29 anni, una laurea e tante idee: Antonio e le cooperative sociali anti-povertà

La felicità è una costruzione collettiva:è questo ciò che ha compreso Antonio Colangelo dopo aver lasciato l'Italia per andare in Brasile a lavorare con i ragazzi disagiati delle favelas. Una laurea in tasca e tante idee da mettere in pratica a favore degli altri. Ecco cos'è e cosa offre ai giovani la "cooperazione internazionale"

29 anni, una laurea e tante idee: Antonio e le cooperative sociali anti-povertà

COOPERATIVE SOCIALI ANTI POVERTA' - A soli 29 anni il lucano Antonio Colangelo è diventato coordinatore generale del progetto "Rete di cooperazione Berimbau" e responsabile dei progetti dell'Associazione Scuola Università Ricerca (ASSUR). Dopo una laurea in Scienze politiche e un pò di gavetta nel mondo delle onlus, ha deciso di svillupare dei suoi progetti e di dedicarsi alla "cooperazione internazionale".

Antonio ha lavorato un anno in Brasile e ha insegnato a 100 giovani come sottrarsi alla povertà delle favelas. Ora è tornato in Italia per raccontare la sua esperienza e i futuribili sviluppi dell'attività di cooperazione.

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Partiamo dall'inizio: dove è cominciata la tua esperienza umana e professionale?

E' cominciato tutto 10 anni fa in Basilicata, per la precisione a Stigliano, il mio paese, dove appena maggiorenne e con l'aiuto di alcuni amici ho creato una piccola associazione culturale, "Mananderr", che in lucano significa "mano a terra", espressione tipica dei giocatori di carte. Se durante il gioco si sospetta che qualcuno stia barando, si pronuncia appunto "mananderr", si rimescolano le carte e si ricomincia da capo. Noi volevamo proprio questo per il nostro territorio, rimescolare le carte e ricominciare da capo! Ci occupavamo di sviluppo locale e tramite un giornalino autoprodotto cercavamo di proporre una "lettura critica" del nostro territorio, e più in generale del mezzogiorno. Dopo la prima fase abbiamo pensato di non lasciare solo sulla carta le nostre idee. Volevamo fare qualcosa di concreto, dei percorsi alternativi per la nostra terra che fossero esemplari. Nel 2001 abbiamo dato vita al "Festival delle arti di strada" (Lucania Buskers Festival), una piccola rassegna con 10 artisti, di cui uno internazionale. Lo scopo era quello di rivalutare i centri antichi e di creare uno sviluppo sostenibile e alternativo nell'entroterra lucano. Il primo anno lo organizzammo solo nel nostro paese, il secondo anno creammo una rete di tre paesi e adesso è diventata una rassegna che dura tutto il mese di agosto! Inoltre all'interno del festival organizzammo anche la "fiera dei produttori locali", che aveva l'obiettivo di dare visibilità ai prodotti tipici della Basilicata. Abbiamo messo "in rete" una quindicina di produttori con il nome di "Bios-fiera". Da questa esperienza è nato un consorzio, delle coperative e delle imprese giovanili.

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Cosa hai imparato da questo primo approccio al lavoro?

Anche essendo presidente di questa associazione per quattro anni non ho mai visto un soldo! Però ho cominciato ad essere totalmente autodidatta nella progettazione e nella realizzazione delle mie idee, imparando anche a rapportarmi con le istituzioni locali, da cui spesso abbiamo avuto fondi e sovvenzionamenti. All'inizio è stato molto difficile, bisogna saper scrivere un progetto, proporlo agli enti pubblici, prendere contatti. Abbiamo imparato tante cose facendole e sbagliando a volte, mentre adesso per i giovani c'è un master per qualsiasi ambito, che crede di poter spianare la strada o insegnare a realizzare delle idee.

Dopo la "gavetta" in Basilicata cosa è successo?

Nel frattempo che i miei progetti avanzavano, mi sono iscritto e laureato a Napoli, alla facoltà di Scienze politiche dell'Università Orientale. Dopo la laurea sono giunto a Roma, tramite delle proposte dell'Assur (Associazione scuola università ricerca). Lasciai la presidenza della onlus in Basilicata e visto che anche il nuovo lavoro era su base volontaria e non prevedeva remunerazione, mi sono mantenuto facendo l'aiuto cameriere in nero dalle 18 alle 5 di mattina. Il giorno seguivo alcuni progetti e il pomeriggio svolgevo un'altra mansione. I primi mesi furono un inferno e dormivo solo 3/4 ore a notte! Per fortuna cominciarono a sovvenzionarci i primi lavori ed entrai in contatto con tante realtà non solo nazionali che orbitano intorno al mondo della scuola e della formazione. E' qui che conobbi le opportunità fornite dalla "cooperazione internazionale". La Regione Lazio finanziò il primo progetto, "Laboratorio del mediterraneo" e per me il cambio di prospettiva fu un'evoluzione abbastanza naturale di quanto fatto fino ad allora.

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E il progetto che ti ha portato in Brasile da dove è nato?

