Testo e parafrasi di Alexandros di Pascoli

Alexandros: testo e parafrasi della poesia tratta dai Poemi conviviali che Padcoli dedica ad Alessandro Magno

Testo e parafrasi di Alexandros di Pascoli
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ALEXANDROS DI PASCOLI

Alexandros di Pascoli: testo e parafrasi
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Alexandros di Pascoli è un poemetto dedicato ad Alessandro Magno, re di Macedonia, e viene pubblicato per la prima volta sulla rivista “Il Convito” nel febbraio del 1895 e fa parte della prima edizione dei Poemi Conviviali.

ALEXANDROS DI PASCOLI: TESTO

Di seguito il testo del poemetto di Giovanni Pascoli, Alexandros:

- Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla!
Non altra terra se non là, nell'aria,
quella che in mezzo del brocchier vi brilla,

o Pezetèri: errante e solitaria
terra, inaccessa. Dall'ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria,

l'ultimo fiume Oceano senz'onda.
O venuti dall'Haemo e dal Carmelo,
ecco, la terra sfuma e si profonda

dentro la notte fulgida del cielo. 

II

Fiumane che passai! voi la foresta
immota nella chiara acqua portate,
portate il cupo mormorìo, che resta.

Montagne che varcai! dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidïate.

Azzurri, come il cielo, come il mare,
o monti! o fiumi! era miglior pensiero
ristare, non guardare oltre, sognare:

il sogno è l'infinita ombra del Vero.

III

Oh! più felice, quanto più cammino
m'era d'innanzi; quanto più cimenti,
quanto più dubbi, quanto più destino!

Ad Isso, quando divampava ai vènti
notturno il campo, con le mille schiere,
e i carri oscuri e gl'infiniti armenti.

A Pella! quando nelle lunghe sere
inseguivamo, o mio Capo di toro,
il sole; il sole che tra selve nere,

sempre più lungi, ardea come un tesoro.

IV

Figlio d'Amynta! io non sapea di meta
allor che mossi. Un nomo di tra le are
intonava Timotheo, l'auleta:

soffio possente d'un fatale andare,
oltre la morte; e m'è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.

O squillo acuto, o spirito possente,
che passi in alto e gridi, che ti segua!
ma questo è il Fine, è l'Oceano, il Niente...

e il canto passa ed oltre noi dilegua. -

V

E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall'occhio nero come morte;
piange dall'occhio azzurro come cielo.

Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell'occhio nero lo sperar, più vano;
nell'occhio azzurro il desiar, più forte.

Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell'immenso piano,

come trotto di mandre d'elefanti.

VI

In tanto nell'Epiro aspra e montana
filano le sue vergini sorelle
pel dolce Assente la milesia lana.

A tarda notte, tra le industri ancelle,
torcono il fuso con le ceree dita;
e il vento passa e passano le stelle.

Olympiàs in un sogno smarrita
ascolta il lungo favellìo d'un fonte,
ascolta nella cava ombra infinita

le grandi quercie bisbigliar sul monte.

ALEXANDROS DI PASCOLI: PARAFRASI

I. Noi arriviamo: è la fine. Suona o Sacro Araldo! Non vi è un altro posto se non il paradiso, quella che brilla in mezzo allo scudo o compagni a piedi, terra inaccessibile, disabitata.

Dall’ultima sponda mistefori di Caria, mecenati di questa città, vedete l’ultimo fiume oceano, senz’onda.

Voi che arrivate dai Balcani e dal grande Carmelo, la terra si perde all’orizzonte del cielo stellato.

II. Quanti fiumi oltrepassai! Voi fate risplendere nelle acque chiare la foresta e custodite il suo cupo mormorio. Quante montagne oltrepassa! Dopo avervi oltrepassate si scorgono spazi immensi che prima non si riescono ad immaginare.

Monti e fiumi siete azzurri come il cielo e il mare! Non bisogna guardare oltre, il pensiero più bello è restare e sognare: il sogno accompagna sempre il vero.

III. Oh! Ero più felice quando avevo più cammino davanti a me, quando avevo più avventure, più dubbi e non conoscevo il mio destino!

Quando ero ad Isso, una città della Cilicia, quando il vento invadeva il campo, dove erano accampati i soldati, i carri e numerosissimi armamenti.

Quando la sera ad Apella, un antica città della Macedonia, inseguivamo il sole, io ed il mio Capo di Toro (Bucefalo, il cavallo di Alessandro), che ardeva tra le foreste oscure.

IV. Filippo II! Io non sapevo la meta che volevi conquistare. Una lirica veniva intonata da Timotheo, il suonatore di flauto con un soffio molto forte che va oltre l’obblio, e nel mio cuore, come in una conchiglia il rumore di mare.

O suono pungente, o anima forte, che passando sopra di noi e urlando ci intimi di seguirti! Ma questa è l’obblio, l’oceano (immensità), il nulla. Quel rumore ci supera e poi sparisce.

V. In questo modo, geme, poi ci giunge ansante, piangendo dall’occhio nero come morte e dall’occhio azzurro come cielo. Sempre si comporta in questo modo. Così nell’occhio nero il sapere è vuoto mentre nell’occhio azzurro è più forte.

Lui sente le bestie mormorare in lontananza e ascolta forze nascoste che non si fermano mai, passargli dinnanzi nell’infinito campo, come mandrie di elefanti.

VI. Nel frattempo, nell’Epiro, una storica regione della Grecia, pungente e di montagna filano le sue caste sorelle, per dolce assente la lana proveniente da Mileto.

A tarda notte, tra le industri domestiche, attorcigliano il fuso con le pallide dita, il tempo passa, e con luo passa il vento e le stelle.

La madre di Alessandro, Olimpiade, in un sogno,pensa di essersi persa e ascolta il prolungato chiacchierio di una fonte, ascolta dalla cava piena di buio e tenebre le maestose querce sussurrar sul monte.

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