Ai Familiari, Cicerone, Versione di Latino, Cicerone a Nigidio Figulo

Di Redazione Studenti.

Testo originale in latino del Libro 04; parte 13, Cicerone a Nigidio Figulo, de Ai Familiari di Cicerone

AI FAMILIARI: LIBRO 04; PARTE 13, CICERONE A NIGIDIO FIGULO

Quaerenti mihi iamdiu, quid ad te potissimum scriberem, non modo certa res nulla, sed ne genus quidem litterarum usitatem veniebat in mentem; unam enim partem et consuetudinem earum epistularum, quibus secundis rebus uti solebamus, tempus eripuerat perfeceratque fortuna, ne quid tale scribere possem aut omnino cogitare:. relinquebatur triste quoddam et miserum et his temporibus consentaneum genus litterarum; id quoque deficiebat me, in quo debebat esse aut promissio auxilii alicuis aut consolatio doloris tui. Quod pollicerer, non erat; ipse enim pari fortuna abiectus aliorum opibus casus meos sustentabam saepiusque mihi veniebat in mentem queri, quod ita viverem, quam gaudere, quod viverem. quamquam enim nulla me ipsum privatim pepulit insignis iniuria nec mihi quidquam tali tempore in mentem venit optare, quod non ultro mihi Caesar detulerit, tamen nihilo minus eis conficior curis, ut ipsum, quod maneam in vita, peccare me existimem. careo enim cum familiarissimis multis, quos aut mors eripuit nobis aut distraxit fuga, tum omnibus amicis, quorum benevolentiam nobis conciliarat per me quondam te socio defensa res publica, versorque in eorum naufragiis et bonorum direptionibus, nec audio solum, quod ipsum esset miserum, sed etiam video, quo nihil est acerbius, eorum fortunas dissipari, quibus nos olim adiutoribus illud incendium exstinximus, et, in qua urbe modo gratia, auctoritate, gloria floruimus, in ea nunc iis quidem omnibus caremus, obtinemus ipsius Caesaris summam erga nos humanitatem, sed ea plus non potest quam vis et mutatio omnium rerum atque temporum. Itaque orbus iis rebus omnibus, quibus et natura me et voluntas et consuetudo assuefecerat, cum ceteris, ut quidem videor, tum mihi ipse displiceo. natus enim ad agendum semper aliquid dignum viro nunc non modo agendi rationem nullam habeo, sed ne cogitandi quidem, et, qui antea aut obscuris hominibus aut etiam sontibus opitulari poteram, nunc P Nigidio, uni omnium doctissimo et sanctissimo et maxima quondam gratia et mihi certe amicissimo, ne benigne quidem polliceri possum.

