Alessandro Tassoni: biografia e opere
Indice
1Vita di Alessandro Tassoni
Alessandro Tassoni nacque in una nobile famiglia e fu presto avviato agli studi di diritto, fatto questo assai comune a molti letterati italiani (si pensi anche solo a Petrarca). Frequentò le università di Bologna, Pisa e Ferrara, e in quest’ultima probabilmente, si laureò.
Nel 1589 entrò a far parte dell’Accademia della Crusca, l’istituzione linguistica tuttora più importante d’Italia, dopodiché si trasferì a Roma entrando a far parte della vita culturale e politica della Chiesa: dal 1599 al 1604 fu al servizio del cardinale Ascanio Colonna, che seguì anche in Spagna e dal quale fu sempre ritenuto un valente collaboratore.
Occupatosi per qualche anno solo di letteratura, entrò poi a far parte della corte dei Savoia, a Torino, diventando un informatore politico. A Torino, tuttavia, trovò un ambiente piuttosto ostile a causa delle gelosie dei suoi avversari politici.
Dopo circa due anni (1619-1621) fu rimandato a Roma insieme al cardinale Maurizio. Fu poi al servizio (1626-32) del cardinale Ludovisi.
Si ritirò infine a Modena, litigioso come sempre, vivendo da gentiluomo letterato, colto e bizzarro.
2Opere: saggi, prosa, polemiche letterarie, un tentativo epico e la poesia comica
Alla famosa “Secchia rapita” dedichiamo un approfondimento ulteriore più avanti. Intanto concentriamoci sulle altre opere di Tassoni, partendo dalla sua produzione saggistica e dalle sue riflessioni di vario argomento letterario e filosofico. Tassoni scrive i Dieci libri di pensieri diversi (1620), un’opera tipicamente barocca, simile a quella di un altro grande scrittore barocco: Baltasar Gracian. L’opera è un miscuglio di riflessioni varie, di idee nuove e antiche, che esplora i concetti e i sillogismi più arditi creando una vera e propria epopea dell’ingegno, ma non è privo di elementi bizzarri, irriverenza e leggerezza.
Altro libro molto interessante è Considerazioni sopra le Rime del Petrarca (1609-1611): in questo libro Tassoni affronta lo spinoso problema del petrarchismo, trovando modo di colpire oltre a Petrarca stesso anche i marinisti.
Ecco cosa sostiene a proposito del famoso C1 (Canzoniere 1, “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”):
«Questo sonetto che serve di proemio, sopra del quale hanno finti tanti miracoli non pure i commentatori ma alcuni maestri della lingua e del modo di comporre, se resuscitasse Aristotele figliuolo di Nicomaco, che ci stendesse sopra tutta l’arte della poetica ch’egli lasciò ombreggiata, non sarà mai altro che un sonetto molto comune».
Parole piuttosto dure, quasi eretiche, se consideriamo la grande stima di cui ha sempre goduto Petrarca.
Anche le Considerazioni appartengono a un genere ibrido come sarà poi anche la Secchia. Scrive Andrea Lazzarini:
«Le Considerazioni – così come, poi, la secchia rapita – sono caratterizzate da una commistione fra generi, tonalità e stili: rilievi eruditi, spiegazioni testuali e proposte etimologiche sono posti sullo stesso piano di notazioni personali, facezie, freddure, doppi sensi anche scabrosi. In questo amalgama, gli stessi confini tra serietà e burla sono spesso indistinguibili. Alla confusione dei piani stilistici corrisponde, per così dire, quella dei piani cronologici: il testo di Petrarca è talvolta avvicinato con gli strumenti della storia e della filologia, talvolta attaccato come se tassoni polemizzasse con un contemporaneo» (Attorno alle “Considerazioni sopra le rime del Petrarca”).
Tra le opere incompiute figura poi un canto di un poema giovanile dedicato alla scoperta dell’America, dal titolo “Oceano”. Eccone un pezzettino del proemio dedicato a Cristoforo Colombo:
Cantiam, Musa, l’Eroe di gloria degno,
Ch’ un nuovo Mondo al nostro Mondo aperse,
E da barbaro culto e rito indegno
Vinto il ritrasse, e al vero Dio l’offerse:
La discordia de’ suoi, l’iniquo sdegno
Dell’inferno ei sostenne, e l’onde avverse;
E con tre sole navi ebbe ardimento
Di porre il giogo a cento regni e cento.
Sono attribuite a lui anche due Filippiche (1614-15), orazioni politiche che ricordano quelle di Demostene contro Filippo di Macedonia, ma soprattutto le Catilinarie di Cicerone (e ovviamente le Filippiche di Cicerone contro Marco Antonio). Affrontano il problema delle tristi condizioni d’Italia: si esortano principi italiani ad aiutare Carlo Emanuele I di Savoia a liberare l'Italia dal dominio spagnolo.
