Nel corso di questo anno abbiamo vissuto sulla nostra pelle e, in particolare, attraverso i nostri occhi decine di avvenimenti che saranno ricordati nei libri di storia, prima fra tutti la guerra in Iraq. Le immagini che ci arrivavano dalle televisioni erano immagini di città devastate e di bombardamenti. Immagini, appunto. Ripensando a quell'evento penso a come si sarebbe vissuta quella guerra senza gli inviati da Baghdad o senza i continui aggiornamenti dei telegiornali, a come si vivevano eventi simili quando non erano accompagnate dalle immagini. Negli ultimi anni il ruolo dell'immagine nell'informazione ha sicuramente preso il sopravvento, anche nella carta stampata, e questo è un avvenimento che porta ad un dibattito necessario sulla natura dell'informazione. Ma che cosa porta ad un prevalere dell'immagine nell'informazione? Per dare una risposta a questa domanda dobbiamo partire dalla natura dell'immagine. Quando si percepisce un oggetto o altro nella realtà, quello che rimane nella nostra mente altro non è che l'immagine. A questa immagine noi colleghiamo concetti, sensazioni, pensieri, un vero e proprio "bagaglio emozionale" che viene richiamato quando ricordiamo o rivediamo quell'immagine. Quando leggiamo o ascoltiamo, il nostro atteggiamento è quello di comprendere e decodificare ciò che stiamo percependo. Quando percepiamo un'immagine, invece, vengono attivate delle funzioni psichiche che sono connesse alle nostre esperienze precedenti e a ciò che ad esso è collegato. In sintesi, è molto più facile, più coinvolgente e più veloce essere attratti da un'immagine che ci da una rappresentazione più immediata della realtà che leggere o ascoltare delle parole. Negli ultimi decenni l'utilizzo delle immagini nell'informazione si è incrementato per rendere quest'ultima più accessibile, più "attraente" e dunque più efficace ad un numero sempre più elevato di persone. Ma quello che è nato come tentativo di allargare il pubblico dell'informazione rischia in alcuni casi di impoverire la capacità critica di molti. Troppo spesso assistiamo ad una comunicazione troppo veloce e sintetica che non analizza e non approfondisce tematiche solo perché, ad un primo approccio, potrebbero sembrare più ostiche alla "maggioranza" del pubblico. Questo porta ad una mancanza di analisi razionale dell'informazione percepita e ad un approccio più istintivo ed emotivo, che ha, sicuramente, un forte impatto mediatico, ma che perde in alcuni casi la funzione formativa dell'informazione. Ciò su cui molte volte ci si confonde è proprio la natura dell'immagine. L'immagine è una rappresentazione della realtà e non la realtà stessa. L'immagine è uno strumento, un mezzo della comunicazione e non ciò che viene comunicato. Tutto ciò si collega all'obiettivo principale dell'informazione, ossia quello di far conoscere e far pensare le persone. Utilizzare l'immagine solo come evocatrice di sensazioni e di emozioni risponde all'obiettivo di un altro tipo di comunicazione, come ad esempio quella commerciale o pubblicitaria. Un esempio di utilizzo dell'immagine come strumento è quello che troviamo nella formazione. La natura dell'immagine in questo contesto è quella di strumento con la finalità di dare la possibilità al bambino di apprendere in maniera più semplice e rapida un concetto. A questo segue, o dovrebbe seguire, una vera e propria educazione all'immagine e alla sua percezione. Questo accade perché attraverso l'immagine il messaggio è più semplice da recepire. Attraverso l'educazione successiva si interviene sulla complessità di rielaborazione del messaggio, dato che questo non riguarda solo l'aspetto cognitivo ma anche quello emozionale della persona. Le due questioni qui sollevate sono diverse, in quanto nella prima l'immagine rischia, ogni giorni di più, di tramutarsi da strumento a messaggio, mentre nella seconda l'immagine mantiene la sua natura di strumento di comunicazione.
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