Capitolo 7 de I promessi sposi di Alessandro Manzoni: analisi
Analisi del capitolo 7 de I promessi sposi di Alessandro Manzoni: struttura narrativa, la morale dell'oste, visione etica e giustizia in Manzoni.
Capitolo 7 de I promessi sposi: struttura narrativa
Il settimo capitolo è un capitolo di transizione perché prepara il lettore alla “notte degli imbrogli” che troviamo nel capitolo successivo. Qui tutti i personaggi che abbiamo visto fin'ora confluiscono insieme e vanno a formare 2 gruppi:
- Il gruppo dei "buoni", favorevoli al matrimonio (Agnese, fra Cristoforo, Menico, Tonio Gervaso, e i promessi, ovviamente);
- Il gruppo dei "cattivi", che cercano di ostacolarlo (don Rodrigo, il Griso, don Abbondio e i conniventi indiretti).
In questo capitolo la suspence nasce dal fatto che ognuno dei due gruppi fa i suoi preparativi all'insaputa dell'altro:
- i bravi in incognito vengono mandati da don Rodrigo a sondare il terreno;
- con il suo scoppio d'ira, Renzo ottiene finalmente il consenso di Lucia alle nozze;
In questo capitolo troviamo un approfondimento della psicologia di don Rodrigo che esce perdente dal confronto con il servo Griso, coinvolto nel tentato rapimento di Lucia. Ma don Rodrigo è rimasto scosso dal presagio di padre Cristoforo mentre il Griso, pur essendo un servo, ha molto meno timore di lui.
Capitolo 7 de I promessi sposi: la morale dell’oste
In questo capitolo troviamo il primo degli osti di Manzoni. L’autore si avvale di questa figura ogni qual volta deve mettere in evidenza le caratteristiche di un personaggio a cui manchi il senso dell'etica e della vita interiore. Manzoni non sopporta la morale dell'oste perché secondo lui in queste figure l'utile viene prima della morale: se qualcuno deve dare una coltellata ad un altro lo faccia fuori dal suo locale perché lui non vuole noie. Gentiluomo è solo chi paga, il resto non gli interessa. Qui l'oste è anche doppiogiochista perché nega a Renzo di conoscere gli avventori misteriosi, pur avendo dato informazioni su di lui. La molla dell’oste è sempre il suo personale interesse. La condanna di Manzoni è chiara e definitiva: questi comportamenti spianano la via al male.
La visione etica del Manzoni
Qual è la visione etica di Manzoni? L’etica manzoniana emerge da un forte senso del bene e della giustizia; è una sua esigenza interiore che ha a che fare con il suo essere cristiano, ma non solo.
La questione della giustizia in una società è per Manzoni tutto ciò che fa sì che possa venire il senso del bene dall’uomo stesso, affinchè la coscienza dei singoli li spinga ad agire in modo che le istituzioni della società si possano fortificare. Un'utopia? Forse, ma l’autore, pur avendone consapevolezza, non rinuncia al suo impegno come artista e al ruolo che le sue opere possono avere all’interno della società.
La sera che scende sul villaggio
Alla fine troviamo una piccola sequenza, la descrizione della sera che scende sul villaggio: la quiete della vita semplice e tranquilla del villaggio è in contrasto con l'affannarsi degli uomini che tentano di raggiungere i loro scopi, buoni o cattivi che siano. L'abbandono alla quiete è anche abbandono degli affanni e delle passioni in cui l'uomo è implicato.
Anche Lucia vorrebbe abbandonarsi alla Provvidenza divina, evitando di dover agire e patire, ma neanche lei può sottrarsi alla legge della vita e degli uomini. E non è un caso che proprio la notte serva ai malvagi per compiere i loro disegni. Anche stavolta il narratore sembra guardare dall'alto la scena e ci trasmette la sua superiorità.