Leggiamo almeno l’inizio della prima:
«E fino a che segno sopporteremo noi, o prencipi e cavalieri italiani, di essere non dirò dominati, ma calpestati dall'alterigia e dal fasto de' popoli stranieri, che, imbarbariti da costumi affricani e moreschi, hanno la cortesia per viltá? Parlo ai prencipi ed ai cavalieri; ché ben so io che la plebe, vile di nascimento e di spirito, ha morto il senso a qualsivoglia pungente stimolo di valore e di onore, né solleva il pensiero piú alto, che a pascersi giorno per giorno, senza aver cura se mena la vita a stento, come gli animali senza ragione, nati per faticare. Ma negli animi nobili non credo che sieno ancora svaniti affatto quelli spiriti generosi, che giá dominorno il mondo, benché i nostri nemici gli abbiano con gli artifici loro quasi tutti infettati di non meno empi che servili pensieri; empi e servili, dico: imperoché l'accettar promesse di previsioni e croci e titoli vani, per dovere ad arbitrio loro impugnar l'armi contra la propria nazione, non si può scusar d'empietá; né sono cotesti, segni o fregi d'onore; ma vili premi di servitú patteggiata».
Principi e cavalieri, dice Tassoni, dovrebbero coalizzarsi per cacciare via i dominatori stranieri: solo loro possono provare sdegno, perché la plebe accetta qualunque padrone senza farsi troppe domande.
Ultima, abbiamo una sarcastica “Risposta” (1617) al discorso di un Soccino genovese, a favore del dominio degli Spagnoli in Italia.
Tassoni scrisse anche le Rime, la sua raccolta poetica, in cui abbiamo alcuni gustosi esperimenti di quello che sarà il suo stile eroi-comico: eccone un esempio.
Questa mummmia col fiato, in cui natura
l’arte imitò d’un uom di carta pesta,
che par muover le mani e i piedi a sesta
per forza d’ingegnosa architettura,
di Filippo di Narni è a figura,
che non portò giamai scarpe né vesta
che fosser nuove o cappel nuovo in testa,
e centomila scudi ha su l’usura.
Vedilo col mantel spelato e rotto,
ch’ei stesso di fil bianco ha ricucito,
e la gonnella del piovano Arlotto.
Chi volesse saper di ch’è il vestito,
che già quattordici anni ei porta sotto,
non troveria del primo drappo un dito.
Ei mangia pan bollito
e talora un quattrin di calde arrosto
e il Natale e la Pasqua un uovo tosto.
3La secchia rapita, il poema eroi-comico
3.1La trama
L’opera più famosa di Tassoni è La secchia rapita (1621-22), poema in ottave in 12 canti che fa il verso all’Iliade di Omero. L’ispirazione dell’opera nasce da un fatto realmente accaduto: nella battaglia di Zappolino del 1325 i Modenesi, inseguendo i Bolognesi fin dentro la porta San Felice, portarono via come trofeo una secchia: da cui la secchia rapita. Questo diventa il casus belli successivo, sulla falsa riga dell’Iliade (in cui i Troiani non volevano restituire Elena).
Per riavere la secchia, i bolognesi dichiarano guerra ai modenesi. Anche gli dei dell’Olimpo patteggiano per due città: Apollo e Minerva con Bologna; Marte, Venere e Bacco spalleggiano Modena. Re Enzo, figlio dell'imperatore Federico II, parteggia anche lui per Modena. Come non bastasse, entra in campo di un esercito di donne, guidato da Renoppia. La guerra si protrae fra battaglie, duelli, tregue e tornei, intercalati da episodi comici e burleschi che hanno spesso come protagonista il conte di Culagna.
Innamoratosi di Renoppia, il conte di Culagna sfida a duello il prode Melindo e lo vince, secondo quanto predetto dalla profezia che aggiudica la vittoria al più debole e vile; e tenta di avvelenare la moglie, ma beve la pozione per errore ed è costretto a confessare la malefatta.
Alla fine il conflitto si conclude grazie a trattative condotte da un legato pontificio alle seguenti condizioni: i bolognesi possono tenersi re Enzo, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta, ma i modenesi possono tenersi la famosa secchia.
3.2La parodia dell’epica
Dopo l’anti-poema di Marino, l’Adone, nasceva così il poema eroi-comico. L’istituzione cavalleresca, che già Ariosto aveva messo in crisi, è definitivamente dissolta nella beffa. Non si tratta però di un approdo privo di una sua tradizione perché Tassoni prosegue la tradizione satirico-burlesca che dai trecentisti, attraverso il “Morgante” di Pulci, aveva trovato nei sonetti di Berni e nel Baldus di Folengo le espressioni più convincenti. Eppure “La Secchia” è scritta secondo l’arte epica, il che la toglie dalla satira per consegnarla alla parodia, attraverso il comico, il faceto, mischiati anche agli aspetti gravi.