Ergo hoc ereptum est litterarum genus: reliquum est, ut consoler et afferam rationes, quibus te a molestiis coner abducere. At ea quidem facultas vel tui vel alterius consolandi in te summa est, si umquam in ullo fuit. itaque eam partem, quae ab exquisita quadam ratione et doctrina proficiscitur, non attingam, tibi totam relinquam. quid sit forti et sapienti homine dignum, quid gravitas, quid altitudo animi, quid acta tua vita, quid studia, quid artes, quibus a pueritia floruisti, a te flagitent, tu videbis. ego, quod intelligere et sentire, quia sum Romae et quia curo attendoque, possum, id tibi affirmo, te in istis molestiis, in quibus es hoc tempore, non diutius futurum, in iis autem, in quibus etiam nos sumus, fortasse semper fore. Videor mihi perspicere primum ipsius animum, qui plurimum potest, propensum ad salutem tuam non scribo hoc temere. quo minus familiaris sum, hoc sum ad investigandum curiosior : quo facilius, quibus est iratior, respondere tristius possit, hoc est adhuc tardior ad te molestia liberandum. familiares vero eius, et ii quidem, qui illi iucundissimi sunt, mirabiliter de te et loquuntur et sentiunt. accedit eodem vulgi voluntas vel potius consensus omnium. etiam illa, quae minimum nunc quidem potest, sed possit necesse est, res publica, quascumque vires habebit, ab iis ipsis, a quibus tenetur, de te propediem, mihi crede, impetrabit. Redeo igitur ad id, ut iam tibi etiam pollicear aliquid, quod primo omiseram: nam et complectar eius familiarissimos, qui me admodum diligunt multumque mecum sunt, et in ipsius me consuetudinem, quam adhuc meus pudor mihi clausit, insinuabo et certe omnes vias persequar, quibus putabo ad id, quod volumus, pervenire posse; in hoc toto genere plura faciam, quam scribere audeo. Ceteraque, quae tibi a multis prompta esse certo scio, a me sunt paratissima: nihil in re familiari mea est, quod ego meum malim esse quam tuum.
hac de re et de hoc genere toto hoc scribo parcius, quod te id, quod ipse confido, sperare malo, te esse usurum tuis. Extremum illud est, ut te orem et obsecrem, animo ut maximo sis nec ea solum memineris, quae ab aliis magnis viris accepisti, sed illa etiam, quae ipse ingenio studioque peperisti. quae si colliges, et sperabis omnia optime et, quae accident, qualiacumque erunt, sapienter feres. Sed haec tu melius vel optime omnium. ego, quae pertinere ad te intelligam, studiosissime omnia diligentissimeque curabo tuorumque tristissimo meo tempore meritorum erga me memoriam conservabo.
Cercavo da tempo un qualche spunto che mi permettesse di organizzare una lettera nel modo migliore, ma non solo non mi veniva in mente alcun argomento definito, ma nemmeno uno dei normali stili epistolari; le circostanze esterne mi hanno tolto integralmente ogni familiarità con quel tipo di lettere, a cuiin tempi miglioriavevo l'abitudine di ricorrere; e il destino ha ottenuto che io non possa, nonché scrivere, anche solo immaginare astrattamente alcunché di simile. Rimaneva il ricorso a qualcosa di triste e desolato, perfettamente in armonia col genere di lettere che possono concepirsi in tempi come questi: ma anche questo mi è venuto meno; avrei dovuto o discorrere di promesse di aiuto o far posto a frasi consolatorie della tua afflizione. Ma non avevo di che fare promesse: infatti io stesso, affranto da un'eguale sfortuna, reggo ai colpi della ventura col sostegno altrui e più di una volta rifletto alla tristezza di vivere così piuttosto che alla soddisfazione di essere vivo. Benché nessuna ingiustizia particolarmente grave sia stata commessa contro di me personalmente né abbia potuto in tutto questo periodo desiderare con la fantasia qualcosa che Cesare non mi sia venuto a offrire di sua iniziativa, ciò nondimeno mi sento affranto da tante e tali angosce che mi sembra un peccato questo stesso continuare a vivere.
