La poesia nella società delle comunicazioni di massa

Prova d'italiano, maturità 2004: saggio ambito artistico letterario

La poesia nella società delle comunicazioni di massa

1° prova maturità 2004
3. AMBITO SOCIO-ECONOMICO

ARGOMENTO: È ancora possibile la poesia nella società delle comunicazioni di massa?
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Qual è il senso della poesia, voce dell’individualità, in un mondo dominato dalla comunicazione di massa standardizzata, dall’inconsistenza dei messaggi e dalla deriva dei significati?

Nel nostro tempo virtuale, caratterizzato dal culto dell’immagine, dall’immanenza della riproducibilità tecnica, dalla globalizzazione delle informazioni, è ancora possibile ritagliare un angolo da offrire alla riflessione, al dubbio, al ripensamento, al rovello esistenziale, insomma, a quelle operazioni concettuali che definiscono la poesia?

Montale, nel discorso per il Nobel, prova a costruire un’ipotesi di risposta sul ruolo della poesia nel presente e nell’avvenire, ponendo però una distinzione fondamentale tra la poesia che si assume il compito di accompagnare il clamore del tempo e che vive nell’effimero della cultura di massa acustica e visiva e quella che sorge quasi per miracolo, vive ignorata, ma contiene in sé la capacità di imbalsamare tutta un’epoca, di restituirne l’essenza attraverso la virtù del linguaggio.

La poesia da sempre ha costituito un aiuto per la memoria ed ha offerto agli uomini la possibilità di celebrare l’esistente gli affanni d’amore, i miasmi del tedio, i luoghi natali, il susseguirsi delle stagioni, i ricordi d’infanzia, la perdita di un affetto attraverso moduli ritmici e memorabili.

Oggi però, pare che la lirica non sia più in grado di mostrare al lettore il suo destino come in uno specchio, di guidarlo attraverso gli impervi sentieri di una vita che soccombe al caos.

Perduta completamente la sua funzione di vate, il poeta sembra non trovare alcuno spazio nella società moderna e i grandi temi che un tempo venivano affidati all’eternità dei versi, oggi si consumano nello spazio effimero di un articolo o di un servizio giornalistico e scorrono uno dopo l’altro lasciando dietro di essi solo sbiaditi ricordi.

Se in epoche precedenti alla nostra, quindi, il poeta era una figura istituzionalmente riconosciuta, agli inizi del ‘900 cominciò ad assistere al graduale declino del suo ruolo e della sua funzione, e finì per rifugiarsi nella sua torre d’avorio, evitando per quanto fosse possibile un confronto con la realtà.

Allora Pascoli cercò il conforto del nido, D’Annunzio mistificò se stesso nelle sue imprese, i Crepuscolari rivalutarono il valore delle buone cose di pessimo gusto, gli Ermetici barricarono la loro arte dietro il culto per la forma e lo stesso Montale avvertì il suo pubblico che non era in grado di trovare la parola che squadra da ogni lato l’animo nostro informe, potendo comunicare solo ciò che non siamo e ciò che non vogliamo.

Montale considera la poesia lirica il frutto di una riflessione solitaria e di un progressivo arricchimento, un movimento intimistico, che certo stride fortemente con le esigenze e le abitudini della moderna società di massa, in cui le immagini e i messaggi affidati alla radio e alla televisione si avvicendano in maniera sempre più vorticosa.

L’arte stessa è costretta a farsi spettacolo, a massificarsi, a fondersi con i nuovi media, pur di mantenersi viva e non cadere nel vortice del tempo, che scorre sempre più velocemente, lasciando lo spazio di un istante tra il nuovo e il desueto.

In questo contesto, alla parola poetica, evocativa e immaginifica non resta che una posizione debole, quasi ai margini.

Vassalli osserva come la poesia al giorno d’oggi sia diventata un genere letterario sempre più specialistico, che desta soltanto l’interesse di una ristretta cerchia di cultori, perduto ormai in maniera forse irreversibile il favore del grande pubblico.

Tuttavia questo non è sufficiente per decretare definitivamente la sua morte; la poesia al contrario dimostra di possedere ancora gli strumenti per continuare a testimoniare la condizione umana; è il luogo della ricchezza linguistica, della diversità, è l’ultimo baluardo contro il rischio dell’impoverimento progressivo e dell’omologazione, è un invito alla speranza.

Conte sostiene che la poesia non muore mai del tutto, perché la sua scomparsa comporterebbe l’atrofizzazione del linguaggio e del pensiero; tuttavia nell’odierna cultura di massa presenta enormi difficoltà a ritagliarsi un proprio spazio.

Gli stessi editori la considerano un investimento rischioso e difficilmente accettano di pubblicare raccolte inedite di liriche, considerandole un prodotto invendibile, nonostante il fatto che sono molti i giovani che decidono di affidare ai versi le loro emozioni, i loro sentimenti, le loro gioie e le loro angosce.

Forse l’unica possibilità per la poesia di ritagliarsi un futuro è quella di superare le proprie barriere, di irrompere nella scrittura in prosa, di diventare un evento raro e prodigioso e insieme un effetto di cosciente assimilazione dei fermanti di un’epoca.

E in un certo qual modo forse tutto ciò riesce già a farlo attraverso le canzoni, che oggi possono essere considerate la forma artistica che più si avvicina alla lirica... in fondo anche gli antichi aedi cantavano le loro composizioni al suono della cetra.

La poesia quindi non è destinata a vedere la sua fine...finchè il sole risplenderà sulle sciagure umane!

Un consiglio in più