Bisogna innanzitutto valutare alcuni processi che causano ingiustizia ed esclusione sociale e fratture tra centro e periferie del mondo. Io vengo da una periferia e mi identifico con chiunque viva lontano dai centri del potere economico e sociale. Il dislivello è stato creato dall'uomo e come nel caso della mia Onlus in Basilicata, ho pensato di fare qualcosa che invertisse la tendenza e rimescolasse le carte in tavola. In Brasile già esisteva un progetto chiamato "Aquilone", che ha creato scambi interculturali tra i bambini delle favelas di Florianopolis e quelli delle scuole italiane. Sulla scia di questo progetto insieme ad ASSUR, MCE (Movimento di Cooperazione Educativa), Municipio Roma XI, CCEA (Centro Culturale Escrava Anastacia - Brasile) abbiamo vinto un bando del Monte dei Paschi di Siena e abbiamo sviluppato nel concreto il già esistente 'incubatore popolare di imprese coperative' per i giovani delle favelas di Florianopolis.

Qual è stato il vostro sostegno ai ragazzi delle favelas?

Con il progetto sono state create 6 imprese cooperative in partnenariato con il Governo Federale ed il Ministero del Lavoro Brasiliano. Abbiamo sottratto 100 giovani al narcotraffico, alla prostituzione e alla povertà. E' nata ed è in evoluzione, una metodologia di creazione di imprese dove prima non c'era nulla. Inoltre se il progetto si consolida aprirà la strada ad altre imprese e quindi ad ancora più lavoro per molti altri giovani. L'idea a parer mio è esportabile in Brasile come in Italia come in qualsiasi altro posto.

Appunto. Perchè solo in Brasile? Non ci sarebbe bisogno che qualcuno creasse lavoro e imprese sociali anche in Italia?

Certo, quando parlo di 'cittadinanza' e di diritti negati penso anche a noi Italiani. L'esperienza in Brasile deve far riflettere. Chi vive in una periferia, qualsiasi essa sia, deve avere una possibilità di riscatto sociale. E il nostro lavoro è un esempio esportabile ma anche importabile... Dal Sud Italia si emigra ancora per la mancanza di lavoro e opportunità e spero che anche tramite il nostro esempio le istituzioni si sveglino. Questa storia non deve essere letta nella sua straordinarietà ma invece nella sua assoluta normalità. Gli eroi non siamo noi ma i ragazzi che sono riusciti a realizzare un sogno concreto. Se esistessero uguaglianza e libertà non ci sarebbe stato bisogno del nostro apporto. Quello della "cittadinanza" è un diritto trasversale alle singole nazioni e ai popoli e non dovrebbe essere acquisito con tanta difficoltà. Io non mi sento cittadino se un altro individuo è privato dei miei stessi diritti.

Passare dalla periferia di Stigliano alla cooperazione internazionale in Braile...non è un bel salto?

Mi occupavo di sviluppo a livello locale e penso che la cooperazione più efficace è quella decentrata, che crea delle reti di espansione nei piccoli centri. 'Pensarsi globalmente, agendo localmente'.

Dopo questo anno di lavoro stai pensando di riprendere gli studi con un dottorato di ricerca?

Lo studio è importantissimo e devo molto non tanto al "pezzo di carta" che ho preso a Napoli ma alla formazione che ho acquisito studiando. Ringrazio lo studio e non la laurea. Mi ha aiutato soprattutto a livello professionale, e non farei ciò che faccio se non avessi affinato il mio sapere sui libri. Ora una professoressa dell'Università dello Stato di Santa Caterina, mi ha proposto di legare il lavoro fatto in Brasile, l'esperienza umana e quella intellettuale, in un progetto di ricerca. La cultura ci fa mettere in discussione e ci fa crescere. Stiamo creando un gruppo di studio su alcuni autori critici della modernità occidentale, che ci aiuta anche a pensare al nostro lavoro a livello metodologico e pratico.


Volendo consigliare qualcosa ad altri giovani come te che sono ricchi di idee ma privi di esperienza?

Non ci si sveglia con un'idea e la si mette in pratica da "lupi solitari". Bisogna cominciare da una lettura critica della realtà e poi bisogna saper articolare un progetto confrontando le proprie opinioni con quelle degli altri, verificare le condizioni di fattibilità e solo alla fine osare, provarci.

Quale storia, tra i 100 giovani con cui hai lavorato, ti ha colpito maggiormente?

Ce ne sarebbero tante, forse tutte, visto che l'elemento comune è la povertà, l'esclusione, la discriminazione razziale, la criminalità, la destrutturazione delle famiglie. Comunque penso spesso alla storia di una ragazza che si è iscritta ad uno dei primi piani di impresa che abbiamo organizzato, che riguardava un corso di formazione di "estetica afro". Questa ragazza ha 31 anni, 6 figli e uno stato di povertà assoluto. Quasi non aveva di che vestirsi e trascurava parecchio il suo aspetto. Non guardava mai nessuno in viso mentre parlava e aveva sempre uno sguardo stanco e abbrutito dalla vita. Molti mi fecero notare come la scelta di accoglierla fosse stata un pò affrettata visto che il tema portante del corso era l'estetica. Invece le donammo piena fiducia e dopo solo tre mesi era già una persona diversa: ha riacquistato un sorriso luminoso, cura nuovamente il suo aspetto fisico e soprattutto ha cominciato a credere in sè stessa, assumendo un ruolo importante nel consiglio fiscale della coperativa. Lei si è riabilitata come donna, come persona e come cittadina. I suoi figli adesso vanno a scuola e lei comincia a pianificare la sua vita. Vivendo lì ho decostruito il pregiudizio borghese secondo cui i problemi dei poveri si risolvono solo dandogli un pasto. Bisogna dare a chiunque un'opportunità.

In conclusione: se volessimo raccontare questa tuo anno in Brasile come una favola, che titolo gli daremmo?

"La felicità è una costruzione collettiva".

Link utili: CCEA (Centro Culturale Escrava Anastacia)

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