Non ho più con me tanti miei carissimi, che o la morte mi ha strappato o l'esilio allontanato con la forza: ma mi mancano anche tutti quelli di cui un tempo la patria da me salvata con te al mio fianco mi aveva procurato l'affetto e la riconoscenza e mi aggiro tra il naufragio loro e il saccheggio delle loro sostanze; né solo ne sento parlare, che già sarebbe motivo di profondo dolore, ma vedo e non c'è spettacolo più crudele anche lo sperpero delle fortune di quanti allora mi prestarono il proprio aiuto per estinguere quell'incendio: e in quella stessa città in cui ho vissuto dei momenti gloriosi per autorità, per fama, per prestigio, in essa oggi vivo spogliato di tutto e di tutti; godo bensì della signorile benevolenza di Cesare in persona; ma essa da sola non può compensare la violenza dello sconvolgimento integrale che subiscono i tempi e i rapporti sociali. Dunque orbato di tutto quello che insieme la natura, una libera scelta, delle abitudini di vita mi avevano reso familiare, mi sento di peso non solo agli altri come pare evidente ma anche a me stesso. Nato per compiere sempre egregie cose e degne di un animo forte, ora non solo non ho piano alcuno di azione ma neppure la capacità di progettarne; e io che prima potevo offrire la mia assistenza a uomini o d'oscura condizione o anche rei di colpe, ora non posso neanche fare delle promesse confortanti a Publio Nigidio, il più valente scienziato e il più venerabile di tutti, caro un giorno a molti e mio fedelissimo amico. Ecco dunque, è questa sorta di stile epistolare che mi stata tolta; resta l'altra, quella delle consolazioni; quella che raccoglie le ragioni con le quali tentare di distoglierti dalle tue tristezze.
Ma questa disponibilità a consolare o te stesso o altri se mai qualcuno al mondo la ebbe, in te è grandissima. Non toccherò perciò quegli argomenti che sono frutto di intelletto raffinato e di vasta cultura: queste sono cose che lascerò per intero a te! Che cosa implichi la dignità di un uomo forte e saggio, che cosa esigano da te la nobiltà dell'animo, la profondità dei sentimenti, la tua vita passata, la tua passione di studioso, le arti dello spirito nelle quali avesti successo lusinghiero fin dall'adolescenza, avrai tu da considerarlo. Io per me, per quel che sono in grado di comprendere e di percepire abitando a Roma e seguendo con ogni cura tutto ciò, ti dichiaro solennemente che non rimarrai a lungo in queste angustie in cui ora ti trovi; ma che forse rimarrai sempre in quelle in cui mi trovo anch'io. Mi sembra di poter cogliere innanzi tutto una propensione a salvarti nell'animo di colui che più ha il potere di decidere; le mie non sono parole avventate. Quanto meno intimo gli sono, tanto più accurati sono i miei sondaggi: il motivo fondamentale per cui si mostra ancora alquanto evasivo nel disporre il tuo richiamo dall'esilio è che in tal modo può giustificare meglio una risposta ostile a coloro verso i quali il suo sdegno è maggiore. Nelle conversazioni poi e nei giudizi di quelli che fanno parte della sua cerchia, e per giunta di quelli che più gli sono graditi, si parla di te con straordinario favore. Vi si aggiunge l'opinione favorevole del popolo o meglio il consenso di tutti. Anche questa nostra repubblica, che ora ha così poco potere (ma per poco che sia di necessità dovrà esercitarlo), nella misura in cui raccoglierà le sue forze residue, otterrà credimi a scadenza non lunga dai suoi stessi padroni la remissione della tua condanna.
Ritorno dunque sul punto che dapprima avevo escluso: ti faccio delle promesse; mi stringerò ai suoi amici più intimi e più fidi, che mi stimano moltissimo e che mi fre quentano con assiduità, cercherò per giunta di stabilire gradatamente con lui stesso un tipo di relazioni che finora ripugnava al mio senso del pudore, e sii certo che batterò tutte le vie che mi parranno ragionevolmente utili per poter giungere alla meta che ci siamo prefissa; in tutte quante queste iniziative farò molto di più di quel che osi ora scrivere. per il resto, e con riferimento alle mie informazioni sicure sulla disponibilità di molti altri nei tuoi confronti, ho predisposto assolutamente ogni cosa: nel mio patrimonio non c'è nulla che io desideri rimanga mio piuttosto che tuo! Sull'intera questione e su questo punto in particolare scrivo molto sommariamente, giacché preferisco sperare (ma personalmente la considero una certezza) che tu verrai totalmente risarcito nei tuoi diritti. c'è un'ultima cosa: ti scongiuro con tutta l'anima di farti forza e di tenere sempre a mente non solo l'esempio che ti viene dagli altri grandi personaggi della storia, ma anche la dignità personale che è conquista del tuo genio e dei tuoi lunghi studi. Se rifletterai su queste cose, saprai sperare con costanza e fiducia e affronterai ogni evento con l'impassibile serenità della vera filosofia. Ma sono considerazioni che tu fai meglio, meglio assai di chiunque. Io mi occuperò sempre con amore e premura di tutto quanto capisca potrà influire sulla tua condizione e serberò nel cuore il ricordo del bene che hai fatto a me in circostanze fra le più tristi della mia vita.