativi procedurali furono assolti dal demagogo Licone» (II, 38).
1.3La forma del processo nell’Apologia di Socrate
La struttura letteraria dell’Apologia di Socrate ricalca da vicino la forma del processo penale caratteristica dell’epoca. Secondo le leggi ateniesi, un processo di Stato per condanna a morte doveva necessariamente svolgersi in un tempo piuttosto breve e comunque mai oltre la durata di una sola giornata.
D’altra parte, un simile processo prevedeva il ricorso a una giuria molto numerosa, composta di almeno 500 giurati, i quali erano chiamati a svolgere due votazioni.
Nel complesso, quindi, sebbene di una sola giornata, il procedimento era piuttosto lungo ed era scandito in questo modo: dopo che l’accusa aveva illustrato i capi di imputazione, veniva data parola all’accusato per un primo discorso di difesa. Subito dopo, aveva luogo una prima votazione, con la quale i giudici si esprimevano a favore della condanna o dell’assoluzione.
Nel caso in cui la pena proposta fosse la morte, la legge ateniese offriva all’accusato la possibilità di fare una controproposta (antitimesis), chiedendo una pena alternativa e più mite con un secondo discorso. Di conseguenza, i giudici erano chiamati a fare una seconda votazione, per approvare o respingere la proposta alternativa.
L’esito di questa seconda votazione era definitivo e non più discutibile. Da quel momento in poi l’accusato non aveva più diritto di replica.
1.4Apologia di Socrate: struttura dell’opera
Tuttavia, oltre a essere un documento storico, l’Apologia di Socrate rimane pur sempre un’opera letteraria e filosofica. Così, alcuni momenti del processo non vengono riportati. Come ogni grande narratore, Platone sceglie cosa raccontare e su che cosa far cadere l’attenzione del lettore. La scelta cade, perciò, unicamente sulle fasi del processo nelle quali Socrate prende la parola. Non abbiamo quindi testimonianza del discorso dell’accusa, né dei momenti, senz’altro turbolenti, delle due votazioni.
Di conseguenza, l’Apologia di Socrate si divide in tre parti, a cui corrispondono tre diversi discorsi socratici. La prima parte riporta il primo discorso di Socrate, la sua vera e propria difesa. La seconda parte riporta il secondo discorso di Socrate, la controproposta avanzata per mitigare la pena. Infine, stabilita ormai la condanna a morte e chiusosi il processo, la terza parte riporta un terzo discorso di Socrate, che non rientra nella struttura del processo ed è probabilmente un’invenzione letteraria di Platone, il commiato di Socrate rivolto a tutti i concittadini ateniesi, amici e nemici, e un’esortazione a continuare a filosofare nonostante tutto.
Prima parte: primo discorso di Socrate, difesa (apologia).
Seconda parte: secondo discorso di Socrate, controproposta (antitimesis).
Terza parte: terzo discorso di Socrate, commiato (probabile invenzione di Platone).
2Apologia di Socrate, trama
2.1Il primo discorso
Socrate esordisce distinguendo tra retorica e franchezza, opponendole come la menzogna alla verità. La sua difesa si baserà solamente sulla propria sincerità nel riportare i fatti. Per questo motivo, Socrate prende le mosse ricordando le calunnie di cui è stato bersaglio negli anni, che fanno da sfondo alla denuncia formale presentata da Meleto.
Allora come ora, afferma, viene accusato di diffondere speculazioni sulla natura che offendono la religiosità tradizionale. Socrate prende anche le distanze dall’accusa di essere un retore sofista, capace di rovesciare ogni ragionamento dalla sua parte, ricordando alla giuria di non aver mai dato lezioni dietro compenso e di non essersi mai professato sapiente.
2.2L’equivoco all’origine delle calunnie
Socrate ricostruisce allora l’origine di queste calunnie, riportandole a un’interpretazione equivoca della sentenza dell’Oracolo di Delfi che lo aveva indicato come il più sapiente fra gli uomini. Il vero senso di quella sentenza oracolare è un altro: Socrate non è l’uomo più sapiente perché sa tutto, ma è l’uomo più sapiente perché è l’unico a sapere di non sapere, ovvero a non fingere di sapere ciò che in realtà non sa.
Tuttavia, la dimostrazione di questo suo non sapere, attraverso la quotidiana confutazione dei suoi concittadini cosiddetti “sapienti”, gli ha attirato l’inimicizia di molti uomini influenti, che adesso si vendicano attraverso Meleto.