«La Secchia è infatti, come struttura, un poema epico regolare, e non solo negli elementi esteriori (proposizioni, dedica, invocazioni, similitudini ecc.), ma proprio nell’ossequio ai canoni aristotelici dell’unità d’azione, del fondamento storico, dell’uso del meraviglioso, e della rispondenza dello stile alla materia» (Luigi Fassò).
3.3Il conte di Culagna
Il personaggio più noto dell’opera è certamente il conte di Culagna, protagonista di numerose e comiche disavventure, che Tassoni ci presenta in questo modo ricalcandolo sull’antico personaggio del “Miles gloriosus” plautino e della maschera del Capitano ravvisabile nella commedia dell’arte (III 11-13). Questo modello di personaggio, inoltre, non è neanche troppo lontano dal coevo Don Chisciotte. Eccolo davanti a noi:
«Chi dal monte il dì sesto, e chi dal piano
dispiegò le bandiere in un istante;
e 'l primo ch'apparisse a la campagna
fu il conte de la Rocca di Culagna.
12. Quest’era un cavalier bravo e galante,
filosofo poeta e bacchettone
ch'era fuor de' perigli un Sacripante,
ma ne' perigli un pezzo di polmone.
Spesso ammazzato avea qualche gigante,
e si scopriva poi ch'era un cappone,
onde i fanciulli dietro di lontano
gli soleano gridar: - Viva Martano -.
13. Avea ducento scrocchi in una schiera,
mangiati da la fame e pidocchiosi;
ma egli dicea ch'eran duo mila e ch'era
una falange d'uomini famosi:
dipinto avea un pavon ne la bandiera
con ricami di seta e d'or pomposi:
l'armatura d'argento e molto adorna;
e in testa un gran cimier di piume e corna.»
Il passo più noto dell’opera è la scena della purga che il conte di Culagna subisce dalla moglie che lui voleva uccidere attraverso l’avvelenamento (X 50-53). In questo passo Tassoni esibisce in modo ammirevole la sua «fantasia da pupazzettista» (Momigliano).
50. Il Conte in fretta mangia, e si diparte,
Che non vorría veder la Moglie morta.
Vassene in piazza ov’eran genti sparte
Chi qua, chi là, come ventura porta.
Tutti, come fu visto, in quella parte
Trassero per udir ciò ch’egli apporta.
Egli cinto d’un largo e folto cerchio,
Narra fandonie fuor d’ogni superchio:
51. E tanto s’infervora e si dibatte
In quelle ciance sue piene di vento,
Ch’eccoti l’antimonio lo combatte,
E gli rivolta il cibo in un momento.
Rimangono le genti stupefatte;
Ed egli vomitando, e mezzo spento
Di paura, e chiamando il confessore,
Dice ad ognun ch’avvelenato more.
52. Il Coltra e ’l Galìano, ambi speziali,
Correan con mitridate e bolarmeno;
E i medici correan cogli orinali,
Per veder di che sorte era il veleno.
Cento barbieri, e i preti coi messali
Gli erano intorno, e gli scioglieano il seno,
Esortandolo tutti a non temere,
E a dir devotamente il miserere.
53. Chi gli ficcava olio o triaca in gola,
E chi butirro o liquefatto grasso.
Avea quasi perduta la parola,
E per tanti rimedi era già lasso;
Quand’ecco un’improvvisa cacarola
Che con tanto furor proruppe abbasso,
Che l’ambra scoppiò fuor per gli calzoni,
E scorse per le gambe in sui talloni.
Un degno finale per concludere questo panorama sulla figura di Tassoni, un grande scrittore capace di strapparci ancora oggi qualche bella risata con le avventure del famoso Conte di Culagna, una mente fervida e critica, bizzarra, capace con arguzia e provocazione di affrontare il rinnovamento della letteratura italiana.
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Domande & Risposte
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Chi è Alessandro Tassoni?
Poeta e scrittore italiano vissuto a cavallo tra il Rinascimento e il Barocco, ed è l'autore del famoso poema comico “La secchia rapita”.
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Dove e quando è nato Alessandro Tassoni?
Modena, 28 settembre 1565.
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Cosa ha scritto Alessandro Tassoni?
La secchia rapita, Dieci libri di pensieri diversi, Considerazioni sopra le rime del Petrarca, Filippiche, Risposta al discorso di un Soccino genovese e Rime.