2.3La confutazione delle accuse
Rivolgendosi direttamente all’accusatore Meleto in un interrogatorio confutatorio a propria difesa, Socrate dimostra la falsità dei capi d’accusa. L’accusa di corrompere i giovani si mostra debole poiché non è chiaro nemmeno all’accusatore chi avrebbe le competenze per educare i giovani e Meleto stesso è costretto a riconoscere che sarebbe piuttosto strano che solo Socrate tra tutti i cittadini di Atene sia un corruttore e non invece un educatore.
L’accusa di aver introdotto nuove divinità si rivela invece contraddittoria, poiché Meleto, facendo riferimento al daimon socratico, allo stesso tempo afferma e nega che Socrate creda in entità divine, riconoscendogli dunque, almeno in parte, una propria forma di pietà religiosa.
2.4La morale di Socrate
Socrate difende la propria religiosità attribuendo alla propria missione critica di confutazione del falso sapere un valore divino. Confutare chi si crede sapiente è una missione affidatagli dal dio. Pur di portarla avanti Socrate si dichiara pronto a morire e a rinunciare ai propri beni materiali personali. La cura di sé, della propria anima, e la ricerca del bene costituiscono per Socrate il compito più alto per l’essere umano e il suo dono alla città di Atene.
Socrate mette in luce, infatti, come la sua attività critica e confutatoria debba essere interpretata come uno stimolo e un beneficio per la città. Socrate chiude il suo primo discorso, la sua difesa, rinunciando a fare leva sulla compassione dei giurati attraverso la supplica e la richiesta di indulgenza. Socrate, infatti, sa di essere innocente, vittima dell’invidia e dell’inimicizia di suoi concittadini più potenti e influenti, e non intende cedere di un passo, difendendo la propria dignità e mantenendosi orgogliosamente fedele alla sua etica della ricerca della verità.
Anche durante il processo, quindi, Socrate stimola la città di Atene e incalza la giuria a non venire meno al giuramento fatto di decidere secondo giustizia e non secondo compassione.
2.5Il secondo discorso
Dopo il verdetto, Socrate inizia il suo secondo discorso affermando orgogliosamente di non meritare una punizione, bensì una ricompensa per i benefici resi alla città con la sua pratica dialogica volta a risvegliare la coscienza dei concittadini.
Dovendo necessariamente controproporre una pena, dopo aver escluso l’esilio e la carcerazione che gli toglierebbero la libertà di proseguire la propria missione critica, Socrate si dichiara disponibile a pagare una multa, eventualmente facendo ricorso all’aiuto economico dei suoi amici e discepoli, tra cui figura Platone.
2.6Il terzo discorso
Decretata la pena capitale, Socrate rivolge la parola ai suoi concittadini per la terza e ultima volta. Rivolgendosi a coloro che lo hanno condannato, Socrate rimarca con ostinazione la scelta fatta di appellarsi alla giustizia senza fare leva sulla compassione dei giurati. Inoltre, preannuncia alla città che la sua morte non avrebbe messo fine all’opera da lui iniziata, poiché i suoi discepoli avrebbero proseguito la sua impresa critica negli anni a venire.
Rivolgendosi, invece, a quanti erano stati favorevoli alla sua assoluzione, e agli amici presenti al processo, Socrate afferma che la sua condanna a morte può essere vista non come una disgrazia, bensì come il segno di un destino superiore. Il suo daimon, la voce interiore che lo trattiene dal fare o dal dire qualcosa, durante il processo non si è palesato, a riprova del fatto che nulla è accaduto invano. L’ultimo insegnamento pubblico di Socrate riguarda l’inconoscibilità della morte, che forse non è un male per l’uomo, bensì una meta migliore, o comunque un al di là della vita.
2.7Riflessioni sulla morte
Nell’ultima parte del suo discorso Socrate riflette sulla morte, cercando di dimostrare con un ragionamento logico che questa non è da considerarsi un male. L’anima, secondo Socrate, può essere di due tipologie: mortale o immortale. Nel caso in cui l’anima fosse mortale, ci sarebbe la fine assoluta, il nulla, quindi non serve temerla perché non si avrebbe consapevolezza, come quando ci si addormenta. La morte non è quindi un male, ma la fine di ogni male. Superando la teoria pitagorica della trasmigrazione delle anime, Socrate definisce anche il concetto di anima immortale, in tal caso la morte consisterebbe soltanto nel passaggio dalla dimensione temporale finita a quella eterna.
Il riferimento alla presenza di un “luogo eterno” dove soggiornano le anime dei morti, è presente anche nel Gorgia, nel Fedone e nella Repubblica (Platone). Partendo da varie tradizioni filosofiche e mitiche, Platone fa propria la concezione di metempsicosi che presenta in diversi miti escatologici. Nella Apologia viene attribuita a Socrate.